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L'istruzione negata e il drammatico destino dei bambini che non vanno a scuola

di Regina Catrambone

Nel nostro Paese, settembre è il mese che inaugura un nuovo anno scolastico. Ricordo perfettamente i miei genitori che compravano a me e mio fratello libri e materiali necessari all’apprendimento. Ricordo chiaramente com’eravamo felici di scegliere cosa indossare il primo giorno di scuola e la gioia di incontrare i nostri compagni di classe. Molti di loro sono diventati veri amici e abbiamo condiviso molto più delle lezioni scolastiche.

Io e mio marito diamo enorme importanza all’istruzione di nostra figlia e cerchiamo di offrirle le migliori opportunità perché crediamo che l’istruzione sia fondamentale per la realizzazione personale, mentre la conoscenza ci aiuta ad allargare i nostri orizzonti e rafforzare la nostra apertura mentale.

Fra i banchi di scuola poniamo le basi di ciò che diventeremo e impariamo cose che susciteranno il nostro interesse. Lentamente, capiamo cosa ci piace veramente, ci rendiamo conto di essere più bravi in matematica e scienze o che abbiamo un talento speciale per arte e letteratura. Il nostro percorso di sviluppo personale comincia a scuola che è una specie di famiglia allargata dove coltivare l’integrazione e costruire la società futura.

Tuttavia, l’istruzione - che è un diritto umano universale sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e da altri strumenti a livello mondiale e europeo - si sta trasformando in un privilegio. L’istruzione è un diritto fondamentale che deve essere garantito anche a tutti i bambini apolidi, migranti e rifugiati i quali non dovrebbero mai soffrire discriminazioni o marginalizzazioni per accedere al sistema scolastico.

Eppure, la realtà attuale è estremamente lontana da quanto affermano accordi e convenzioni internazionali.

Se prendiamo in considerazione i bambini Rohingya, ad esempio, solitamente non hanno accesso a percorsi scolastici e opportunità di apprendimento valide. In Myanmar vengono marginalizzati per motivi religiosi, mentre in Bangladesh i campi sovraffollati ostacolano qualsiasi pianificazione scolastica a lungo termine. Di conseguenza, molti Rohingya non sono mai andati a scuola o sono costretti ad abbandonare i percorsi di apprendimento per aiutare le famiglie. Per questo, recentemente, MOAS si è unita a un appello UNICEF affinché si dia maggiore supporto ai bambini Rohingya dal momento che in 500.000 rischiano di diventare una “generazione perduta (…) incapace di contribuire alla società in cui vivono qualora dovessero poter rientrare in Myanmar”.

L’ultimo report ISCG sottolinea come solo circa “143.000 bambini e adolescenti siano iscritti a programmi di apprendimento”, vale a dire che c’è un divario del 72% rispetto alle aspettative ufficiali. I fondi suscitano molte preoccupazioni perché ad oggi è stato raccolto solo il 26% del budget totale. Come già ribadito per il settore sanitario, che tuttora è quello con meno fondi (fino alla fine di agosto era stato raccolto solo il 17% del totale), la catastrofica mancanza di risorse disponibili rappresenta una grave minaccia per una pianificazione a lungo termine e per l’attuazione di soluzioni efficaci ad ogni livello, oltre ad essere la prova indiscussa dell’indifferenza da parte della comunità internazionale.

Attualmente, in Bangladesh ci sono oltre 3.500 aree per l’apprendimento, che rappresentano il 54% dell’obiettivo iniziale, e almeno 1.900 di essi sono considerati sicuri e hanno servizi igienici adeguatamente suddivisi a seconda del sesso. Ma, visto che il target iniziale era di 530.000, le strutture esistenti non sono in grado di soddisfare le esigenze educative dei bambini Rohingya e bengalesi che vivono nei campi e nelle comunità che li ospitano. Inoltre, la stagione monsonica ha provocato frane e allagamenti che hanno danneggiato rispettivamente 110 e 70 strutture.

Stando al report, c’è urgente bisogno di materiali didattici, spazi per l’apprendimento e soluzioni innovative, fra cui attività di apprendimento da casa o unità mobili. Inoltre, solo 2000 adolescenti (di età compresa fra 15 e 24 anni) ricevono istruzione e training adeguati.

Ma, l’istruzione dei bambini è preziosa per la loro stessa comunità.

Trascurando il futuro dei bambini Rohingya e di tutti i bambini nelle zone di guerra l’umanità intera viene minacciata. Ostacolando la loro crescita, impediamo al mondo di svilupparsi e progredire, mentre i costi sociali a lungo termine della mancata scolarizzazione non possono essere stimati con precisione.

Inoltre, troppi bambini non solo vengono marginalizzati ed esclusi dal percorso scolastico, ma subiscono violenze a scuola e nei dintorni. Il tragitto per andare a scuola può essere terribilmente pericoloso in alcune parti del mondo, la violenza fra ragazzi è in aumento e l’esposizione dei bambini a abusi fisici o psicologici spinge un numero sempre maggiore di studenti all’abbandono scolastico.

Le stime di UNICEF parlano di 151 milioni di ragazzi fra i 13 e i 15 anni vittime di una qualche forma di violenza fra coetanei a scuola e nei dintorni, mentre 171 milioni di bambini vivono in paesi dove le punizioni corporali sono accettate.

Il report “Una Violenza Quotidiana” spiega anche l’influenza di fattori quali tabù sociali, contesti pericolosi, armi nelle scuole, violenza fisica, sessuale o psicologica rispetto all’abbandono scolastico visto che ostacolano la partecipazione quotidiana alle attività di apprendimento. UNICEF, inoltre, ha denunciato che nel 2017 ci sono stati 509 attacchi accertati contro le scuole in Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan, Siria e Yemen. Non si possono considerare le scuole target di guerra e questa preoccupante tendenza a colpirle deve essere fermata immediatamente.

I leader mondiali, le ONG e la società civile devono collaborare per costruire scuole sicure e aumentare il tasso di bambini e adolescenti che ricevono istruzione e opportunità di formazione adeguate. Dobbiamo fare tutto il possibile per dare ai bambini le stesse chance di sviluppo per diventare adulti sicuri ed indipendenti.

Se trascuriamo l’istruzione dei bambini, trascuriamo il nostro futuro e quello del mondo.

17 settembre 2018

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