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24 aprile, giorno del raccoglimento e del dovere

intervista a Baykar Sivazliyan

In occasione del 98esimo anniversario del genocidio armeno, Gariwo ha intervistato Baykar Sivazliyan, Presidente dell'Unione Armeni d'Italia, sul significato della celebrazione e sulle principali questioni politiche che ruotano intorno all'Armenia.

Il 24 aprile si celebra il 98esimo anniversario del genocidio armeno. Qual è il significato di questo anniversario e quali sono le aspettative, anche in merito al riconoscimento del genocidio da parte turca?


Il 24 aprile è un momento di raccoglimento per gli armeni. La presenza di sopravvissuti alle celebrazioni - a parte qualche caso - è rara, solitamente ci sono i loro figli o nipoti. È anche un momento di memoria, e nonostante questa memoria ci sia stata negata dai responsabili del genocidio, noi continuiamo a ricordare la terribile tragedia del nostro popolo. Il significato dell'anniversario è collegato anche a ciò che è avvenuto ad altre popolazioni. È il caso dell'Olocausto, verificatosi nel cuore della civilissima Europa, del Ruanda o della ex Jugoslavia, e noi ci preoccupiamo affinché si creino le condizioni per evitare il ripetersi di queste tragedie.
Per quanto riguarda il riconoscimento da parte della Turchia, dopo 98 anni la nostra situazione è molto delicata e particolare. Ormai siano noi armeni, la parte lesa, a pensare di dare una mano a quella parte della Turchia sensibile al tema del genocidio, per far sì che il popolo turco trovi il coraggio di riconoscere il terribile torto inflitto.
La Turchia è un grandissimo paese, non può avere paura di riconoscere un abuso commesso quasi un secolo fa, ma purtroppo anche i comportamenti dello Stato nei confronti dei suoi cittadini che tentano di parlare della questione armena non sono all'altezza di un paese civile che sta bussando alla porta all'Unione europea per entrare a farne parte.
Quindi il significato di questa giornata è di due tipi. Da una parte il ricordo, in senso molto intimo - va detto che gli armeni non hanno mai condiviso con facilità la memoria di ciò che è stato con gli altri. Dall'altra parte, il nostro dovere di dare una mano ai turchi per bene, ai turchi "giusti", per aiutare il loro Paese a riconoscere il torto fatto a una popolazione intera.

Una delle questioni più attuali della politica armena è quella del Nagorno Karabakh - il caso Safarov degli scorsi mesi è l'episodio forse più noto a livello internazionale. Come valuta le relazioni di Armenia e Azerbaijan attorno a questo tema?

Quella del Nagorno Karabakh è una questione antica. La Repubblica armena di oggi rappresenta soltanto un decimo del territorio storico del Paese. In diversi momenti l'Armenia è stata privata di territori che le appartenevano storicamente, e il Nagorno Karabakh è uno di questi. È stato infatti regalato - nonostante il 93% della sua popolazione fosse di origine armena - dall'Unione Sovietica all'Azerbaijan. Per consolidare questa situazione, dopo il crollo sovietico, l'Azerbaijan ha iniziato a seminare la paura tra gli armeni del Nagorno, come è avvenuto con il terribile pogrom di Sumgait.
Il Nagorno ormai è un paese a se stante, esiste da 20 anni, ha un proprio governo e alcuni Stati americani lo hanno riconosciuto come libero e indipendente. Credo che sia necessario cercare di trovare soluzioni pacifiche proseguendo su questa strada, di modo che da una parte si conservi quello che è il Nagorno armeno, dall'altra parte magari vi sia uno scambio di territori con altre entità che sono diventate in modo ingiusto proprietà dell'Azerbaijan. Si devono trovare soluzioni rispettando la pace e la sicurezza dei Paesi, anche perché tutto ciò porterebbe una certa tranquillità anche al Medio Oriente, all'Afghanistan, all'Iran.

Parlando della politica interna dell'Armenia, nei mesi scorsi ci sono state le elezioni presidenziali, il cui risultato è stato contestato dall'opposizione. Come sono state vissute queste elezioni? Quale politica si prospetta adesso?

L'Armenia è una delle ex Repubbliche sovietiche più democratiche. Sia Unione europea che Stati Uniti avevano inviato centinaia di osservatori per queste elezioni e leggendo le loro relazioni non sembra che ci siano stati brogli da parte del presidente rieletto. Questa garanzia esterna, auspicata da una parte della diaspora armena, fa pensare che i risultati siano davvero quelli usciti dalle consultazioni. Ci si chiede però cosa potrà fare il Presidente Sargsyan nel suo secondo mandato, in un mondo spaccato dalla crisi economica. Anche se l'Armenia, caratterizzata dalla singolare realtà di avere più cittadini all'estero che all'interno, ha delle possibilità di sviluppo maggiori rispetto ai paesi confinanti, è comunque attanagliata da gravi problemi economici. Bisogna vedere se il Presidente riuscirà a trovare una soluzione per uscire dalla crisi.
Da armeno della diaspora vorrei sottolineare che in questa situazione ha un grandissimo peso la politica di Ankara. Non dobbiamo dimenticare che da circa 20 anni la Turchia tiene chiuse le sue frontiere verso l'Armenia, e che dopo aver firmato, 3 anni fa, un accordo in Svizzera, improvvisamente la dirigenza turca ha iniziato a frapporre alla realizzazione di questi patti di pace delle precondizioni - atto impensabile in diplomazia. In tutto ciò la Turchia ha la sua parte da fare, anche per mostrare al mondo esterno la buona volontà di affrontare la questione del genocidio armeno.
Se non si muovesse in questa direzione, farebbe un grosso errore nella zona mediorientale e caucasica, spingendo sempre più l'Armenia nelle mani della Russia e costringendola ad avere relazioni più strette con l'Iran. La Turchia deve prendere una decisione di campo, ed essendo un paese filo-occidentale e un membro della NATO, auspico che non dimentichi questa sua appartenenza e che non faccia un errore geo-strategico. Sarebbe un passo falso non solo per Ankara, ma anche per l'intero Occidente.

Chiudiamo con l'attualità. Il conflitto siriano ha causato migliaia di profughi, e alcuni siriani armeni si sono rifugiati nella terra dei padri. Come vengono accolti? Come vivono?

Ci sono circa 17mila armeni siriani, che negli ultimi 18 mesi hanno dovuto lasciare la loro terra e la loro casa. La metà ha trovato ospitalità in Giordania, in Libano e addirittura in Turchia, gli altri si sono rifugiati in Armenia o nel Nagorno Karabakh.
Le istituzioni armene della diaspora stanno facendo grandissimi sforzi raccogliendo soldi per chi ha perso tutto ciò che aveva, per far sì che questa gente trovi una vita quasi normale nella patria degli avi. Ho sentito addirittura delle scuole armene a Yerevan che hanno aperto sezioni particolari per i ragazzi armeno-siriani, dove si insegna anche l'arabo, in modo che se le cose cambiassero e queste persone volessero tornare indietro, potrebbero continuare l'istruzione nel proprio Paese di nascita.
In uno Stato piccolo e con dei problemi economici abbastanza seri, naturalmente, questa non è una operazione facile, ma gli armeni sono abituati a questo tipo di solidarietà e stanno facendo del proprio meglio per creare delle condizioni migliori per i profughi siriani.

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