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​Salafistes: mostriamo gli orrori senza censura

di Gabriele Nissim

Dobbiamo presentare al pubblico i discorsi dei jihadisti e le loro ricette ideologiche per la purificazione del mondo? Non rischiamo forse di fare da cassa di risonanza alle loro farneticazioni e indirettamente influenzare molti giovani musulmani nelle periferie, che potrebbero venire attratti dalle loro parole?

Dobbiamo mostrare senza veli tutte le atrocità dell’Isis, dalle decapitazioni, alle lapidazioni, alle mutilazioni, alle distruzioni dei monumenti in nome della religione? Non rischiamo in questo modo di colpevolizzare gli immigrati che cercano di integrarsi nelle nostre società e di dare nello stesso tempo fiato a quanti cavalcano i muri e i nazionalismi, dipingendo tutti gli islamici come portatori di una fede pericolosa?

Sono queste le polemiche che sono scoppiate in Francia, a seguito della presentazione del documentario “Salafistes”, realizzato da Francoise Margolin e da Lemine Ould Salem.

I due autori hanno intervistato alcuni esponenti jihadisti in Mali, Mauritania e in Tunisia. In particolare Lemine Ould Salem è l’unico giornalista che abbia documentato quanto accadeva a Timbuctù, durante l’occupazione dei fondamentalisti fra il 2012 e il 2013.

Possiamo così ascoltare, nel loro coraggioso reportage, le argomentazioni dei vari leader fondamentalisti che spiegano con grande convinzione che con il loro arrivo sono state velate anche le ragazzine, e che finalmente sono stati chiusi tutti i luoghi di “depravazione” - dalle discoteche ai locali dove si vendeva alcol - per riportare finalmente i giovani a una vita sana e alla religione. Vediamo inoltre le orribili mutilazioni delle mani, a cui erano sottoposti i ladri e i trasgressori delle regole della legge islamica. 
Il film, coprodotto da France 3, è diventato un caso politico, perché i dirigenti della televisione lo hanno tolto dalla programmazione e la ministra della cultura Fleur Pellerin lo ha osteggiato e poi ha imposto il divieto nei cinema ai minori di 18 anni.

Contro la censura, e rivolgendosi direttamente al primo ministro francese Manuel Valls, ha preso immediatamente posizione Claude Lanzmann, il grande autore dell’indimenticabile documentario sulla Shoah, il quale su Le Monde ha scritto che il film “è un vero capolavoro e mai fino ad ora alcun libro, alcun specialista dell’Islam, è riuscito a raccontare quanto accade nella vita quotidiana, dove i Jihadisti impongono la Sharia.”

Lanzmann scrive di essere rimasto colpito dalle interviste delle vittime, destinate alle mutilazioni e alle decapitazioni, le quali “dichiarano con la stessa voce tonante dei carnefici le loro colpe, come quelle degli Stati Uniti e degli ebrei”.
Così, quando vanno incontro alla morte, come accadeva alle vittime di Stalin, devono confessare per rendere onore all’opera purificatrice dei loro carnefici.

Il regista francese - anche in una recente intervista sul Corriere della Sera - pone la questione fondamentale: se l’orrore dell’Isis non viene mostrato, fatto conoscere, se non diventa come un macigno per la nostra coscienza, allora c’è il rischio che la gente non lo prenda troppo sul serio.

Non è la prima volta che un orrore rimosso è stato combattuto in ritardo nella storia dell’umanità. Ci aveva provato Armin Wegner in Germania, quando aveva mostrato nel 1918 le prime foto del genocidio armeno e lo avevano accusato di mostrare delle immagini false, perché c’era il rischio di mettere a repentaglio l’alleanza tra la Germania e la Turchia. Ci aveva provato, invano, il polacco Jan Karski, quando aveva raccontato al presidente americano Roosevelt e al Ministro inglese Eden quanto aveva visto nel ghetto di Varsavia. Non fare circolare le notizie era il modo migliore per non assumersi una responsabilità chiara. Se si fosse dato valore alle informazioni che allora circolavano, si sarebbe potuto fare molto di più per aiutare gli ebrei.

Le immagini degli orrori di oggi potrebbero urtare i musulmani? Non credo affatto. Chi è veramente religioso reagisce a queste atrocità nello stesso modo in cui reagiamo tutti noi. Il fondamentalismo omicida fa prima di tutto il male ai musulmani. Chi cerca Dio non può pensare di trovarlo uccidendo e umiliando gli esseri umani.

Il problema è un altro. Chi non reagisce cade paradossalmente nella nostra stessa sottovalutazione. Continua a credere che quegli orrori siano piuttosto frutto di una propaganda occidentale, che esagera quanto accade per coprire altre responsabilità. Ecco perché è importante documentare senza censura, come hanno fatto gli autori di “Salafistes”, perché se quel male viene conosciuto nella sua dimensione reale, allora sarà più facile la consapevolezza tra gli arabi e musulmani che vivono in Europa.

C’è forse il rischio che ascoltando le interviste dei jihadisti che raccontano il loro “paradiso” nella terra “liberata” dall’Isis, ci sia qualcuno tra i giovani musulmani in Francia che li prenda troppo sul serio, come forse hanno pensato la francese Pellerin e tanti che hanno criticato il film, dopo i tragici avvenimenti di Parigi? Anche qui ha ragione Lanzmann. Per combattere i nazisti bisognava leggere Mein Kampf e il progetto politico di Hitler, per combattere il totalitarismo sovietico bisognava conoscere bene il progetto ideologico di Lenin e Stalin. La stessa cosa vale per l’Isis. Il male si sconfigge prima di tutto sul piano delle idee. Ecco perché è necessario prendere molto sul serio i discorsi dei jihadisti.

È questo il merito del documentario, censurato in Francia.

Mentre noi copriamo le statue capitoline per non urtare Rohani, in Francia c’è chi fa di peggio. Purtroppo in Europa sono pochi coloro che hanno il coraggio di affrontare la battaglia culturale contro il fondamentalismo. 

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

29 gennaio 2016

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