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Il nuovo Ruanda

a 21 anni dal genocidio

Sono passati 21 anni dall’abbattimento, nella notte tra il 6 e il 7 aprile 1994, dell’aereo del presidente Habyarimana, che diede il via al genocidio in Ruanda. Oltre un milione le vittime, in un periodo di soli cento giorni.

Oggi l’Economist definisce il Presidente ruandese Paul Kagame, eletto nel 2000, uno dei leader di maggiore successo del continente africano, capace di trasformare il Ruanda in un Paese moderno e innovativo, che può contare su un prodotto interno lordo in aumento annuo del 7% - crescita trainata principalmente dalle colture alimentari e dal settore delle costruzioni - e su un importante flusso di investimenti stranieri. Ad attestare l’ingresso del Paese nel mercato finanziario vi è la Kigali City Tower, un moderno grattacielo simbolo del rinnovamento.

“Sono tornata nella mia terra per la prima volta nel 1995, ed è stato un vero shock - ci raccontava l’anno scorso Francoise Kankindi, presidente di Bene Rwanda - Poi ci sono stata quando è nato mio figlio, e ho trovato un Paese che stava tentando di rialzarsi dalle macerie del genocidio. Il mio ultimo viaggio in Ruanda è stato ad agosto, e mi sono sentita fiera di essere ruandese, di essere ritornata a casa, di fare vedere a mio figlio un Paese ricostruito e rappacificato. Oggi in Ruanda si sente la vita che pulsa, ed è da questo che dobbiamo ripartire”.

Il Ruanda si presenta quindi come la terza potenza africana, un Paese rivolto al futuro e alla ricostruzione. Ma quale spazio trova il passato in questo processo, soprattutto tra le giovani generazioni che non hanno vissuto gli anni del genocidio? Come viene spiegato ai ragazzi lo sterminio dei tutsi ad opera degli hutu?

Parlare di genocidio all’indomani del 1994 non era semplice. Al termine delle violenze, il tasso di orfani con i genitori uccisi durante i cento giorni era altissimo, e le vittime si sono trovate a dover convivere con i propri carnefici. Il processo di riconciliazione, tuttavia, ha puntato molto sull’istruzione, considerata una priorità nazionale: negli anni Duemila la scuola pubblica è stata profondante riformata, ed è stata introdotta la frequenza obbligatoria e gratuita di nove anni. Al centro di questi cambiamenti sono stati soprattutto i programmi scolastici, fortemente segnati dalla divisione etnica tra hutu e tutsi prima del 1994 - basti pensare che gli insegnanti spesso facevano alzare in piedi gli studenti, chiedendo loro di identificarsi in base alla loro appartenenza etnica.

Il problema dell’istruzione post-genocidio, messo in luce da un gruppo di esperti nel 1995 - che sottolineò anche la necessità di riformare completamente i libri di testo - portò alla sospensione temporanea dell’insegnamento della storia. Parlare di genocidio non era semplice, anche per la mancanza di un termine specifico nella lingua autoctona, il kinyarwanda. Se infatti si usava genericamente la parola itsembatsemba (sterminio), veniva a mancare il riferimento alla volontà di cancellare totalmente un gruppo etnico. Solo dal 2008, anno in cui Kagame ha varato numerose riforme costituzionali, è stata introdotto il termine specifico di “genocidio dei tutsi”.

Nonostante questi progressi, i libri di scuola ritirati nel 1995 non sono ancora stati reintrodotti, e la storia del genocidio è affidata alla responsabilità degli insegnanti, che seguono direttive ministeriali volte a incentivare l’impegno nella “politica della memoria” attraverso la visione di film e documentari e una linea didattica incentrata su patriottismo e storia comune del Paese.

1 aprile 2015

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