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La memoria di Srebrenica

una marcia pro-Mladic nell'anniversario del genocidio

“Sostegno al generale Ratko Mladic - Basta menzogne su Srebrenica”. Dietro questo slogan è stata organizzata per l’11 luglio una dimostrazione a Banja Luka, capitale dell’enclave serba in Bosnia Erzegovina, la Repubblica Srpska.

Una data non casuale, quella scelta, poiché si tratta dell’anniversario di quell’11 luglio 1995 in cui le truppe del generale Mladic entrarono nella cittadina di Srebrenica. Uomini e ragazzi dai 14 ai 78 anni furono separati da donne, bambini e anziani, per poi essere uccisi e gettati in fosse comuni. Il numero ufficiale delle vittime è 8372.

La marcia indetta in favore di Mladic intende celebrare la “liberazione” della città da parte delle truppe serbo bosniache. “Vogliamo presentare la verità su Srebrenica e sull’assassinio dei serbi prima dell’ingresso dell’esercito di Mladic nella città - ha dichiarato uno degli organizzatori della manifestazione - Vogliamo segnalare anche la manipolazione sul numero delle vittime di Srebrenica”.

Questa iniziativa si inserisce nella ferita, ancora aperta, del conflitto nella ex Jugoslavia. Scontri, divisioni, fratture e odii che continuano a vivere, anche a distanza di oltre vent’anni. Il tutto sorretto dal “sistema Dayton”, che dopo gli accordi di pace del 1995 ha creato in Bosnia un sistema tripartitico in cui coesistono al potere un presidente croato, uno serbo e uno bosgnacco.
La stessa educazione nel Paese vede il fenomeno del “curriculum nazionale” e delle scuole etniche - 57, al momento - in cui gli studenti vengono divisi tra i curricula croato, bosgnacco e serbo, ricevendo un insegnamento nella lingua in questione solo da insegnanti della loro stessa etnia.
Non mancano inoltre episodi come l’annuncio del presidente della Repubblica Srpska Milorad Dodik di voler mettere al bando i libri di testo editi dalla Federazione Bosniaca - l’entità a maggioranza croata - in cui si parla del massacro di Srebrenica e dell’assedio di Sarajevo. “Tutto ciò è falso e qui non verrà studiato”, ha infatti affermato il presidente.

Ne consegue la mancanza dell’elaborazione di una memoria storica comune e condivisa, elemento che apre la strada al negazionismo. Sempre più diffusa, o forse mai accettata, nell’enclave serba, è la parola “genocidio” in riferimento a Srebrenica.
Inoltre, di fronte alle sentenze del Tribunale dell’Aja - che a novembre si esprimerà con la sentenza di primo grado ai danni di Mladic -, da anni si assiste al riaccendersi dei nazionalismi e alla crescita di un sentimento di insofferenza nei confronti della giustizia internazionale.

Nel ventiduesimo anniversario di Srebrenica, a questo quadro si aggiunge il fatto che alcuni dei militari condannati dal Tribunale penale internazionale per i crimini legati al genocidio del 1995 hanno finito di scontare le loro pene e sono oggi in libertà. Tra di loro c’è chi, come Vinko Pandurevic - condannato a 13 anni - oggi continua a negare che Srebrenica si possa definire un genocidio; o chi, come Momir Nikolic, dopo aver scontato 20 anni di reclusione, ammette l’esistenza di un piano per lo sterminio sistematico dei bosgnacchi l’11 luglio 1995.

Ma Pandurevic e Nikolic non sono gli unici carnefici a camminare nei luoghi del genocidio. Infatti, come sottolineato anche da Hajra Catic, presidente delle Madri di Srebrenica,“sono circa 400 le persone, che oggi occupano un posto nelle strutture di polizia o nelle istituzioni stataliche hanno preso parte, in un modo o nell’altro, allo sterminio o a crimini ad esso legati”. 

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