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Il sogno comune di turchi e armeni

intervista a Gerard Malkassian

"Noi facciamo il sogno comune che un’era di pace tra gli Armeni e i Turchi si apra, nel rispetto della storia e di ciascuno dei nostri popoli.” Inizia così l’appello Noi facciamo un sogno, insieme, lanciato poche settimane fa da un gruppo di intellettuali, artisti e docenti francesi di origini armene e turchi francofoni da tempo impegnati nel difficile processo di riconciliazione tra Armenia e Turchia.

Nonostante le aperture della società civile turca rispetto alla questione armena già dai tempi dell’uccisione a Istanbul del giornalista turco Hrant Dink, Ankara rifiuta di riconoscere come genocidio il massacro di circa un milione e mezzo di armeni perpetrato dal governo dei “Giovani Turchi” nel 1915.

I segnali di quello che potrebbe essere un avvicinamento tra i due Paesi sono giunti solo di recente. Lo scorso aprile, in occasione del novantanovesimo anniversario del genocidio armeno, per la prima volta un premier turco - il neo eletto presidente Erdoğan - ha inviato le proprie condoglianze ai nipoti degli armeni uccisi dall’Impero Ottomano durante la prima guerra mondiale. Ad agosto, il presidente armeno Sargsyan, che in passato ha ricordato i giusti turchi che aiutarono i "vicini e amici armeni", ha ufficialmente invitato il presidente turco alla commemorazione del 24 aprile 2015 a Yerevan. Tuttavia è ancora un sogno il riconoscimento del genocidio e il risarcimento da parte turca, con “parole di verità” e atti concreti, per le sofferenze inflitte e la memoria negata al popolo armeno. La speranza è che turchi e armeni possano commemorare insieme le vittime nel centesimo anniversario del genocidio.

Di questi temi abbiamo parlato con Gerard Malkassian, docente di filosofia a Parigi, tra i promotori dell'appello che Gariwo si impegna a sostenere e diffondere. Ecco cosa ci ha raccontato:

Come è nata l’idea dell’appello “Facciamo un sogno, insieme”? Chi sono gli autori?

La storia di questa dichiarazione inizia con un armeno di Francia, Michel Marian, e un sociologo turco francofono, Ahmet Insel. Queste due persone hanno scritto il libro Dialogo sul tabù armeno, pubblicato in Francia nel 2010 e poi tradotto anche nelle loro lingue d’origine. Era la prima volta che due intellettuali, uno armeno e uno turco, provavano attraverso il dialogo a scambiarsi rappresentazioni personali, familiari, della storia turco-armena, affrontando anche la questione del genocidio. In seguito, attorno a questi due autori si è formato un gruppo informale di intellettuali turchi francofoni e francesi di origine armena che hanno provato ad avvicinarsi, a fare un cammino insieme. Dunque la storia risale a qualche anno fa. La ragione di questa dichiarazione è legata ora alla constatazione di un movimento di apertura da parte della Turchia rispetto alla questione armena, quella del genocidio e più in generale delle minoranze nel Paese. Si capisce che a poco a poco l’atteggiamento della Turchia - non tanto del governo quanto piuttosto della società civile - sta cambiando, si sta aprendo. Si stanno aprendo tutte le pagine nere della storia. C’è un grande brulichio di iniziative, ma si sente che ora dobbiamo pensare a una strategia per il futuro, a come andare più avanti ancora. Da tutto questo prende avvio il manifesto turco-armeno. Non possiamo accontentarci di rivendicare soltanto il riconoscimento formale del genocidio. Dobbiamo andare oltre, immaginare, proiettarci nell’avvenire di una situazione post-riconoscimento.

Quali sono gli obiettivi di questa iniziativa? Il sogno di cui raccontate è quello della pace tra il popolo armeno e quello turco, ma affrontate anche questioni molto concrete…

Ci sono due obiettivi in questo testo. Il primo riguarda la commemorazione del centenario del genocidio nel 2015. La dichiarazione, infatti, si conclude con un appuntamento, ancora da definire ma fissato all’anno prossimo in Turchia, sulle strade della deportazione per commemorare insieme – turchi e armeni - quello che è successo 100 anni fa. Questo è il primo obiettivo concreto della dichiarazione, che comporta un cambiamento radicale di approccio alla questione. Sarebbe la prova che anche i turchi sono pronti a celebrare insieme agli armeni, in modo molto forte, quello che è successo e che gli armeni sono pronti a tornare sui luoghi della strage per compiere un cammino di memoria. Il secondo obiettivo è trovare possibili punti di accordo sul tema delle riparazioni. Questo è da anni uno dei nodi della questione, che non consiste soltanto nel riconoscere il crimine perpetrato cento anni fa, ma anche nel definire le forme del risarcimento per quello che è avvenuto. Abbiamo voluto precisare la nostra visione comune in merito, che potrebbe essere accettata sia dagli armeni, sia dai turchi. Nel nostro testo spieghiamo in che modo potremmo pensare insieme a una riparazione che sarebbe politica, morale e forse anche psicologica. Credo che questo sia molto importante, soprattutto perché non vogliamo accontentarci di parlare in termini molto generici di un avvicinamento tra armeni e turchi rispetto alla memoria del genocidio, ma fare proposte concrete per risolvere la questione.

Quali iniziative a sostegno dell’appello avete in programma?

Il primo passo è stato far tradurre la dichiarazione in varie lingue: francese quella della prima versione, poi il turco, l’armeno (quello dell’Armenia orientale e quello della diaspora), l’italiano, lo spagnolo, l’inglese, il tedesco, il russo, l’arabo, per far sì che questo testo possa avere la più vasta diffusione possibile. La seconda tappa è la realizzazione di un sito internet, che sarebbe il fulcro dell’iniziativa. L’intenzione è lanciare la raccolta firme a partire da Turchia e Armenia – considerato che turchi e armeni sono i primi firmatari “naturali” del testo - ed estenderla fino a coinvolgere molti altri Paesi, come la Francia, l’Italia, speriamo anche l’America e l’Argentina, dove vivono molti armeni. Infine, l’impegno per la partecipazione al centenario del genocidio. Dall’autunno inizieremo a organizzarci per essere presenti in gran numero l’anno prossimo in Turchia.

Come è stata accolta la notizia di questo appello e quali reazioni vi aspettate con la sua diffusione?

È difficile rispondere a questa domanda. Nessuno, né in Turchia, né in seno alla comunità armena, ci ha attaccato; nessuno ha protestato contro la nostra iniziativa. Questo è segno che molto è cambiato negli ultimi tempi; solo dieci anni fa la situazione sarebbe stata molto diversa. Direi che ora c’è un’accettazione tacita dell’iniziativa, ma questo è un fatto del tutto relativo. Da quanto ho capito, in Turchia l’appello non è stato molto diffuso sui giornali né in seno all’opinione pubblica turca e alla comunità armena, perché questo movimento è piuttosto vivace solo nei ceti intellettuali. Si registra un’apertura ma c’è ancora molto da fare se vogliamo andare oltre queste classi che definirei illuminate. Sappiamo che non sarà facile allargare la nostra iniziativa a larghi settori della comunità armena e della popolazione turca, ma sappiamo anche che per ora l’iniziativa non ha creato opposizioni violente, e questa è la migliore garanzia per il successo della nostra iniziativa, allo stesso tempo ferma e costruttiva.

Lo scorso 24 aprile l'allora premier Recep Tayyip Erdoğan, oggi presidente della Turchia, ha espresso le sue condoglianze al popolo armeno per i fatti del 1915. Avete speranza che, in vista del centenario, si arrivi al riconoscimento del genocidio da parte delle autorità turche?

Se abbiamo steso e firmato questo appello è perché pensiamo che esiste una possibilità di andare avanti. La nostra dichiarazione è nata prima del discorso di Erdoğan del 23 aprile scorso. Siamo ragionevolmente ottimisti perché ci sono due fattori che pesano ora sulle autorità turche. Il primo è rappresentato dalla pressione dell’opinione pubblica internazionale, europea e americana, che è molto utile e forte in vista del centenario. Ma il fattore più importante è quello interno alla Turchia, che incide sempre più sul governo e sull’approccio delle autorità rispetto a questa questione. Naturalmente non dobbiamo illuderci. Erdoğan non vuole andare oltre, sa che farlo implica un prezzo politico alto da pagare. Dunque, la dichiarazione dell’aprile scorso è un fatto importante perché riconosce il 24 aprile come data della memoria delle sofferenze armene; ma quel gesto è stato fatto, da parte sua, proprio per non dover andare più avanti. Noi siamo comunque convinti che Erdoğan sia entrato in una logica che lui stesso non è più in grado di gestire e che, in vista del 2015 e sotto la pressione internazionale e turca, sarà costretto a proseguire su questa via, ma fino a quali concessioni non so, non posso dirlo. Rifacendoci alle dichiarazioni rilasciate dai suoi ministri, possiamo solo ipotizzare che il governo turco possa essere pronto a riconoscere quale crimine contro l’umanità ciò che è avvenuto nel 1915. Questa potrebbe essere per i turchi una via d’uscita che non possiamo escludere, ma naturalmente i passi del governo turco e del presidente sono dettati da una logica politica. Probabilmente, se dipendesse da Erdoğan e dai suoi ministri non si andrebbe oltre la dichiarazione dello scorso aprile, ma crediamo che la logica attuale sia più forte delle loro valutazioni politiche e della loro volontà.

Chi sono i sottoscrittori di questo appello?

In linea di massima i firmatari sono intellettuali ed esponenti del mondo dello spettacolo. Per esempio, tra i firmatari armeni, la maggior parte dei quali vive in Francia, vi sono scrittori, professori - io stesso sono un insegnante di filosofia - attori, e registi di cinema, come Robert Guédiguian. Lo stesso accade con i firmatari turchi, tra cui vi sono molti sociologi, accademici, e anche attori, tutti o quasi già impegnati da tempo in varie iniziative di avvicinamento tra i due popoli e le due comunità. 

Per firmare e diffondere l'appello "Noi facciamo un sogno, insieme" http://ourcommondream.org

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