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L'Armenia tra passato e presente: Storia, Identità, Cultura

La memoria negata del popolo armeno

Il Museo del genocidio armeno a Yerevan

Il Museo del genocidio armeno a Yerevan

È il titolo del Corso di aggiornamento destinato agli insegnanti che ha preso il via Giovedì 5 dicembre 2014 alle ore 15.00 nell’aula Magna del liceo Tito Livio di Milano. Nell’obiettivo del corso si esplicita che attraverso l’approfondimento e il consolidamento di nuovi strumenti di informazione riguardanti una tematica di carattere storico-culturale connessa ai temi della memoria del Novecento, il secolo dei genocidi, affrontato nell’ottica del recupero delle figure esemplari dei giusti e dei resistenti morali, si vuole mettere gli insegnanti in grado di condurre gli studenti in nuovi percorsi di ricerca sulla identità e la storia del popolo armeno di cui si celebra nel 2015 il centesimo anniversario del genocidio, tema storico ignorato in molti materiali scolasticio sottovalutato, malgrado le reali connessioni con la contemporaneità.

La Dirigente Scolastica, dott.ssa Amanda Ferrario ha aperto i lavori con un saluto e un augurio ai partecipanti, assieme alla prof.ssa Santa Schinardi, referente interna e alla prof.ssa Anna Maria Samuelli, referente esterna, responsabile della sezione didattica di Gariwo, la foresta dei Giusti.

Il corso ha preso il via con un itinerario storico culturale dal presente al passato, dalla microstoria alla macrostoria, sia pure nella considerazione del loro inevitabile intreccio.

Introducendo i lavori, la prof.ssa Samuelli ha proposto una riflessione sul tema della memoria, uno dei concetti fondamentali del lavoro storico.Vivere la memoria è scelta impegnativa, soprattutto quando si tratta della storia del Novecento, il secolo dei genocidi e dei totalitarismi. Raccogliere le testimonianze, diventare testimoni, assieme ai ragazzi, dell’universo di sofferenza di interi popoli, ha cambiato il rapporto con la storia. Le testimonianze soggettive sono entrate prepotentemente nella storia assieme ai materiali letterari e poetici, tanto che a volte la memoria sembra sovrastare la storia e le reazioni emotive il giudizio razionale. Che questo non sia un bene è segnalato dal conflitto tra le memorie e dall’uso politico della memoria ad opera di istituzionie governi.

Ha sottolineato che nel percorso proposto agli insegnanti sul tema “Armenia” si cercherà di rinvigorire l’interrogazione storica e trovare insieme strade affinché la dimensione pubblica della memoria venga alimentata dai risultati della ricerca storica, ricerca che per sua natura tende a ricostruire il passato in modo aperto e ad allargare gli ambiti di lavoro, nella consapevolezza che la percezione del passato condiziona l’azione sul presente. È necessario collocarsi in modo da non restare prigionieri di una memoria archeologica, ideologica o emotiva, ma facendo vivere una memoria capace di proiettarsi sul presente, capace di cogliere i segni del male nella nostra contemporaneità e di indicare le strade di una resistenza morale.

Ha ricordato inoltre che il tema del genocidio, del negazionismo, dell’identità culturale e artistica dell’Armenia saranno oggetto di approfondimento degli incontri previsti per il febbraio del 2015, e che nell’incontro finale si affronterà il tema della memoria del bene e delle figure dei giusti del primo genocidio del novecento, che facilitano il dialogo e la riconciliazione tra i popoli, oltre a costituire per gli studenti esempi di resistenza morale.

Passato e presente.

L’offerta di aggiornamento si colloca tra il passato e il presente dell’Armenia. Il passato riguarda il percorso storico di un popolo che, pur in assenza di una territorialità stabile, è stato capace nei secoli di conservare e tramandare caratteri identitari forti, ma anche aperti all’altro. Saranno ricostruiti alcuni momenti salienti di questo percorso, necessari anche a collocare correttamente l’evento del genocidio.

Il presente dell’Armenia da cui si è scelto di partire in un percorso a ritroso, è stato affrontato dal prof. Agop Manoukian, primo relatore dell’incontro, che ha portato l’attenzione sul piccolo frammento italiano della diaspora armena, sottolineando il dilemma che segna le presenze diasporiche: resistere all’integrazione o aprirsi totalmente alla nuova realtà. Manoukian ha riproposto i momenti chiave e le varie fasi dell’arrivo degli armeni in Italia, le vie percorse dai monaci, gli insediamenti monastici, le vie commerciali, la presenza religiosa e culturale dei monaci mechitaristi dell’isola di S. Lazzaro a Venezia, la rinascita culturale dell’Armenia in diaspora prima del genocidio, poi l’arrivo dei sopravvissuti; la nascita delle prime associazioni, la pubblicazione dei giornali, il rapporto con le istituzioni nei momenti cruciali della guerra e dei trattati di pace (Sévres e Losanna del 1920 e del 1923), e le figure più significative del mondo armeno (scrittori, poeti, artisti), che fanno scoprire agli italiani il retroterra storico e culturale, in una parola, l’identità di un popolo: un caso esemplare di integrazione pacifica nelle terra che lo hanno accolto. Un popolo che lungo tutta la sua storia, ha sofferto persecuzioni e divisioni, e che ancora oggi, dopo la nascita dell’Armenia indipendente, ha dovuto affrontare le conseguenze di calamità naturali, della guerra, e di una crisi economica, aggravata dal flusso migratorio che crea nuove diaspore in tutto il mondo e dall’arrivo dei profughi armeni dalla Siria. Inevitabile aprire l’interrogativo sul perché di tanta sofferenza.

Il percorso storico dell’Armenia prima del genocidio è stato ricostruito dalla prof.ssa Samuelli a partire dalle coordinate geografiche del territorio, ponte tra oriente e occidente, con brevi cenni all’insediamento dei protoarmeni ai piedi del Monte Ararat nella zona dei tre grandi laghi, Van, Sevan e Urmia, e all’unico periodo di consolidamento ed espansione territoriale con Tigrane il Grande nel I secolo a.C.

Venuta meno la stabilità territoriale, la sopravvivenza del popolo armeno, schiacciato tra i potenti imperi limitrofi, è stata garantita dai caratteri identitari del popolo legati alla religione cristiana, alla creazione della lingua scritta e allo sviluppo della cultura, oltre che alla conquista dei primi diritti umani e civili durante la dominazione persiana del V secolo. Con una rapida ricostruzione, a partire dal VI secolo, delle vicende dell’Armenia storica costituita da piccoli principati divisi tra Bisanzio e la Persia, del periodo delle invasioni arabe, della fioritura, tra il IX e il X secolo del regno armeno di Ani e nell’XI del regno di Cilicia, si giunge alle invasioni delle popolazioni nomadi dell’est (Selgiuchidi, Mongoli, Mamelucchi, Timuridi), e infine alla conquista ottomana del XV – XVI secolo e al consolidamento dell’Impero che conobbe sino al XVII secolo una grande espansione e un’efficienza politico-amministrativa. Anche se l’uso della forza era contemplato dall’islam, ciò non vuol dire che non fosse a possibile per dei cristiani o degli ebrei convivere nell’ambito della società musulmana. L’impero aveva inquadrato le comunità dei non musulmani (greca ortodossa, armena o ebrea) nel millet, una istituzione tipicadegli stati teocratici che classificano i cittadini in base al loro credo. Il millet esprimeva l'identità comunitaria dei vari gruppi etnici come identità religiosa, e concedeva una forma di autonomia. Era dotato di una sua organizzazione amministrativa, con un capo religioso responsabile nei confronti dell’autorità centrale.La convivenza era possibile con l’accettazione da parte dei dhimmi e dei ghiavur (infedeli) della condizione di sudditi di seconda categoria, con diritti inferiori rispetto alla umma musulmana. I non islamici, una volta assoggettati, erano sudditi dell’Impero, ma godevano di diritti sociali e politici limitati, nell’ambito di una organizzazione del potere fondata sulla Shariya, la rivelazione della legge divina. Il sultano, oltre ad essere capo politico sostenuto da istituzioni militari consolidate, era califfo, vicario (non successore) di Maometto, custode della tradizione e delle consuetudini religiose.

Si trattava di una teocrazia che inglobava tutti gli aspetti dell’esistenza, politici, economici, sociali e stabiliva lo statuto dei non musulmani, fondato sulla divisione e l’ineguaglianza, su rapporti di superiorità dei musulmani e di subordinazione dei non musulmani. L’incompatibilità tra la religione islamica così come è stata utilizzata dai turchi ottomani e il diritto occidentale è evidente, se si pensa che di fatto il principio di uguaglianza viene riconosciuto solo ai musulmani. Questo stato di cose ha alimentato, soprattutto nell’Ottocento, sull’onda del risveglio delle nazionalità e dell’affermazione dell’età dei diritti, contrasti e conflitti fra armeni e turchi ottomani e ha costituito l’elemento centrale della “questione armena”.

Quando gli insuccessi militari segnarono il progressivo declino politico dell’Impero, le condizioni delle popolazioni assoggettate si aggravarono. L’Impero ottomano non aveva la forza di riformarsi dall’interno ed era minato dall’irredentismo “esterno”, dall’arrivo dei profughi turchi dai Balcani , dalla crisi economica, dai fermenti interni della comunità armena, che lanciava appelli alle potenze europee e alla Russia zarista. Quando queste ultime entreranno direttamente nella “questione armena, si creeranno le condizioni che preparano il terreno della “pulizia etnica” del popolo armeno.

Il percorso storico si è fermato alle conseguenze della pace di S. Stefano e del trattato di Berlino del 1878, che chiudono la guerra russo-turca da cui si riprenderà nel secondo incontro del 5 febbraio 2015, dalle ore 15.00 alle 17.00, dedicato ai temi del genocidio e del negazionismo.

11 dicembre 2014

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