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"Il nostro impegno per la verità e il dialogo"

​Intervista a Sibel Asna, fondatrice della Fondazione Hrant Dink

Il riconoscimento del genocidio degli armeni è ancora un tabù per la Turchia a livello ufficiale, come provato dalla reazione sprezzante del Presidente Erdoğan all'omelia di Papa Francesco, che il 12 aprile davanti alla comunità armena ha citato il "primo genocidio del '900". Ma nel Paese, accanto al negazionismo dei nazionalisti e kemalisti, si sta facendo strada la volontà di molti cittadini di conoscere la realtà storica. Lo dice Sibel Asna, fondatrice della Fondazione Hrant Dink, creata nel 2007 per "continuare i sogni, le battaglie, le parole e i sentimenti di Hrant Dink", il giornalista di origine armena che promosse il dialogo e la riconciliazione tra le due comunità, assassinato otto anni fa a Istanbul. Sibel Asna si dice ottimista sul futuro e conferma l'impegno della Fondazione a proseguire il lavoro per il dialogo tra i due popoli.


La violenta reazione del governo turco alle parole del Papa riguardo al genocidio armeno era in parte motivata dalle imminenti elezioni e dal desiderio di Erdoğan di compiacere i nazionalisti, o esprimeva piuttosto un sentimento ancora radicato e diffuso tra la popolazione?

Entrambe le cose. Non posso dare dati precisi, ma se prendiamo in esame il modo di pensare dei sostenitori dei partiti nazionalisti e anche le affermazioni e reazioni di alcuni membri dei partiti MHP, BBP, CHP e AKP e alcune dichiarazioni di ex-ambasciatori, ci si può rendere facilmente conto di quale sia il reale "orientamento" rispetto al Genocidio, che non è un crimine facilmente accettato dalle nuove generazioni. E, se non è possibile addurre alcuna prova del "rifiuto" di un crimine così grave, la rimozione, il negazionismo e la capacità di trovare scusanti diverranno una reazione naturale generalizzata. In particolare, se l’origine del crimine è un processo di transizione economica e la maggior parte delle famiglie turche o curde ne traggono profitto, è difficile da accettare.

In quali gruppi sociali è più forte il negazionismo?

I nazionalisti, kemalisti o le famiglie con antenati armeni islamizzati sono i gruppi sociali in cui il negazionismo è maggiormente radicato. Il sistema educativo, inoltre, sta formando generazioni cariche di odio, attraverso la demonizzazione degli armeni e dei non-musulmani, come nemici di sempre della Turchia, nella narrazione storica. Gli studenti, che hanno la possibilità di studiare all’estero, sono in grado di rilevare le lacune nella memoria storica e cominciano a indagare. Quasi la maggioranza degli storici o dei ricercatori turchi, che conosco e che si occupano di temi relativi agli armeni, ammette questo fatto.

L’apertura della società civile turca rispetto alla questione armena, successiva alla morte di Hrant Dink, è proseguita coinvolgendo nuovi soggetti, oppure è limitata ad una minoranza?

Il funerale di Hrant è stato un punto di rottura per la maggioranza della società turca. Quel giorno, un enorme numero di persone ha cominciato a porre degli interrogativi. Oggi il numero sempre crescente di persone, che indagano sulla “storia inventata”, può essere facilmente misurato.

Hasan Cemal, giornalista, scrittore e nipote di Jemal Pasha (uno dei principali ideatori del genocidio ameno come membro del triumvirato dei Giovani Turchi), ha scritto un libro sul genocidio ed ha affermato che la Turchia, come Stato, dovrebbe chiedere perdono al popolo armeno e il confine tra i due stati dovrebbe essere aperto. È un caso isolato?

Il carattere e la storia personale fanno di Hasan Cemal una persona davvero unica. Molti scrittori e ricercatori stanno comunque pubblicando libri, memorie e ricerche; più di 30 mila sostenitori hanno firmato l'"Appello per il Perdono”. Con lo stesso approccio, questi numeri aumentano di giorno in giorno.

È possibile, in Turchia, riconciliare l’identità armena con quella turca, superando i conflitti?

Sono sempre ottimista sulle possibilità di accordo, se la società è aperta alle relazioni e i politici non fanno i loro tipici giochi in vista delle elezioni.

La Fondazione Hrant Dink lavora per normalizzare le relazioni tra Turchia e Armenia attraverso iniziative culturali, con il motto “Il confine deve essere prima di tutto aperto nelle nostre menti”. Lei è soddisfatta dei risultati ottenuti finora dal progetto “Turkey-Armenia Travel Grant”, che sostiene finanziariamente i viaggi di centinaia di persone tra i due paesi, e dal concorso cinematografico “Film sulla coscienza”?

Sono più che soddisfatta dei risultati ottenuti dalla Fondazione in così poco tempo. Ora, dopo l’inaugurazione della nostra nuova sede, le sinergie saranno raddoppiate, triplicate, e diventeranno sempre maggiori. Lo vediamo dalle prime reazioni che stiamo ricevendo.

Con l’apertura di “Venue of Hope” (“Luogo di Speranza”), la vostra nuova sede che ospita anche il settimanale Agos, disponete di spazi per workshop, un archivio, una sala di esposizione, una sala conferenze. L’obiettivo è raggiungere un pubblico più ampio?

Con le potenzialità del nostro quartier generale, il palazzo "Anarat Higutyun", noi, come Fondazione Hrant Dink e come giornale Agos, saremo in grado di spiegare e illustrare storia, cultura, economia, modo di pensare, stile di vita della comunità armena, con dati e metodi scientifici, che saranno disponibili per chiunque sia alla ricerca della verità. 

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