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Turchia, arrestati gli accademici che chiedono la pace

intervista al politologo Cengiz Aktar

Domenica 10 gennaio il 'Gruppo degli Accademici per la Pace' riunito a Istanbul ha lanciato un appello allo stato turco affinché metta fine agli attacchi nel sud-est dell’Anatolia e revochi il coprifuoco che sta mettendo alla fame parte della popolazione di Sur, Silvan, Cizre, Silopi e altre città curde. Il documento, intitolato “Non saremo complici di questo crimine”, sottoscritto da oltre mille professori e ricercatori di 89 università della Turchia e da altri 200 di altre nazioni, denuncia la violazione delle leggi nazionali e internazionali e chiede al governo di consentire l’ingresso di osservatori internazionali nelle province sconvolte dal conflitto e di porre le basi per una trattativa mirata a una pace duratura, che tenga conto delle richieste delle forze politiche curde. 
Due giorni dopo è arrivata la reazione durissima del Presidente Recep Tayyip Erdoğan, espressa nel clima di allarme e grande tensione seguito al grave attentato suicida, commesso da un affiliato all’ISIS, che a Istanbul ha ucciso 10 turisti tedeschi e ferito altri 15. Parlando agli ambasciatori turchi riunita ad Ankara, il Presidente ha respinto con sdegno le richieste degli 'pseudo-intellettuali ignoranti', che “diffamano la Turchia, perché protegge il proprio territorio, e invitano osservatori stranieri nella nostra patria per seguire gli sviluppi. Questo non è altro che colonialismo. La Turchia ha affrontato il tradimento insito in questa mentalità cento anni fa. C’erano persone che credevano che solo gli stranieri potessero risolvere i problemi”. Infine ha affermato che “le forze di sicurezza resteranno finché le organizzazioni terroristiche non abbandoneranno completamente quell’area”. A distanza di poche ore dal suo discorso il Consiglio Supremo per l’Educazione (YOK), l’autorità di controllo sulle università turche convocata di emergenza, ha dichiarato che la definizione di 'massacro' data dal gruppo di accademici alla battaglia dello stato contro il terrorismo nel sud-est, ha compromesso l’intero mondo accademico e sarà presto discussa da tutti i rettori e da un consiglio inter-universitario. Già si contano i primi provvedimenti punitivi: 21 professori dell'Università di Kocaeli e tre dell'Università Abant İzzet Baysal University sono stati arrestati, secondo il settimanale Agos.

Cengis Aktar, analista politico, giornalista e scrittore turco che da tempo sostiene la necessità di una soluzione pacifica alla questione curda, spiega in questa intervista a Gariwo che la reazione di Erdoğan conferma il rischio per la Turchia di trasformarsi in uno stato autoritario.

Come valuta l’aspra polemica del Presidente contro la petizione?

L’iniziativa, chiamata “Accademici per la Pace”, non è cominciata ora, ma è in corso da alcuni anni. Questa volta abbiamo deciso di lanciare un’ulteriore richiesta alle autorità e alle parti coinvolte nel conflitto affinché sospendano il bagno di sangue nel Kurdistan turco. Perché non porta da nessuna parte. La Turchia ha cercato di risolvere la questione curda con la forza molte volte e non ci è mai riuscita. E non ci riuscirà neanche questa volta. Ci sono morti, soprattutto tra i civili. Abbiamo anche chiesto alle autorità e alle parti interessate di diventare una sorta di 'intermediari', 'mediatori' o 'osservatori terzi' per far sì che questa guerra aperta finisca. La reazione dell’opinione pubblica è stata molto positiva, ma quella delle autorità, come temuto, è stata più che negativa. Erdoğan ha preso la parola ed espresso le sue critiche agli accademici. Ha detto cose assolutamente assurde sulla qualità dei ricercatori e dei professori. Ha completamente demolito le loro qualità accademiche e ha utilizzato parole cattive per qualificarli. Vorrei ricordare che, in aggiunta a quasi duemila accademici della Turchia, altri 200 professori dall’estero hanno firmato questo appello, personalità come Immanuel Wallerstein, Etienne Balibar, Judith Butler e Noam Chomsky e così via. Erdoğan ha stroncato tutte queste persone e le ha trattate come traditori e sostenitori del PKK.

Come firmatario dell’appello è preoccupato per le accuse di Erdoğan agli “pseudo-intellettuali ignoranti” e la sua minacciosa allusione al fatto che la Turchia sarebbe di fronte a un tradimento analogo a quello avvenuto cento anni fa?

Ieri mattina Sedat Teker, un boss mafioso turco sostenitore del Presidente e criminale pregiudicato, ha pubblicato una lettera dicendo che il sangue di questi intellettuali scorrerà e che lui approverà i nazionalisti che si bagneranno in quel sangue. Ecco a che punto siamo. E il Consiglio Supremo per l’Educazione si è riunito immediatamente, mentre Erdoğan parlava e ordinava indirettamente una qualche indagine. Non l’ha detto chiaramente, ma ha ammonito che “dovranno pagare”. Non sappiamo l’esito, ma naturalmente prenderanno dei provvedimenti contro gli universitari e vedremo. Per ora dieci firmatari sono stati messi sotto inchiesta o intimiditi dalle rispettive università. Questo accentuerà ulteriormente la polarizzazione esistente e il clima di odio che cresce costantemente in questo Paese.

Vista queste reazioni lei prevede delle conseguenze, per esempio che alcuni universitari siano licenziati o indotti a lasciare l’insegnamento?

Si, una qualche forma di maccartismo è iniziata, è molto brutto.

Lei ha detto che l’opinione pubblica ha reagito in modo positivo all’appello, questo significa che la spaccatura tra l’opinione pubblica e l’AKP e il Presidente si approfondirà?

E così, ma metà dei turchi continua a sostenere il Presidente e il governo.

E i media non possono fare molto, con tanti giornalisti arrestati di recente e altri sotto minaccia, non è vero?

Stanno chiudendo le testate, non esiste più libertà per i media in Turchia.

E allora cosa dovrebbe fare la comunità internazionale per aiutare le forze democratiche in Turchia?

Dovrebbe capire molto chiaramente, soprattutto in paesi come l’Italia e la Germania, che questo è un evidente percorso verso il fascismo, la Turchia è avviata verso una forma di stato fascista, come negli anni Venti in Italia.

Cengiz Aktar è Senior Scholar all'Istanbul Policy Center, esperto di minoranze e fautore della riconciliazione tra turchi e armeni, in passato consulente per 22 anni all'Onu, oggi scrittore ed editorialista per il network televisivo Al-Jazeera e i quotidiani Zaman e Taraf, membro del Board della Hrant Dink Foundation.

Viviana Vestrucci, giornalista

15 gennaio 2016

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