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Nel paese delle pietre urlanti

Viaggio in Armenia con i docenti del Liceo Tito Livio

I partecipanti al Viaggio in Armenia

I partecipanti al Viaggio in Armenia

Il “Viaggio in Armenia” ha concluso il percorso di conoscenza degli insegnanti del Liceo classico Tito Livio e di altri Licei di Milano e dell’hinterland che hanno partecipato al corso di aggiornamento “Armenia tra passato e presente: storia, identità, cultura".

Il centesimo anniversario del genocidio è stato l’occasione di un percorso storico-culturale connesso ai temi della memoria del Novecento, affrontati nell’ottica del recupero delle figure esemplari dei giusti e dei resistenti morali, con l’obiettivo di aiutare gli insegnanti a condurre gli studenti attraverso nuovi percorsi di ricerca sul  popolo armeno - tema ignorato o sottovalutato nei testi scolastici, malgrado le reali connessioni con la contemporaneità.

Un approfondimento che partendo dalla microstoria, vale a dire dal tema della presenza della diaspora armena in Italia - le piccole comunità presenti a Milano, Venezia, Livorno, Roma, Bari e in tante altri luoghi, integrate ma non assimiliate nel tessuto cittadino che le ospita - si é poi allargato alla macrostoria, con la ricostruzione delle vicende del popolo armeno dall’antichità a oggi, con la grande frattura del genocidio del 1915 e il negazionismo della Turchia che lascia nelle seconde e terze generazioni ferite non sanate; e infine la testimonianza di un figlio di un sopravvissuto dalla scoperta della sua terra e alla ricerca dei giusti che hanno disobbedito agli ordini  cercando di soccorrere le vittime e dei testimoni di verità che hanno documentato la realtà del genocidio.

L’identità religiosa, linguistica, letteraria e artistica di un popolo di architetti, scultori, miniaturisti, musici e poeti, rimasto in vita nella piccola patria dell’Armenia indipendente dal sistema sovietico dal 1991 (circa tre milioni di abitanti e sette milioni in diaspora nel mondo), è stata ricostruita negli ultimi incontri, e tuttavia doveva essere, ed è stato, il Viaggio in Armenia a completare degnamente il percorso di conoscenza compiuto a livello teorico.

Dieci partecipanti, insegnanti e presidi, guidati dalla sottoscritta e dalla guida locale Karen - un tenore colto, entusiasta, animato da forte sentimento di appartenenza alla patria armena - hanno compiuto il percorso sulla terra d’Armenia, quella che Mandel’stam definiva Il paese delle pietre urlanti.

In effetti percorrere le strade dell’Armenia significa essere continuamente a contatto con le pietre. Le pietre delle chiese e degli antichi monasteri, le pietre in rovina delle fortezze, luoghi di culto, di incontro e di studio, di difesa; le pietre dei khachkar, le antiche croci che fiorivano su tutto il territorio armeno, i tufi rosa delle città, le pietre in rovina dei kolchoz abbandonati, edifici e strutture architettoniche oggi privi di tutto ciò che li circondava, villaggi, abitazioni rurali, campi coltivati.

Pietre sopravvissute a secoli di storia, rimaste nude, e diventate oggi meta di pellegrinaggi di turisti e studiosi, che fotografano, misurano, contemplano. Le pietre d’Armenia ci hanno fatto vivere la memoria, in un movimento continuo tra passato e presente e ognuno di noi le ha caricate di significati e valori. Nell’antico monastero di Ghegard, la voce poderosa della guida Karen che ha elevato un Der Voormia (Signore pietà) nella chiesa superiore, dove l’eco l’ha trasformata in un grande coro; ci ha immerso, a partire dal primo giorno, nel cuore della realtà armena, dove l’identità religiosa è l’elemento forte della cultura del popolo. Un cristianesimo vissuto da dominati durante l’Impero Ottomano nell’Armenia perduta del Metz Yeghérn, il genocidio; un cristianesimo vissuto nell’ombra durante il comunismo, in quella che è rimasta oggi l’unica patria armena; un cristianesimo che oggi rivive in libertà e in tutte le sue forme più tradizionali.

Viaggiare in Armenia oggi significa vivere un’esperienza di contrasti e di realtà assai diverse tra loro. Yerevan, la capitale, si sta già avviando a quei processi che noi conosciamo bene: urbanizzazione selvaggia, distruzione dei centri storici, periferie abbandonate, ricchezza e povertà. Povertà che domina nei paesi, sia a sud nella piana dell’Ararat, che a Nord verso le montagne. La notte trascorsa a Gyumri, l’antica Alexandropol degli zar devastata dal terremoto del 1988, ci ha permesso di constatare come il processo di ripresa sia lento. Abbiamo però anche potuto toccare con mano i risultati dello sforzo e dell’impegno profuso in questa realtà dal console onorario italiano Antonio Montalto, medico accorso ad aiutare i sopravvissuti al disastro del terremoto e rimasto sul territorio a organizzare con Family Care gli ospedali, i reparti per le partorienti, e poi ad avviare attività di artigianato locale e di accoglienza turistica - un turismo responsabile e culturale, che oggi sta dando i suoi frutti. Montalto ha ospitato il nostro gruppo sia a Gyumri sia a Yerevan, dove una sera abbiamo incontrato gli studenti dell’Università Brusov che seguono i corsi di italiano, insieme ai loro insegnanti. È stato un dialogo e un confronto che ha lasciato una traccia forte in tutti noi, per l’interesse, la curiosità, il desiderio di sapere di più dell’Italia e del nostro modo di vivere. Gli studenti parlano l’italiano a un buon livello e sono in grado di dialogare e comunicare le loro esperienze. Erano molto interessati all’attività di Gariwo, la foresta dei giusti e abbiamo spiegato che anche per il genocidio armeno si lavora nelle scuole, a partire dalle figure dei salvatori e dei testimoni di verità. Da questo incontro è nato il proposito di organizzare scambi culturali con gli studenti di Milano.

Grande interesse ha suscitato la visita al Matenadaran, il Museo del Libro, che custodisce i più antichi codici miniati armeni, laboratorio di studio, di restauro e insieme luogo di attività culturali a livello internazionale.

La visita a Dzidzernagapert, la Collina delle rondini che custodisce, a Yerevan, il memoriale del genocidio e il Museo completamente rinnovato per il centenario, ha fatto capire a tutti noi cosa significa non poter sanare, a causa del negazionismo del governo turco, la ferita profonda del genocidio - ferita inferta a tutta l’umanità. Solo la visione del giardino e del Muro della memoria dei giusti, con i nomi dei salvatori e dei testimoni di verità, ha fatto rinascere la speranza di una riconciliazione e di un dialogo tra il popolo turco e il popolo armeno.

Abbiamo lasciato l’Armenia con la visione del monte Ararat, in turco “Montagna del dolore”, in armeno “Creazione di Dio”, e con l’impressione viva di una realtà umana accogliente. Per ogni armeno l’ospite e il visitatore sono “un dono di Dio”.

Annamaria Samuelli

Annamaria Samuelli, Responsabile Commissione educazione e cofondatrice di Gariwo

18 giugno 2015

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