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Storia di Hasan Hasanovic, sopravvissuto a Srebrenica

oggi attivista per la pace ed i diritti umani

L’11 luglio ricorre il 25esimo anniversario del genocidio di Srebrenica - ancora oggetto di pericolose campagne negazioniste -, in cui le truppe del generale Mladic entrarono nella cittadina e uccisero 8372 uomini e ragazzi musulmani, gettandoli poi in fosse comuni.

Per l’occasione, il Centro della memoria di Srebrenica-Potočari, in collaborazione con il Museo dell’infanzia di guerra di Sarajevo, ha girato un video documentario che raccoglie le storie di 100 uomini e donne sopravvissuti, durante l’infanzia, all’assedio di Srebrenica e al sistematico massacro della popolazione musulmana bosniaca da parte delle truppe serbe di Mladić. Attraverso gli occhi di una generazione distrutta, vengono raccontate le atrocità di quel luglio 1995. Uno dei curatori del progetto è Hasan Hasanović, sopravvissuto egli stesso alla cosiddetta “marcia della morte”, durante la quale migliaia di uomini e ragazzi di religione musulmana furono brutalmente uccisi dalle milizie serbo-bosniache nel disperato tentativo di raggiungere l’area protetta di Tuzla.

Hasan nasce il 7 dicembre 1975 a Bajina Bašta, nell’attuale Serbia occidentale, ma vive gran parte della sua gioventù tra il villaggio di Sulice e la città di Bratunac, nell'enclave serba della Bosnia ed Erzegovina. Quando la guerra raggiunge la Bosnia, nel marzo 1992, le città dell’Est sono le prime ad essere attaccate. La famiglia di Hasan, come molte altre, si vede perciò costretta ad emigrare a Srebrenica, una delle enclave sotto il controllo delle Nazioni Unite, dichiarate perciò “aree protette”. Qui, circondati dalle forze serbe, stipati, con poco cibo e niente elettricità, vivono per 4 anni circa 60,000 musulmani bosniaci. Ricordando quegli anni, Hasan fa riferimento ai campi di concentramento nazisti per descrivere la miseria ed il terrore a cui furono sottoposti.

La guerra si era allontanata temporaneamente da Srebrenica con l’ingresso dei caschi blu canadesi. O almeno, così sembrava, fino a quel luglio 1995, quando - passata sotto il controllo delle truppe olandesi delle Nazioni Unite ma miseramente abbandonata dalle stesse - Srebrenica viene rasa al suolo dall’esercito di Mladić. Le truppe serbo-bosniache entrano in città il 16 luglio, scagliandosi contro civili indifesi, bruciando moschee ed abitazioni, stuprando donne e sterminando la popolazione locale. Nel cuore dell’Europa, dopo i ‘mai più’ delle riparazioni post-Seconda guerra mondiale, si verifica un’altra terribile strage: più di 8,000 morti, decine di migliaia di profughi; un massacro a cielo aperto sotto il complice silenzio delle Nazioni Unite.

Hasan Hasanović, insieme al padre, lo zio ed il fratello gemello, riesce a fuggire attraverso le foreste. I tre si uniscono alla colonna di uomini e ragazzi nella marcia per la vita verso la città di Tuzla, territorio musulmano. Il sentiero è cosparso di mine, le truppe serbe non esitano ad aprire il fuoco verso civili disarmati con il solo cieco ed infame scopo di uccidere. Durante i bombardamenti, Hasan perde di vista il padre ed il fratello, che, come scoprirà anni dopo, sono stati uccisi dai serbi. Hasan non può fermarsi. “Mi sono detto che se volevo vivere, dovevo correre e correre senza voltarmi indietro”, ricorda.

Hasan, insieme ad altri uomini, corre per 6 giorni e 6 notti attraverso i boschi. La colonna umana di cui fa parte è spesso dispersa da nuovi attacchi armati. Gli uomini non si guardano. Hasan ricorda: “L’istinto di sopravvivere è un istinto potentissimo, e niente urla morte più del volto di un uomo indifeso e disperato. Per questo motivo, non ci guardavamo negli occhi”.

Il 14 luglio, dopo giorni di interminabile cammino, Hasan è esausto. Gli si chiudono gli occhi mentre cammina e non mangia da giorni. Il gruppo, ormai allo stremo, incontra un altro carro armato serbo. Hasan si sdraia a terra e tenta di rimanere fermo. È così che si salva - usando le sue stesse parole - “per miracolo”. Due giorni dopo, gli uomini raggiungono la valle di Balijkovica, 70 km a nord di Srebrenica e ad un passo dalla salvezza. Attraversano la valle e giungono finalmente in territorio musulmano. Da qui, sono scortati in pullman fino a Tuzla. Solo 3,500 uomini sono sopravvissuti, su più di 10,000 partiti da Srebrenica. Hasan è uno di questi. Riunito con i nonni, la madre e il fratello più piccolo, non può però smettere di pensare al padre e al fratello gemello. La speranza di ritrovarli è forte, ma vana. Durante gli scavi condotti dal Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia, vengono portate alla luce le fosse comuni, dove i corpi migliaia di bosgnacchi erano stati brutalmente gettati. Il padre, il fratello gemello e lo zio di Hasan vengono identificati poco dopo.

Hasan ritorna a Srebrenica nel 2009. Durante un’intervista con TelePace, afferma: “Credo di essere sopravvissuto per il solo motivo di essere testimone e raccontare alla gente quello che è successo”. Da allora, non ha mai smesso di fare campagna contro il negazionismo, andando per le scuole di tutto il mondo e parlando ai ragazzi e alle ragazze delle atroci conseguenze che il nazionalismo, portato all’estremo, può causare. Hasan è oggi un attivista per i diritti umani ed il curatore del memoriale di Potočari. “Voglio parlare alle persone e condividere la mia storia. È il mio cuore a parlare e finalmente qualcuno è pronto ad ascoltare".

8 luglio 2020

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