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La Bielorussia di Lukashenko

dove il KGB non ha cambiato nome

Il museo di storia di Minsk ospita una mostra su quando il Paese era ancora una repubblica dell'URSS. In realtà, secondo il giornalista Marc Rice-Oxley del giornale inglese The Guardian, anche fuori dal museo si respira aria di socialismo reale. Non solo per i cupi palazzi sovietici, ma anche per le onnipresenti statue di Marx, Engels e Felix Dzerzhinsky. Quest'ultimo era una strana figura di comunista polacco, tra i fondatori dell'URSS, che fu il primo capo della CEKA. 

Le dittature comuniste - e la Bielorussia è l'ultima di esse rimasta in piedi in Europa - lo onorano con statue ovunque perché faceva parte dell'epoca mitica in cui sembrava che a finire nelle maglie del terrore rosso fossero solo i funzionari zaristi oppressori che avevano a loro volta torturato contadini e operai. Lo scrittore Manuel Vazquez Montalban, nel suo La Mosca della Rivoluzione, ha raccontato che inizialmente, forse anche per il tipico furore che accompagna i movimenti rivoluzionari, quando qualcuno doveva essere interrogato gli amici gli dicevano: "Non preoccuparti, c'è Dzerzhinsky che è uno onesto".  

In Bielorussia si respira poi un'aria da ex repubblica sovietica sentendo le proposte di Lukashenko, al potere dal 1994, che vuole tra le altre cose reintrodurre "la servitù, per insegnare ai contadini a lavorare". Questo accade in un Paese dove ci sono ancora colonie penali sulla carta per la rieducazione, in pratica dalle quali si esce senza denti per le avitaminosi. Mentre il dittatore si reca a ispezionare trattori o a visitare alleati in Kazakhstan, sentiamo la testimonianza di Natallia Pinchuk, che sta seguendo le sorti del marito, un oppositore imprigionato su accuse di evasione fiscale false. 

Secondo la donna, il cui partner - di nome Bialiatski - viene ostracizzato dai suoi stessi compagni di cella per paura di venirne "politicamente contaminati", alla colonia penale di Babruysk non c'è cibo e la salute fisica e psichica dei detenuti è a rischio. Natallia racconta: "Io non ho nessuno. Mio figlio è andato all'estero, i miei genitori e mia sorella sono morti. Ormai aspetto solo il febbraio 2016", quando suo marito, importante dissidente, dovrebbe essere liberato. Ma niente è sicuro in questo Paese. 

Niente, tranne il fatto che il KGB si chiama ancora così e viene utilizzata ancora la pena di morte per reati politici. "Un colpo di pistola alla nuca del condannato", spiega l'articolo Belarus: 20 years under dictatorship and a revolution behind the rest of Europe del giornale inglese The Guardian

In Bielorussia Lukashenko vince tutte le elezioni con l'80% dei suffragi a partire dal 1994. L'oppositore Andrei Sannikov, che aveva cercato di concorrere con il dittatore ai ballottaggi del 2010 e fu arrestato poco dopo, spiega che non sono mai state consultazioni regolari. Ora la percentuale dei bielorussi disposti a sostenere Lukashenko alle prossime elezioni, previste per il 2015, si è ridotta al 50%. Potrebbe essere abbastanza per consentirgli di governare, ma lui si ostina: vuole ancora l'80%. Sarà disposto a scontrarsi ancora con l'indignazione dell'opinione pubblica mondiale, che si era scatenata quando aveva addirittura cercato di togliere la potestà genitoriale a Sannikov e sua moglie Iryna sul loro figlio di tre anni? 

A Minsk oltre ai palazzoni comunisti ci sono povertà, isolamento, repressione del libero pensiero e dell'arte, come dimostra il caso del Belarus Free Theatre che deve riunirsi di nascosto per eseguire le prove degli spettacoli di Harold Pinter e di altri famosi drammaturghi che hanno il potere di evocare immagini potenti e stimolare il pensiero critico. 

Lukashenko si difende dalle accuse di essere un autocrate in tipico stile vetero comunista. Sostiene di aver salvato la Bielorussia dal separatismo, dal terrorismo, e dal "banditismo", una parola russa che indica tutto ciò che non si può tollerare in un Paese. 

Ora però, davanti allo scenario della Crimea, il dittatore bielorusso ha un grattacapo in più: per ora dichiara che i russi e i bielorussi sono grandi amici, ma avverte: "Se succede qualcosa al mio Paese, io combatterò. Perfino contro Putin". In conclusione, se l'Occidente aiuta l'Ucraina a rimettersi in sesto, i bielorussi potrebbero ritenere di avere possibilità di vita in un dopo-Lukashenko, magari anche muovendosi in un'orbita geopolitica diversa. Per contro, se Putin si stanca di questa specie di contadino riottoso che ha per vicino, che ogni tanto morde la mano di chi lo nutre, la vita dei bielorussi potrebbe farsi di nuovo molto complicata.  

Carolina Figini

Carolina Figini

26 giugno 2014

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