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Storia di Irvin Mujcic, ideatore del progetto Srebrenica - City of Hope

per ridare un futuro alla città

Nasce nel 2017 il progetto Srebrenica - City of Hope, dalla collaborazione tra l’associazione bosniaca Prijatelji Prirode Oaza Mira ed il Gruppo Italiano Amici della Natura. L’obiettivo è quello di promuovere il turismo sostenibile in un’area geografica un tempo nota per le sue bellezze naturali, oggi ricordata per il genocidio di più di 8,000 musulmani bosniaci avvenuto nel luglio 1995. “Si dice ‘Mai più Srebrenica’, ma credo si dovrebbe dire ‘Srebrenica: lezione imparata’, così che la memoria diventi speranza”, scrive l’ideatore del progetto, Irvin Mujčić sulla pagina Facebook dell’Associazione.

Irvin Mujčić fa parte della generazione di bambini e bambine bosgnacchi sopravvissuti alle campagne di “pulizia etnica” perpetuate dalle milizie serbo-bosniache. Nasce a Srebrenica il 5 dicembre 1987, in una famiglia benestante. Ha 5 anni quando il presidente musulmano bosniaco Alija Izetbegović proclama l’indipendenza della Bosnia ed Erzegovina, una dichiarazione contrastata dalla neonata Repubblica del Popolo Serbo di Bosnia ed Erzegovina e dal governo serbo di Milošević. Le tensioni etniche crescono, l’atmosfera si fa buia e torna il terrore dei Četnici, un movimento filo-monarchico e pan-serbo nelle sue prime fasi, quindi trasformatosi nel principale sostenitore delle campagne di “pulizia etnica” nella regione. È nell’aprile 1992 che le aspirazioni nazionalistiche da entrambe le parti sfociano in quella che rimane oggi la più atroce guerra combattuta in Europa dopo la fine del Secondo conflitto mondiale.

Irvin Mujčić, con la madre, la sorella ed il fratello minore, trova posto su uno degli ultimi autobus in partenza da Srebrenica il 16 aprile dello stesso anno, un giorno prima che la città fosse attaccata per la prima volta. Irvin ricorda perfettamente quel giorno. Non vuole partire, si nasconde prima nella foresta dietro casa, quindi in camera sua. La madre lo trova infine mentre riempie un sacco nero della spazzatura con i suoi giocattoli, intenzionato a portarli con sé. Gli dice che non è necessario, che sarebbero tornati a breve, ma sarà solo nel 2003 che Irvin riuscirà a mettere di nuovo piede nella sua casa d’infanzia.

La famiglia trascorre qualche mese nel centro del Paese insieme ai parenti paterni, per poi, al dilagare della guerra, fuggire clandestinamente verso la Croazia. Qui trascorrono un anno ammassati in un campo profughi, prima di raggiungere le coste italiane grazie ad un programma bresciano di accoglienza profughi. Ad Ancona, la famiglia viene ricevuta da una delle organizzazioni presenti sul territorio per l’accoglienza e la protezione degli sfollati e portata a Cevo, in provincia di Brescia. È qui, tra le montagne dell’Adamello, che Irvin trascorre circa vent’anni, ottenendo la cittadinanza italiana e stringendo legami duraturi con la popolazione locale e il territorio.

Oggi, divenuto adulto, Irvin Mujčić vuole però cambiare le cose. E, mentre migliaia di giovani bosniaci lasciano il Paese - afflitto da una pesante crisi economica e da uno dei tassi di disoccupazione più alti d’Europa -, il giovane bresciano-bosniaco fa il viaggio inverso: un ritorno al paese d’origine per far sì che la memoria diventi speranza. 
L’idea di Srebrenica - City of Hope nasce nel tentativo di risollevare l’economia locale e dare un nuovo volto alla città: non più un museo-cimitero a cielo aperto, ma luogo di speranza. “L’anno scorso sono passate per Srebrenica 500mila persone, l’unica immagine che ricorderanno è quella di un grande cimitero. Questo non serve al turismo e nemmeno alla vita della città”, afferma Irvin. E continua: “Arrivano in pullman al memoriale di Potočari, piangono e se ne vanno. Non si fermano nemmeno a mangiare”. 

Secondo il giovane attivista, per coltivare la speranza e rinnovare la memoria servono le voci di quei giovani che, fuggiti dalla guerra, possono oggi raccontarla. Nel 2017, grazie all’aiuto del Gruppo Italiano Amici della Natura, a volontari locali e a una raccolta di fondi online, l’associazione di Mujčić ha completato il restauro di una delle case della natura - costruita in stile tradizionale - che oggi può ospitare fino a 12 turisti. L’idea è quella di ampliare il raggio, coinvolgendo i paesi limitrofi di Osmace, Jezero Perucac, Ljeskovik, Jasenova, Potočari e Susnjare. I villaggi sono già collegati attraverso sentieri nei boschi, ma il sogno è quello di fare entrare i turisti a contatto con la realtà locale, prevalentemente agricola e a stretto contatto con la natura. “Nell’era del capitalismo tecnologico e l’industrializzazione di massa, questi villaggi rimangono un esempio di sviluppo sostenibile. Sono piccole oasi di pace per l’umanità e la natura, dove i visitatori hanno la possibilità di entrare in contatto con l’anima della Bosnia più autentica, lavorare la terra con le proprie mani, bagnare il terreno con il sudore del proprio lavoro, vedere le verdure crescere e assaporare il profumo della vita, del cibo e delle persone”, si legge sul sito del progetto. 
Irvin rimane oggi uno dei più attivi testimoni del massacro di Srebrenica. Con il suo progetto spera di “ridare un futuro alla città”, per dimostrare che dove c’è stata una tragedia, può e deve rinascere speranza.

8 luglio 2020

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