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La terra buona di Srebrenica

progetto comune di bosgnacchi e serbi

Venerdì 9 e sabato 10 maggio si terrà a Treviso la XXV edizione del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, ideato dalla Fondazione Luciano Benetton, che quest'anno premia  i villaggi di Osmace e Brezani, sulle alture di Srebrenica. 
L'invito nel box approfondimenti

C'erano i caschi blu dell'ONU a Srebrenica, nel luglio 1995. Dichiararono l'enclave musulmana "safe area" e i bosgnacchi, bosniaci di fede islamica, perseguitati dalle truppe di Mladic vi si rifugiarono in grandi numeri: 20mila, 25mila, 30mila. Abbastanza per costituire un bottino di guerra per il comandante serbo e i suoi carnefici: il generale Karadzic e i paramilitari di Zeliko Raznatovic, detto "Arkan la tigre". Nell'inerzia dei caschi blu le milizie serbe rapirono 8.000 maschi musulmani tra i 14 e gli 80 anni, li uccisero e sotterrarono in fosse comuni l'11 luglio 1995. 
Da quel momento la terra era abbandonata. Più ancora delle razzie di lupi e cinghiali, a impedire che vi nascessero buone piante erano i semi altamente invasivi della felce aquilina, una malapianta pervicacissima. Nelle terre intorno a Srebrenica non cresceva più nulla. Le persone erano come sradicate economicamente e psicologicamente dalla terra, e per questo motivo per 20 anni non sono nati neanche bambini sul luogo della più grande strage di civili del secondo dopo guerra in Europa. 

Ora Srebrenica, un tempo 40mila abitanti, divenuti 5mila dopo la strage, sta iniziando un percorso di rinascita. Le due frazioni Osmace, abitata da bosgnacchi, e Brezani, popolata da serbi, collaborano per fare rinascere le coltivazioni sulla terra falcidiata prima dalla follia genocida e poi dalla pianta parassitaria. Grazie a una donazione di 3000 euro e a una mietitrebbia risalente ormai a un'epoca remota, i giovani di queste due contrade hanno cominciato a lavorare insieme il grano saraceno, unica buona pianta che può resistere all'invasione della felce. Oltre al lavoro agricolo ridefiniscono i diritti di proprietà dove il catasto non esiste più e contribuiscono a ricreare l'identità produttiva e morale del paesino. 

Hanno tra i 20 e i 30 anni e sono i figli delle persone che vissero il genocidio in prima persona. Recuperano la terra e assieme la memoria, le trame familiari spezzate dalla strage dei padri, la voglia di rinascere. Sta riaprendo la scuola del villaggio, 9 alunni in tutto, ma tante speranze anche in chi ormai vive a Tuzla o all'estero e torna a Srebrenica solo per il sacrificio del montone, la festa più cara ai musulmani in cui si ricorda il momento in cui Dio chiese ad Abramo di sacrificare il figlio (Ismaele nell'Islam) e al suo posto venne poi ucciso un animale. 

I serbi di Brezani e i musulmani di Osmace hanno convissuto in pace fino allo scoppio della guerra. Poi la soldataglia ha attaccato i civili inermi, come mai era accaduto in precedenza. Ora un segnale della riconciliazione finalmente possibile è questo progetto agricolo - grano saraceno al posto della felce aquilina - che coltivando e vendendo il grano, ristabilisce la convivenza tra le due etnie. 

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