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La memoria attraverso i vestiti

in mostra in Cambogia gli abiti delle vittime del genocidio

In quanto professionista nella conservazione dei tessuti, Julia Brennan ha lavorato per preservare dall'usura abiti di aristocratici, attori e cantanti di fama mondiale.

Tuttavia dal 2014 collabora anche con il Museo di Tuol Sleng, l'ex carcere cambogiano dove oltre 17.000 persone furono torturate e uccise dai khmer rossi durante la dittatura genocida che portò allo sterminio di un quarto della popolazione negli anni '75-'79.

Nell'ex prigione cambogiana il pezzo forte sono le fotografie delle vittime. Tuttavia con il tempo si è capito che gli abiti, comprese le uniformi dei detenuti come al Museo di Auschwitz-Birkenau e nel Museo della Shoah di Washington, sono molto efficaci nel trasmettere la memoria perché permettono ai visitatori di rendersi conto di quanto l'orrore colpisse individualmente le persone.

Nelle parole di Brennan: "Non necessariamente si piange se si vede un teschio, ma se ci si imbatte in un maglione che sembra quello di nostra madre sicuramente l'effetto è diverso". 

Per questo l'esperta ha lavorato come consulente dei principali musei della Memoria, anche in Rwanda. In questo Paese in particolare ha realizzato un sistema di "microclimi" che consentono di conservare gli abiti con un effetto di grande naturalezza. "Perché si attivino i ricordi, infatti - spiegano al museo - bisogna che la maglia non abbia un aspetto troppo liso".

Una speciale attenzione viene dedicata a elementi come lo sporco o gli insetti, perché possono rivelare informazioni preziose sul contesto in cui vissero le vittime del genocidio.

Brennan sta formando lo staff del Museo dell'ex prigione di Tuol Sleng a compiere queste opere di conservazione degli abiti. I suoi allievi, come Khuo Chenda e Kong Kuntheary, hanno raccontato al sito AP News che sono molto orgogliosi di poter aiutare la conservazione di reperti importanti, "anche per i prossimi 100-200 anni".

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