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Il pensiero pericoloso di Viktor Orbán

di Gabriele Nissim

Nella Praga degli anni 30, quando il nazismo cominciava in Europa il suo tragico iter, Milena Jesenska sosteneva che per vivere una vita degna bisogna occuparsi degli uomini che vogliono portare il mondo in una cattiva direzione.
Se non presti attenzione, prima o poi la cattiva politica entrerà a casa tua e diventerà un ospite sgradito alla tua tavola.

Per prendere delle contromisure occorre capire cosa hanno in mente quei politici che si presentano come paladini di un nuovo ordine. Non devi sottovalutare le loro espressioni, anche se si presentano come persone per bene e non sembrano in un primo momento arrecare danni sulla scena pubblica. Certe parole, pronunciate in un clima pacifico appaiono inoffensive, come se fossero solo una manovra elettorale per conquistare la pancia della gente. Molti credono che le parole siano soltanto una maschera per i giochi di potere, ma poi non avranno effetto sulla società dove alla fine prevarrà la ragionevolezza.

Oggi, nel mondo delle fake news e dei talk show televisivi, molte affermazioni sembrano vuote e pronunciate ad arte per una facile ricerca del consenso e così chi le ascolta non fa nessuno sforzo per immaginare quali conseguenze potranno avere nel nostro futuro.
Ecco perché è molto utile rileggere l’ottima intervista che l’inviato de LaStampa Alberto Simoni ha fatto al leader ungherese Viktor Orbán, che spiega in modo chiaro e preciso il progetto politico che propone all’Europa.
È il manifesto ideologico della nuova destra illiberale europea. Oggi non fa molta paura perché sembra una opinione come le altre, ma bisogna fare uno sforzo per vedere tutte le possibili conseguenze.

Qual è il meccanismo dell’emigrazione? Orbán usa la categoria dei vasi comunicanti. “La migrazione di massa è la più grande che ci pone di fronte la Storia. Io la chiamo migrazione dei popoli, una grande migrazione di massa. Alla base di questa c’è una ragione demografica: gli europei sono sempre meno, in Sahel, nel mondo arabo e nell’Africa nera ci sono sempre più persone. Che si muovono, vagano, girovagano per approdare qui.”
Come risolvere allora il problema?
Prima di tutto incentivare la natalità per impedire la contaminazione esterna e preservare la nostra identità etnica. Orbán sostiene, come altri leader politici in Europa, che se aumenterà la nostra popolazione i migranti non troveranno più sbocchi per venire da noi e l’attenzione al futuro dei nostri figli incrinerà i meccanismi di solidarietà. Dunque ci sono i bambini di serie A e quelli di serie B.
Pensando ai nostri figli non dovremmo più preoccuparci dei figli degli altri. La sua politica sulla protezione della famiglia potrebbe trovare questa definizione: prima i nostri figli di quegli degli altri. È questo il meccanismo più perverso attraverso cui si istilla il razzismo tra la gente. L’amore esclusivo per il proprio figlio diventa il tramite per legittimare la superiorità etnica nei confronti di chi proviene da un altro Paese. È la legge della superiorità razziale, ancora non scritta, ma che lo potrebbe presto diventare.

Orbán poi considera il valore della solidarietà come il virus pericoloso che mina la nostra società. Sbagliano dunque, per il leader ungherese, tutti coloro che propongono una politica comune per l’accoglienza dividendo le quote dei migranti nei diversi Paesi della comunità. Invece bisognerebbe che tutta l’Europa seguisse l’esempio del muro ungherese, praticando così una politica comune dei respingimenti.
“Gli italiani vorrebbero sbarazzarsi degli immigrati e dividerli fra gli altri Paesi e per questa mossa a Bruxelles è stata inventata un’ideologia, si chiama solidarietà. La nostra posizione è diversa: ci siamo difesi e abbiamo impedito che arrivassero qui e non vorremmo nemmeno che i migranti arrivassero da voi.”
Orbán non si pone nessun interrogativo sul futuro dell’Africa, sui problemi dello sviluppo in quei Paesi e sui cambiamenti climatici. Invita l’Europa a sbarazzarsi di ogni forma di pietas e a considerare i migranti come i potenziali distruttori della nostra civiltà. È una posizione che, passo dopo passo, legittima l’indifferenza e apre alla crudeltà nei confronti della sofferenza altrui.

L’orgoglio e la soddisfazione che Salvini ed Orbán mostrano durante la visita al muro costruito al confine con la Serbia è forse l’immagine più terribile di una possibile deriva umana. Chi si fa fotografare con entusiasmo di fronte alle barriere che bloccano persone affamate e sofferenti ricorda tristi immagini del passato davanti ai campi di prigionia.
Quando gli viene chiesto quale è la sua idea di Europa, Orbán risponde che il percorso di una condivisione comune porta al totalitarismo e che bisogna preservare le identità delle nazioni. Può sembrare che la democrazia nelle istituzioni europee possa funzionare meglio con la sovranità delle nazioni. Ma il suo discorso va in tutt’altra direzione. È la sovranità europea il pericolo. Dunque invita tutti i Paesi europei a seguire la loro strada e a non farsi condizionare.
“Nella terminologia europea oggi - sostiene Orban- il nazionalismo è visto con accezione negativa, per me non è così. La stragrande maggioranza degli intellettuali europei ritiene che guerre, dittature, sofferenze sono state provocate dai nazionalismi. Non sono d’accordo. Queste tragedie, infatti, sono state innescate dai tentativi fatti per la costruzione dei vari imperi europei. E io in Bruxelles attualmente vedo questo pericolo. Le élite bruxellesi dicono che noi stiamo alimentando il nazionalismo, noi pensiamo invece che siano le élite di Bruxelles che vogliono costruire un impero.”
Con queste affermazioni Orbán azzera la memoria dei conflitti nazionalisti che portarono al suicidio dell’Europa nelle due guerre mondiali. Infatti quando una nazione ha voluto porsi al di sopra degli altri con una politica imperiale sono nati i conflitti militari. Così, con un colpo di spugna, Orbán mette in discussione i meccanismi che hanno permesso all’Europa del dopoguerra di mettere a freno i nazionalismi e di aprire un percorso di condivisione.

Per realizzare questo progetto etnico nazionalista in un mondo globalizzato ci vogliono però due ulteriori condizioni: la messa in discussione di una idea di nazione plurale e la costruzione di una democrazia autoritaria e illiberale.
Orbán lo spiega in modo chiaro.
In primo luogo chiede di affermare la prevalenza dell’identità cristiana nei confronti di tutte le altre culture e religioni.
“I grandi spiriti che determinano il pensiero degli occidentali festeggiano ogni qualvolta vedono l’Europa volgersi in una direzione post cristiana e post nazionale. Lo chiamano progresso. Questo modo di pensare mi è estraneo. Io non provo gioia. La considero invece una resa della nostra identità. Non metto in dubbio il diritto di qualcuno a bearsi del suo multiculturalismo, ma vorrei che prendessero atto che l’Ungheria non li seguirà. Anzi la nostra Costituzione dice il contrario, sostiene che il cristianesimo è una spinta che mantiene forte la nazione.”
Esattamente con questa impostazione, il governo Horty negli anni 30 aprì la strada alle prime leggi anti ebraiche e alla discriminazione. Gli ebrei erano colpevoli di non essere dei veri ungheresi, nonostante fossero stati gli artefici della cultura e della modernità. E la campagna di oggi contro il finanziere ebreo Soros ha lo stesso segno: sono pericolosi per l’identità della nazione tutti coloro che in un modo o nell’altro sono cosmopoliti e sono aperti all’accoglienza e al dialogo con le altre culture.
Facile immaginare che il cristianesimo di Papa Francesco sia per il leader ungherese una pericolosa eresia.

In secondo luogo, anche la democrazia espressione della pluralità diventa un ostacolo per Orban, che afferma il diritto di essere illiberali.
“Oggi sono i democratici liberali i veri nemici della libertà. Essendo io un sostenitore della libertà devo essere illiberale.”
Dunque la costruzione di un regime autoritario diventa pienamente legittima in Ungheria. Tutto ciò che non rientra nel paradigma ideologico del partito di Orbán può essere censurato. La stampa libera è stata il primo bersaglio, come l’attacco agli intellettuali e la rimozione dalla scena pubblica dei combattenti contro il totalitarismo comunista.

Orbán parla in modo molto chiaro e dobbiamo prenderlo sul serio, perché molti in Europa sono affascinati da questi discorsi senza comprenderne le possibili conseguenze.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

3 maggio 2019

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