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La storia si ripete ai danni degli armeni?

la Turchia e il massacro di Kesab

Il 21 marzo scorso miliziani di al Qaeda scortati da soldati turchi sono penetrati nel villaggio armeno di Kesab, in territorio siriano, saccheggiando, uccidendo e profanando le chiese. Kesab, a pochi chilometri dal Mussa Dagh immortalato nel romanzo di Werfel, è un luogo simbolo della resistenza armena al male estremo e anche della religiosità degli armeni. Si può dire che qui viene conservato il cristianesimo dei primi martiri, dunque l'anima spirituale dell'Armenia, e nello stesso tempo questo villaggio reca la memoria del genocidio del 1915. Questo piccolo paese della Cilicia infatti fu decimato, l'85% della popolazione uccisa, in quel tragico anno in cui il Governo dei Giovani Turchi sterminò un milione e mezzo di armeni. Ancora prima, nel 1909, gli armeni erano stati messi in fuga dagli Ottomani. Siamo quindi alla terza cacciata degli armeni da Kesab.
Nel 1939, su pressione del cardinale Aghajanian, che più tardi sarebbe stato candidato al soglio pontificio nel conclave che elesse Papa Giovanni XXIII, Kesab fu assegnato alla Siria, e quindi è stato per anni un porto sicuro. Fino a questi tragici eventi del 2014, che hanno spinto le comunità armene di tutto il mondo a interrogarsi sul fatto se i turchi non continuino a odiare, e quel che è peggio a voler sopprimere con ogni mezzo, gli armeni. 

Una delegazione degli armeni d'America ha incontrato i funzionari del Dipartimento di Stato USA per chiedere che Obama intervenga a favore di questa minoranza "che ha famiglie americane ansiose di proteggere i loro congiunti e dar loro rifugio". Anche la comunità armena di Roma ha condannato la strage, che ha costretto alla fuga le 600 famiglie discendenti dalle vittime del genocidio armeno, tranne i vecchi, impossibilitati a lasciare Kesab e di cui ora si ignora la sorte. 

Il Console onorario d'Armenia in Italia Pietro Kuciukian ha scritto: 

È il terzo attacco, dopo quello del 1909 e dopo la deportazione e il genocidio del 1915 ad opera del governo dei Giovani turchi, subito dallo storico villaggio armeno siriano,unica sopravvivenza del glorioso regno di Cilicia. L’attacco all’alba del 21 marzo 2014 al villaggio armeno di Kessab nella regione nord orientale della Siria  ai confini con la Turchia, ha costretto più di duemila armeni alla fuga e ha causato numerose vittime. Si riaprono ferite  profonde. Risorgono in noi armeni incubi mai spenti. I ribelli islamici del fronte di al-Nusra vicino ad  al-Qaeda ai quali la Turchia ha concesso il passaggio sul proprio territorio hanno messo a ferro e fuoco le chiese cristiane del villaggio, la Chiesa armena ortodossa, la Chiesa armena cattolica e la Chiesa Evangelista. La tragedia degli armeni non ha fine. Parte della comunità di Aleppo si era rifugiata a Kessab per sfuggire ai bombardamenti e ai cecchini. Se sarà dimostrato, come sembra, che gli aggressori hanno agito con l’appoggio dei militari di Ankara, si dovrà evincere che il governo turco sta facendo rinascere la politica di aggressione contro delle comunità armene. È il terzo attacco, dopo quello del 1909 e dopo la deportazione e il genocidio del 1915 ad opera del governo dei Giovani turchi, subito dallo storico villaggio armeno siriano, unica sopravvivenza del glorioso regno di Cilicia, nella zona del Mussa Dagh. Gli eredi dei sopravvissuti al genocidio hanno ben viva la memoria di quanto accaduto nel 1915. Di fronte a questi attacchi brutali non possiamo che rivolgerci direttamente a quella parte della società civile turca che in diverse occasioni ha condiviso la memoria del 24 aprile e ha lottato per il dialogo e la riconciliazione". 



Kesab, scrive il Washington Post, è stata attaccata anche perché è una nota roccaforte al governo di Assad che, benché sia un feroce dittatore, ha tradizionalmente protetto i cristiani e gli altri suoi grandi sostenitori, gli alawiti. Ma al di là dei giochi geopolitici resta comunque la culla della civiltà armena e come tale un'importante testimonianza di cultura europea in Asia. Perciò, conclude Kuciukian, 
L’auspicio è che la società civile turca si  faccia promotrice di un movimento di protesta che blocchi la possibile rinascita di una  politica persecutoria del governo turco, politica che cancellerebbe gli sforzi di anni per costruire una convivenza nel rispetto della verità e dei diritti umani. 
Quali esito avranno le interrogazioni all’Onu, le proteste dei senatori degli Stati Uniti? Non dimentichiamo le vittime della guerra in Siria, teniamo viva la consapevolezza di quanto accade alle minoranze cristiane dell’area mediorientale e in altre parti del mondo, uniamo le forze di tutti gli uomini di buona volontà che si impegnano per la giustizia e per la pace. 

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