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​Terrorismo e rabbia narcisistica

di Bianca Gallo

I drammatici avvenimenti legati al terrorismo islamista hanno suscitato molti interventi, e molti autori ne hanno tentato un'analisi. Su di un punto sembra esservi una concordanza di opinioni: il terrorismo sarebbe abitato e alimentato da una mancanza, un "vuoto" interiore, che verrebbe percepito come un aver perso qualcosa di importante, ritenuto indispensabile alla definizione della propria identità personale e a cui si aveva diritto. Una perdita di cui sarebbero responsabili "altri", che sono malvagi e colpevoli, contro cui si prova una rabbia profonda, e nei confronti dei quali si ritiene legittimo agire per esserne risarciti.

Ma l’aggressività che ne scaturisce, questa rabbia che la psicoanalisi ha indicato come "rabbia narcisistica", non ha nulla di bestiale, come talvolta si crede; non è quella rabbia istintiva e immediata che condividiamo con il resto del mondo animale, è qualcosa di più complesso e decisamente umano, che cova nel rancore e persegue con costanza l'obiettivo di distruggere l'oggetto nemico. Ha come obiettivo vendicare ciò che è sentito come un diritto inalienabile, e che è riferito all’equilibrio interno; obiettivo che viene ricercato attraverso un’azione spasmodica in cui anche il proprio annientamento può essere illusoriamente concepito come trionfo sul nemico e ricostituzione di una immagine grandiosa e idealizzata del proprio Sé.

Come accade ad esempio al capitano Achab che non esita, per vendicarsi di Moby Dick - il mostro che ne ha intaccato l'integrità fisica e l'orgoglio -, a tradire la legge del mare e a trascinare alla distruzione la propria nave e l'intero equipaggio (con un sopravvissuto, Ismaele, che ne possa narrare la follia).

Una facile interpretazione vede attivi in questo processo meccanismi arcaici di scissione (tra bene e male, tra buono e cattivo) e proiezione (il male è nell'altro), che allontanano vissuti depressivi.

Così era accaduto all'avvento del nazismo, quando Hitler aveva risposto a sentimenti profondi della nazione, ad angosce di annientamento che avevano seguito le pesantissime imposizioni della pace di Versailles. Aveva proposto una soluzione magica e onnipotente: i nemici sarebbero stati distrutti, la costruzione di un nuovo Reich avrebbe permesso di restaurare la grandezza della nazione. Allo stesso modo, nei luoghi dell'emarginazione, immaginare la possibilità di una ricostituzione di un Califfato può dare risposta a una fragilità identitaria, col presentare l'Occidente come responsabile della caduta della grandezza musulmana, che sia a partire dalla dissoluzione dell'impero Ottomano nell’anno 1924 o dalle Crociate, svoltesi peraltro tra alterne vicende tra il 1096 e il 1270.

Quali che siano le ragioni della formazione di questo sentimento, che comunque si configura con la percezione di aver subito un torto più che un danno, la "rabbia narcisistica" nasce da un senso di perdita dell'integrità del sé e si appoggia al desiderio di recuperare un'immagine di sé forte e potente, che possiamo far corrispondere a quella struttura arcaica che Heinz Kohut ha indicato con il termine "Sé grandioso".

Osserviamo che questa ricerca di ricostituzione del Sé si esprime anche visivamente e simbolicamente nel corpo, quasi a fornire un "io - pelle muscolare" colmo di aggressività, a sostituire un “io-pelle” lacerato e deficitario con la formazione di una specie di protesi protettiva, una "pellicola" che renda forti e potenti. (Il concetto di "io-pelle" di Didier Anzieu corrisponde a una struttura mentale che permette la differenziazione tra sé e il mondo esterno).
Quale ne è l'origine? Al di là di quelle costruzioni culturali cui si può appoggiare - il non far più parte di un impero, che sia l'impero ottomano o il sacro romano impero - in ogni modo ciò accadde a degli individui, che attraverso l'appartenenza a un gruppo e all'identificazione con un'ideale possono recuperare un' immagine grandiosa del Sé.

Molti uomini divenuti potenti sembrano infatti avere cercato e usato il potere - potere di vita e di morte - al fine di ricostituire un sé grandioso a riparazione di torti subiti dalla vita: l'imperfezione fisica, l'abbandono, i maltrattamenti.
Come il shakespeariano re Riccardo III che, non potendo essere innamorato scelse di divenire scellerato, e come tanti personaggi della storia la cui ascesa è stata legata a una forma di vendetta nei confronti del destino e degli uomini - l'imperatore Guglielmo II, Josif Stalin, Hitler, Gengis Khan, e molti altri.

Tutto questo rimanda al concetto di narcisismo, al bisogno infantile di essere ammirato da figure adulte, forti e potenti, alle prime relazioni con la madre, la famiglia, il gruppo di appartenenza (Questo tipo di relazione infantile è ben mostrato in “Metafisica dei tubi” della Nothomb). In uno sviluppo ottimale si giungerà a una maturità in cui all’orgoglio smisurato si sostituisce l’ autostima.

Non dimentichiamo però che vi è anche un aspetto che afferisce alla responsabilità personale: uno “sviluppo ottimale” non è scontato, anche se appare evidente che condizioni sociali o familiari sfavorevoli non siano di aiuto. E per sfavorevoli non si intende solamente una situazione di privazione o di perdita, ma anche una situazione che abbia permesso di mantenere nell’età adulta un’immagine di sé grandiosa, che l’adulto continui a sentirsi “un dio”.

Come il re persiano Serse, che riteneva di essere un dio, e di cui Erodoto racconta che fece fustigare (300 colpi di sferza!) e poi mettere in ceppi l'Ellesponto, perché si era permesso di contravvenire i suoi voleri, distruggendo con una tempesta il ponte di barche costruito per raggiungere l'Europa. E poi, al termine della battaglia delle Termopili, spinto dalla rabbia e - osserva Erodoto - in contraddizione con i valori condivisi nel suo popolo, fece cercare tra gli altri il cadavere di Leonida e ne fece decapitare e crocifiggere il corpo. In modo sinistro, a Palmira i miliziani di Daesh uccisero l'archeologo Khaled al-Asaad e fecero uguale scempio del cadavere, perché aveva osato opporsi ai loro voleri.

17 marzo 2016

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