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Che cosa i climatologi vogliono che emerga dall’esperienza delle alluvioni?

di Katharine Mach e Miyuki Hino

Katharine Mach - ricercatrice senior e direttore della Stanford Environment Assessment Facility - e Miyuki Hino - candidata Ph.D. del Emmett Interdisciplinary Program in Environment and Resources di Stanford - dipingono sul New York Times un quadro di possibili interventi dopo l'ennesima catastrofe naturale scatenatasi negli USA. 

STANFORD, Calif. — Proprio come la maggior parte degli americani questa settimana, siamo rimaste come trafitte dalla catastrofe ancora in corso a Houston e nelle aree costiere del Texas, descritta dai media come “senza precedenti” e “oltre qualsiasi cosa mai sperimentata prima”.

Come se non bastasse, all’altro capo del pianeta è in corso un’altra calamità legata al clima, che riceve molta meno attenzione pubblica: l’alluvione monsonica che sta colpendo l’India, il Bangladesh e il Nepal, che ha ucciso più di mille persone e ha causato lo sfollamento di diversi milioni di abitanti. Anche qui, come a Houston, per la ricostruzione ci vorranno anni.

In qualità di scienziate che studiano i rischi climatici e le possibilità di reazione delle società, siamo state spinte a riflettere a fondo su quello che sappiamo - al meglio delle nostre conoscenze - sul perché questi disastri avvengano, su come un clima in cambiamento possa far saltare tutti i parametri esistenti e su come potremmo agire diversamente a riguardo.

La risposta, per gli scienziati e per ogni altra persona che stia assistendo al disastro, non è affermare sbrigativamente, come a volersi disfare definitivamente del problema: “Si tratta di un effetto del cambiamento climatico” o “Non c’è nulla che si possa fare”. Il tentativo di rispondere a questo quesito rappresenta invece un’opportunità di comprendere che cosa sta realmente accadendo al clima e tutti i modi in cui il comportamento umano porterebbe verso – ma potrebbe anche contribuire a mitigare – catastrofi future.

Iniziamo da due premesse. Il cambio climatico non causa eventi estremi, bensì li amplifica. E rispetto a qualsiasi calamità legata al tempo atmosferico, la nostra vulnerabilità agli elementi distruttivi è in definitiva l’elemento fondamentale, che contribuiamo noi stessi a creare.

Sul versante del rischio che è propriamente ascrivibile al clima, abbiamo prove univoche che stiano avvenendo dei cambiamenti. Le nostre emissioni di gas serra hanno già accresciuto la probabilità e la gravità di ondate di caldo, precipitazioni estreme e onde anomale. La maggior parte della popolazione mondiale abita luoghi vulnerabili a questo tipo di tempo atmosferico estremo, che verrà sempre più esacerbato dai cambiamenti climatici.

Gli scienziati oggi possono perfino stimare in che misura il cambio climatico abbia accresciuto la probabilità di singoli eventi estremi, incluse forti piogge e inondazioni. Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, sicuramente vedremo analisi specifiche sul ruolo del cambio climatico nelle alluvioni sia in Texas che in Asia Meridionale. Per dirla semplicemente, un’atmosfera più calda può contenere più acqua, aumentando il potenziale per rovesci molto consistenti. Le onde anomale si verificano ora all’aumento del livello dei mari fino al loro massimo, e comportano un serio rischio di alluvioni. Inoltre oceani più caldi possono produrre uragani più intensi, come è accaduto nel Nord Atlantico e nel Golfo.

I fenomeni senza precedenti stanno diventando la norma. Senza sforzi ambiziosi per fare abbassare le emissioni globali, i cambiamenti saranno intensi, con un possibile aumento del livello del mare fino a due metri e mezzo entro la fine di questo secolo. Perfino con riduzioni molto significative delle emissioni, sarebbe comunque in corso un riscaldamento ulteriore, comprendendo rischi ulteriori.

Sul versante umano della questione, come società dovremmo accogliere il fatto che il come e dove costruiamo le nostre case, piantiamo il nostro grano, costruiamo le nostre strade e i nostri ponti, e collochiamo le nostre scuole o industrie può produrre capacità di resistere alle avversità invece di attrarre le calamità. Ad esempio: quando i fiumi oltrepassano gli argini ricoprendo le loro rive di acque alluvionali l’acqua scorre in pianure aperte al passaggio dell’inondazione e strade cittadine con un buon drenaggio, o queste pianure alluvionali sono tutte asfaltate con ostruzione del drenaggio? Si consideri che mentre il Texas Medical Center è stato in grado di continuare a curare i pazienti costantemente, grazie a decine di chiuse e di generatori alzati da terra, l’ospedale è invece diventato ampiamente inaccessibile quando le strade nei dintorni si sono trasformate in veri e propri fiumi.

Non dobbiamo rimanere fermi a guardare. Per i tipi di inondazione visti questa settimana, prima di tutto possiamo compiere azioni individuali e collettive che ci rendano più sicuri in vista delle tempeste di domani. Per proteggere le generazioni future mentre il clima continua a cambiare, dovremo anche compiere alcuni sforzi a più lungo termine e più impegnativi.

Possiamo intraprendere azioni oggi che ci renderanno più preparati domani, indipendentemente da che cosa esso ci riserva. Le persone possono spostare su piani più alti gli impianti energetici delle loro case, conoscere le relative zone di evacuazione e farsi dei piani di emergenza. Gli edifici possono essere costruiti e progettati per resistere a venti con forza di uragani. Questi metodi sono testati ed è universalmente riconosciuto che salvano vite e denaro.

Anche le misure essenziali richiedono impegno e lungimiranza. In Florida, norme edilizie stringenti adottate dopo l’uragano Andrew sono a rischio di affievolimento, il che renderebbe meno costoso costruire case, ma sarebbero strutture più vulnerabili. A mano a mano che la memoria delle alluvioni si fa più evanescente, attenersi alle lezioni apprese richiede diligenza, soprattutto quando i vantaggi a breve termine ci spingono nell’altra direzione.

Ci sono anche modi di sfruttare meglio le dinamiche del mercato, attivandole per stabilire quali cose e persone sono esposte alle calamità. Un piano che si occupa di questo invece, il National Flood Insurance Program, è indebitato per miliardi di dollari e ha urgente bisognoso di riforma. I premi assicurativi per le alluvioni segnalano rischi per i potenziali acquirenti di case e promuovono lo sviluppo intelligente, ma per funzionare devono riflettere dinamicamente un rischio reale. Con i mari che si innalzano e i frequenti spostamenti delle precipitazioni, l’elemento rischio è un bersaglio mobile. La città di New York ha intrapreso il passo davvero insolito di sviluppare due mappe del rischio alluvioni, una per i livelli del mare attuali e una per quelli futuri. Questo modo di pensare proattivo dà più potere alle famiglie e alle imprese per guardare avanti, consce dei cambiamenti a venire.

Il cambio climatico a lungo termine richiederà soluzioni più creative. Per esempio, un modo ovvio, anche se controverso, di ridurre il rischio è semplicemente spostarsi dall’occhio del ciclone. Centinaia di governi locali negli Stati Uniti, da Harris County, Texas, a Fairbanks, Alaska, hanno già adottato questa opzione, comprando proprietà che sono state colpite ripetutamente da alluvioni e ripristinando gli ampi spazi non edificati che c’erano un tempo in quelle terre.

Per via dell’innalzamento del livello del mare, in questo secolo, da 4 a 13 milioni di americani saranno colpiti da alluvioni, molto oltre la capacità degli attuali programmi di reinsediamento in nuove aree. Saranno necessari nuovi approcci. Norfolk, in Virginia - particolarmente vulnerabile all’innalzamento dei mari - ha sviluppato una strategia adatta ai tempi presenti e futuri, che interesserà gli investimenti in infrastrutture tenendo in considerazione il cambio climatico. Una simile pianificazione a lungo termine è necessaria per sostenere comunità ed economie ricche per decenni a venire.

Non siamo completamente alla mercé del clima. Con molti strumenti disponibili e uno sguardo rivolto al futuro, possiamo limitare l’intensità del cambio climatico, minimizzare i rischi rimanenti e costruire un futuro resiliente.

5 settembre 2017

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