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Chi è sotto processo, Eichmann o Arendt?

il libro di una filosofa tedesca smentisce le tesi di Hannah Arendt

Adolf Eichmann nel 1961, durante il processo a Gerusalemme

Adolf Eichmann nel 1961, durante il processo a Gerusalemme

"Sebbene la Arendt si sbagliasse sulla profondità dell’antisemitismo di Eichmann, non si sbagliava su questi aspetti cruciali della sua personalità e mentalità. Vedeva in lui una sindrome del tutto familiare di rigida presunzione; esasperato atteggiamento di autodifesa sostenuto da esagerate teorie metafisiche e di storia mondiale; fervente patriottismo basato sulla “purezza” del proprio popolo; proiezioni paranoiche sul potere degli Ebrei e l’invidia verso di loro per i successi da loro ottenuti nella scienza, la letteratura e la filosofia; e il disprezzo per la pretesa disonestà degli Ebrei, la loro codardia e la pretesa di essere il “popolo eletto”. Questa sindrome era banale nel senso che era diffusa fra i nazionalsocialisti. 

Coniando l’espressione “la banalità del male” e rifiutandosi di far risalire gli atti di Eichmann alla natura mostruosa o demoniaca dell’autore, la Arendt sapeva di andare contro una tradizione del pensiero occidentale che considera il male in termini di peccato, depravazione e corruzione definitivi. Mettere l’accento sul fanatismo dell’antisemitismo di Eichmann non può servire a screditare la sfida della Arendt a una tradizione del pensiero filosofico; evita semplicemente di giungere a un franco confronto con tale sfida".

Così la filosofa Seyla Benhabib interviene dalle pagine del New York Timesnel dibattito sul libro Eichmann Before Jerusalem (Ed. Alfred A. Knopf) di Bettina Stangneth, uscito pochi giorni fa negli Stati Uniti (il testo integrale di Seyla Benhabib è disponibile nel box approfondimenti).

A 51 anni dalla pubblicazione de La banalità del male di Hannah Arendt, il lavoro della Stangneth capovolge le tesi della studiosa tedesca che nel 1961 seguì il processo del criminale nazista.

Ne emerge il ritratto non di un “esangue burocrate” che si limitava ad eseguire gli ordini, come evidenziava la Arendt, ma di un nazista fanatico e cinico che non si è mai pentito delle sue azioni e non ha mai rinnegato le sue convinzioni. L’autrice del libro è una filosofa tedesca, Bettina Stangneth, che si è concentrata sull’analisi della figura di Eichmann per oltre un decennio, studiando migliaia di lettere, memorie e documenti ritrovati in ben 30 archivi internazionali.

Secondo l’articolo di Mario Avagliano pubblicato sul Messaggero, il libro della Stangneth “rivela tanti dettagli inediti, come la lettera aperta scritta nel 1956 da Eichmann al cancelliere tedesco occidentale, Konrad Adenauer, per proporre di tornare in patria per essere processato e informare i giovani su ciò che era realmente accaduto sotto Hitler (conservata negli archivi di stato tedeschi), oppure la riluttanza dei funzionari dell’intelligence della Germania Ovest - che sapevano dove si trovava Eichmann già nel 1952 – ad assicurare lui e altri ex gerarchi nazisti alla giustizia. Ma il cuore del libro è il ritratto di Eichmann “esule” in Argentina, dove venne scovato e arrestato dagli agenti segreti del Mossad. All’apparenza era diventato un placido allevatore di conigli, con il nome di Ricardo Klement. In realtà l’ex gerarca nazista aveva conservato l’arroganza di un tempo e non era niente affatto pentito.”

Se ricerche precedenti si erano limitate a mettere in discussione le tesi della Arendt, il libro di Bettina Stangneth le “frantuma” definitivamente, come ha dichiarato Deborah Lipstadt, storica della Emory University e autrice nel 2011 di un libro sul processo Eichmann. “Siamo di fronte non a un ragazzo che si trovava semplicemente a dover fare uno sporco lavoro - ha dichiarato la Lipstad - ma a qualcuno che ha giocato un ruolo cruciale, e l’ha fatto con un impegno sincero”.

Al di là di questo nuovo ritratto di Eichmann, a fare notizia nel 2011, quando il libro di Bettina Stangneth è stato pubblicato in Germania, sono state le rivelazioni sui funzionari tedeschi, che erano a conoscenza della posizione di Eichmann già nel 1952. Tali notizie, si legge nell’articolo di Jennifer Schuessler sul New York Times, “hanno contribuito a rinnovare il dibattito sul dubbio se il governo tedesco del dopoguerra avesse completamente rotto con il proprio passato”.

Tra l’immensa quantità di documenti consultati dalla Stangneth, di particolare interesse sono risultate le trascrizioni di interviste segrete rilasciate da Eichmann nel 1957 a Willem Sassen, un giornalista olandese ex nazista residente a Buenos Aires. Questo materiale è stato ritrovato nonostante la catalogazione errata all’interno degli archivi - solo una parte di questi documenti erano infatti stati utilizzati durante il processo del 1961 - e ha portato alla luce l’esistenza di una sorta di circolo ristretto - formato da ex ufficiali nazisti - che si riuniva settimanalmente a casa di Sassen per discutere delle uscite letterarie sul tema dell’Olocausto, con l’obiettivo di raccogliere materiale per un libro che descrivesse la Shoah come una “esagerazione ebraica”. È proprio in questo contesto che Eichmann “rivendica” la causa nazista. “Se 10,3 milioni di questi nemici fossero stati uccisi - dichiarò infatti parlando degli ebrei - allora avremmo adempiuto al nostro dovere. Non posso dirvi nient’altro, questa è la verità. Perché negarla?”.

1 ottobre 2014

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