Raquel Villaécija e Alberto Rojas, reporter del quotidiano spagnolo El mundo, stanno girando il Ruanda per raccontare, attraverso le storie dei protagonisti del genocidio del 1994, la ricostruzione del Paese e le reazioni della popolazione dopo il massacro compiuto dagli hutu.
Abbiamo scelto di raccontare la storia di Donata e Alfred, che può essere considerata il simbolo della possibilità di una riconciliazione tra vittime e carnefici.
Marito e moglie; lui tutsi, lei hutu. Due famiglie per raccontare le ferite di un genocidio, e la possibilità di sanarle. Sotto il tetto della loro casa infatti convivono la figlia di un carnefice e il figlio della sua vittima.
Tutti a Kamembe, una delle zone più povere del Ruanda, conoscono la storia di questa coppia. Alfred e Donata fin da piccoli abitavano nello stesso villaggio con le rispettive famiglie, e non pensavano all'essere hutu piuttosto che tutsi: i loro genitori erano buoni amici. Ma quando nel 1994 gli hutu iniziarono a sterminare i cittadini tutsi, il padre di Donata si unì al gruppo di guerriglieri che uccise il padre di Alfred e altri membri della sua famiglia.
“Non solo lo assassinò - racconta la madre di Alfred, Bernadotte - ma segnalò anche il luogo in cui era nascosto mio marito”.
Quando la coppia decise di sposarsi, il padre di Donata - in prigione per gli atti compiuti durante il genocidio - si dimostrò contrariato. Non poteva ancora accettare che un tutsi chiedesse la mano di sua figlia. Ora l’uomo è tornato a casa e abita a pochi metri dalla famiglia della sua vittima. Grazie al matrimonio dei figli, ora i genitori sono buoni vicini.
L’amore di una vita ha cicatrizzato una ferita aperta da 20 anni. “Non mi importa quello che ha fatto mio padre - sostiene Donata - voglio solo vivere in pace. La nostra storia è un esempio di riconciliazione”. Le fa eco Alfred, secondo cui la moglie “non ha niente a che vedere con il peccato compiuto da suo padre”. L’uomo ha perdonato il suocero perché si è recato a casa della coppia a chiedere scusa per quello che ha fatto, condizione posta dai tribunali popolari ruandesi per concedere agli assassini di uscire dal carcere.
Non tutti nel villaggio guardano positivamente all’esempio di questa giovane coppia, alcuni vicini parlano di una relazione “contronatura”. Ma Alfred e Donata - insieme ai loro figli, il futuro del Ruanda - dimostrano che il perdono è possibile, e che dopo quasi vent’anni il Paese detto “Singapore dell’Africa” per la sua crescente economia è in grado di affrontare il suo passato e scoprire che sono più le cose che lo uniscono di quante lo dividano.
"La nostra storia è un esempio di riconciliazione"
la figlia di un carnefice e il figlio della sua vittima
16 luglio 2013
Ruanda 1994
lo sterminio dei tutsi e degli hutu moderati
Dal 6 aprile al 16 luglio 1994 si compie in Ruanda, piccolo Stato dell’Africa centrale, nella regione dei Grandi Laghi, il genocidio dei tutsi e degli hutu moderati per mano degli ultrà dell’Hutu Power e dei membri dell’Akazu.
La regione Ruanda-Burundi, esplorata a fine ‘800 dai tedeschi, viene affidata con mandato della Società delle Nazioni, nel 1924, al Belgio. Forti delle teorie fisiognomiche ottocentesche, i belgi si appoggiano, nello sfruttamento coloniale, all’etnia tutsi, che si era conquistata la corona intorno al XVI secolo, unificando il Paese e instaurando un regime monarchico di tipo feudale, sottomettendo gli hutu e i twa. Nel 1933 i belgi inseriranno l’etnia di appartenenza (hutu e tutsi) sui documenti di identità ruandesi.
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Multimedia
Il genocidio del Ruanda raccontato agli studenti
con Yolande Mukagasana e Jacqueline Mukansonera