È bastato un drone con la bandiera della “Grande Albania” per trasformare una partita di calcio in uno scontro tra nazionalismi. È successo a Belgrado, dove si stava disputando la gara tra Serbia e Albania valida per le qualificazioni agli Europei del 2016.
Insulti tra i giocatori, violenze fuori e dentro lo stadio, il riaccendersi di sentimenti nazionalisti mai sopiti.
Questo il risultato della comparsa sul campo dell’immagine della Grande Albania, uno Stato immaginario che dovrebbe comprendere i territori albanesi, il Kosovo - indipendente dal 2008 ma ancora non riconosciuto dalla Serbia - parte di Macedonia, Grecia e Montenegro.
I primi commenti hanno rievocato le immagini della partita del 13 maggio 1990, disputata tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa di Belgrado. Gli scontri tra le tifoserie furono infatti la scintilla che diede il via al conflitto tra i due Paesi. Dopo più di vent’anni, siamo quindi di fronte a un simile pericolo?
“Non siamo nel 1990 - ha dichiarato la scrittrice croata Slavenka Drakulic in un’intervista rilasciata al quotidiano La Stampa - Questo episodio finisce qui. Sarebbe pazzesco il contrario. Né l’Albania né la Serbia hanno interesse a estendere il conflitto sul Kosovo. Ma il problema dei Balcani esiste. Non abbiamo fatto i conti con la nostra storia. Non è stata fatta chiarezza sul passato”.
Prima della partita infatti Serbia e Albania sembravano aver raggiunto un positivo miglioramento nelle loro relazioni, alla luce anche dell’imminente visita del premier albanese Rama a Belgrado. Dopo gli scontri tra le tifoserie, dilagati anche nelle città dei due Paesi, si rischia di tornare alla logica della contrapposizione tra “noi” e “loro”.
Secondo la Draculic oggi non pesano tuttavia le stesse divisioni che nel 1990 hanno portato allo scoppio del conflitto. “Allora la guerra era già bell’e pronta - prosegue la scrittrice - Avevano preparato tutto. Gli incidenti allo stadio erano una scusa. Il conflitto sarebbe scoppiato comunque”.
Quello che manca oggi tra i Paesi non è quindi la pace, ma un solido processo di riconciliazione. Che non deve passare solo attraverso organi istituzionali - come la Conferenza per la riconciliazione prevista per dicembre a Belgrado e sponsorizzata dalla Germania - ma deve raggiungere il cuore della gente.
Il più grande ostacolo a questo processo è tuttavia il forte nazionalismo di cui le società balcaniche, a partire dai libri di scuola, sono impregnate. Dopo più di vent’anni dal conflitto, i Paesi ancora si trovano a dover vivere con una memoria storica divisa e frammentata, avendo affrontato solo in parte il problema delle responsabilità di quanto accaduto. “Il nostro più grande problema - conclude la Drakulic - è che non parliamo del passato. Fra croati e serbi, albanesi. Ma finché non si fanno i conti con il passato non si può guardare al futuro”.