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Ricordare il bene compiuto

storie di Giusti del Ruanda

“Perché il genocidio contro i tutsi del Ruanda potesse avere inizio, prima di tutto ci si doveva sbarazzare delle persone di buon senso contrarie a un simile piano. Il potere genocidario per prima cosa ha massacrato alcune personalità politiche che si opponevano al genocidio, vale a dire le ali moderate dei partiti d’opposizione. Questi Giusti, per come li conosco, si sono mostrati contrari alla pianificazione del genocidio dal momento stesso in cui sono stati messi al corrente del progetto criminale”.

Così scriveva nel 2011 Yolande Mukagasana, sopravvissuta al genocidio e “testimone di verità” con il suo impegno per tenere viva la memoria di quei giorni e aiutare il Ruanda a rialzarsi dalle macerie dello sterminio dei tutsi. Yolande, a cui dal 2012 è dedicato un albero al Giardino del Monte Stella di Milano, si è salvata grazie al coraggio di una donna Giusta, Jacqueline Mukansonera.

Jacqueline è una giovane di etnia hutu che nel 1994, correndo un enorme rischio, per 11 giorni nascose Yolande -  che l’aveva curata nel suo ambulatorio a Kigali, nel quartiere di Nyamirambo - nella sua cucina, sotto un doppio lavello di cemento, facendola uscire solo di notte per mangiare e distendere i muscoli contratti. Le due donne non potevano neppure parlare, per timore di essere scoperte. Per mettere al sicuro Yolande, Jacqueline ha anche corrotto un poliziotto, che le ha procurato un documento d’identità falso, su cui Yolande è indicata come appartenente all’etnia hutu. Oggi Jacqueline vive in Ruanda, dove continua la sua battaglia per i diritti umani e dove ha fondato l’associazione “Jya Mubandi Mwana”, che si occupa di bambini con gravi handicap.

La donna non è la sola figura esemplare che ha rischiato la propria vita per soccorrere i tutsi durante il genocidio in Ruanda. Pierantonio Costa era il console italiano a Kigali nel 1994. Dopo l’inizio delle violenze, l’uomo ha cominciato una serie incessante di viaggi dal Ruanda al Burundi per mettere in salvo il maggior numero di persone possibile. Costa ha usato la rappresentanza diplomatica, la sua rete di conoscenze e il suo denaro per ottenere visti di uscita dal Paese per tutti coloro che gli chiedevano aiuto. Insieme al figlio Olivier, l’uomo ha agito di concerto con rappresentanti della Croce Rossa e di svariate Ong, e alla fine del genocidio avrà perso beni per oltre 3 milioni di dollari e salvato quasi 2000 persone - tra cui 375 bambini di un orfanotrofio della Croce Rossa.

Un’operazione simile è stata organizzata anche dal capitano Mbaye Diagne, osservatore militare della missione delle Nazioni Unite in Ruanda che, dopo l’assassinio da parte dei ribelli hutu del primo ministro Agathe Uwiliingiymana, decise di portare in salvo i figli della donna, conducendoli al famoso Hotel delle mille colline. Con questo gesto inizia la sua opera di soccorso, condotta nascondendo nel fuoristrada dell’ONU - sotto sacchi, coperte e altri oggetti - i tutsi perseguitati e terminata, dopo il salvataggio di circa 600 persone, con la sua morte il 31 maggio 1994, quando le schegge di una bomba sparata da un mortaio lo uccisero all’istante.

Diagne operava sotto il comando di un altro Giusto, il generale canadese Romeo Dallaire, che ha denunciato massicci acquisti illegali di armi da parte dei soldati regolari, dei miliziani Interahamwe e della popolazione civile, segnalando i rischi di nuove violenze: i suoi rapporti sono tuttavia rimasti lettera morta. Suo è il famoso “genocide fax”, che Dallaire  ha inviato alle Nazioni Unite per allertare la comunità internazionale del genocidio in corso in Ruanda; il suo appello però, come le denunce precedenti, rimase inascoltato.

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