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Myanmar: la prima video testimonianza di ex-soldati birmani a conferma dello sterminio dei Rohingya

secondo le testimonianze l'esercito sarebbe colpevole

“Sparate. A chiunque vediate o sentiate.”: questi gli ordini che il comandante Than Htike avrebbe dato alle truppe di terra birmane secondo la recente video confessione, registrata da una milizia ribelle, di due ex soldati, oggi sotto custodia della Corte penale internazionale come potenziali testimoni in procedimenti giudiziari. Il video di cui parla il New York Times - girato nello Stato del Rakhine, nel Myanmar occidentale, dove i soldati erano tenuti in custodia delle milizie ribelli di Arakan - rappresenta la prima ammissione di colpa da parte del Tatmadaw, come è noto l'esercito del Myanmar, delle violenze sistematiche inflitte ai danni della popolazione rohingya

Minoranza musulmana nel Paese a maggioranza buddista, i Rohingya hanno subito soprusi fisici e  discriminazioni per decenni. Privati della cittadinanza e dei diritti civili e politici a essa connessi, senza libertà di movimento, perseguitati e sottoposti a una feroce repressione militare, sono stati costretti a fuggire; chi nel vicino Bangladesh, chi in Tailandia e Malesia, in quella che è stata riconosciuta come una delle più gravi crisi umanitarie di questo millennio. "Popolo senza Stato" in un perpetuo limbo tra le violenze etniche subite in Myanmar e la xenofobia incontrata altrove, sono più di 700,000 i rifugiati Rohingya attualmente nei campi profughi del Bangladesh. La Corte internazionale di giustizia nel 2020 ha ritenuto necessaria la "applicazione della convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio” da parte del governo del Myanmar, guidato da Aung San Suu Kyi che nega lo sterminio, nei confronti del gruppo etnico rohingya. Secondo un rapporto di Fortify Rights del 2013, l’obiettivo è, fin dal principio, lo sterminio di massa. "I genocidi non accadano spontaneamente," dichiara Matthew Smith, co-fondatore e amministratore delegato dell’organizzazione che si occupa di diritti umani in Asia sudorientale.

È in questo contesto che la video testimonianza rappresenta un’importante prova per il tribunale internazionale dell’Aia. "Questi uomini potrebbero essere i primi responsabili dal Myanmar processati all'I.C.C., e i primi testimoni interni sotto la custodia del tribunale", ha detto sempre Matthew Smith. 

I racconti sono agghiaccianti:

Myo Win Tun, 33 anni, racconta di aver eseguito gli ordini di un suo superiore di sparare a chiunque e disfarsi dei corpi in fosse comuni. Il volto impassibile, lo sguardo fisso, la voce ferma, racconta di aver preso parte al massacro di 30 musulmani Rohingya, tra cui 8 donne, 7 bambini e 15 uomini e anziani, e di aver stuprato una donna prima di ucciderla, come spesso facevano i suoi commilitoni;

Zaw Naing Tun, 30 anni, ammette di aver preso parte a un’operazione simile. La chiama "operazione di pulizia". Dichiara nel video di aver raso al suolo 20 villaggi, di aver ucciso almeno 80 musulmani Rohingya e di aver assistito allo stupro di gruppo di 3 donne.

Il New York Times non può confermare in modo indipendente che i due soldati abbiano commesso i crimini che hanno confessato, ma i dettagli nelle loro narrazioni sono conformi alle descrizioni, raccolte nei campi profughi dagli agenti delle Nazioni Unite e da organizzazioni umanitarie indipendenti, fornite da dozzine di testimoni e osservatori, inclusi rifugiati Rohingya, residenti del Rakhine, soldati Tatmadaw e politici locali. Anche la posizione delle fosse comuni fornita dai soldati coincide con quella data dai sopravvissuti. 

La Corte Internazionale di Giustizia potrebbe usare le testimonianze anche nel caso contro lo Stato del Myanmar per la sistematica distruzione del popolo rohingya, presentato al Tribunale dell’Aia dal governo del Gambia e firmato da 57 paesi dell’Organizzazione della cooperazione islamica. L’Olanda e il Canada hanno dichiarato il proprio supporto alla causa nel tentativo di giudicare il Myanmar responsabile per i crimini commessi contro la minoranza Rohingya. Si tratta, secondo i portavoce dei due governi, di "una priorità umanitaria".

15 settembre 2020

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