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Uomini contro l'odio

di Elisabetta Rosaspina

Sarebbe molto più facile, per chi odia, essere ripagato con l’odio. Più equilibrato, più gratificante, più paritario nella visione malata di un mondo spietato in cui vince chi spara per primo. Possibilmente a sorpresa.

Hanno bisogno di sentirsi odiati dal malvagio Occidente gli uomini bomba che credono di pareggiare i conti facendosi esplodere all’aeroporto di Bruxelles e di Istanbul. Hanno bisogno di sentirsi sotto la minaccia dei “rinnegati” i kamikaze sunniti che fanno strage di altri musulmani, sciiti, a Baghdad durante la celebrazione del comune Ramadan.

Devono convincersi di avere nelle loro mani i nemici del Corano, i jihadisti di Dacca che torturano a morte decine di stranieri perché non ne sanno recitare i versetti. Si compiace di aver eliminato un pericolo per la patria l’assassino di Jo Cox, deputata inglese europeista: “Il mio nome è morte ai traditori, libertà per il Regno Unito” si è presentato, davanti ai giudici, in tribunale. Chi odia ha bisogno di nutrirsi dell’odio, o almeno dell’ira e del rancore altrui per sentirsi nel giusto, o addirittura un eroe e un santo guerriero. Più o meno consapevolmente spera di attirare l’avversario al suo stesso livello, in una speculare, vendicativa disumanità.

Per questo ha sorpreso, spiazzato, commosso il libro, uscito in Italia a fine aprile, di Antoine Leiris, il giornalista francese di 34 anni che ha perso la giovane moglie, Hélène, nella strage del Bataclan, a Parigi, il 13 novembre dell’anno scorso: “Non avrete il mio odio”, aveva scritto a caldo su Facebook e ha ribadito in 120 pagine ben meditate. Un atto di generosità e di perdono? Non proprio.

Come Brendan Cox, il marito della parlamentare laburista uccisa a Leeds al termine della campagna contro la Brexit, Antoine Leiris ha perso la madre di suo figlio a causa del delirio letale di qualche fanatico. Brendan e Antoine si sono trovati, in circostanze analoghe anche se distanti, davanti allo stesso bivio: allevare i propri bambini nell’odio verso i killer delle loro mamme e nella frustrazione di un’impossibile rivalsa, oppure riempire di amore, di normalità, di fiducia il loro futuro. Entrambi hanno scelto la seconda strada.

Antoine Leiris spiega di aver trovato in questa decisione anche la miglior rappresaglia nei confronti dei mandanti dell’eccidio di Parigi: “Siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo – ha scritto nella sua lettera ai terroristi -. Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno, e per tutta la vita questo ragazzino vi farà l’affronto di essere libero e felice. Perché no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio”. Una sublime forma di resistenza. Una formidabile patente di irrilevanza per il Califfo e i suoi mercenari.

Brendan Cox ha visto anche la sconfitta postuma di Jo al referendum sull’uscita della gran Bretagna dall’Unione Europea, ha visto perdere le idee per le quali si era battuta sua moglie, finendo accoltellata da un estremista, ma ha capito che non era quello il punto. La sera dopo l’omicidio di Jo, ha portato in campeggio i loro due bambini, di tre e cinque anni, per “ricordare l’ultima notte passata tutti insieme in tenda”. Sanno bene che non ce ne sarà un’altra: “Inizia un nuovo capitolo delle nostre vite. Più difficile, più doloroso, meno allegro, meno pieno d'amore. Io e gli amici di Jo e la sua famiglia lavoreremo in ogni momento delle nostre vite per amare e far crescere i nostri figli e per lottare contro l'odio che ha ucciso Jo. L'odio non ha credo, razza o religione. L'odio è velenoso". Ma ha bisogno di essere corrisposto per moltiplicarsi, o si estingue: “Che bella ironia – si è commosso Brendan di fronte alla quantità di tributi giunti alla memoria di Jo, in patria e dall’estero - un atto commesso per provocare odio ha invece generato così tanto amore”. L’odio è rimasto solo, in una cella.

Elisabetta Rosaspina

Analisi di Elisabetta Rosaspina, giornalista, già inviata del Corriere della Sera

11 luglio 2016

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