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Il massacro in Sinagoga, Israele si interroga

intervista a Manuela Dviri

Manuela Dviri da molti anni dedica la vita a promuovere il dialogo e la collaborazione attiva tra israeliani e palestinesi. Con il Centro Peres per la Pace ha dato vita a un progetto di cooperazione tra medici israeliani e palestinesi per offrire assistenza medica negli ospedali israeliani ai bambini che, per mancanza di fondi o strutture, non possono essere curati in Palestina. Scrittrice e giornalista, collabora con molti importanti giornali in Israele e in Italia. 

Abbiamo parlato con lei poche ore dopo il brutale attacco alla sinagoga Kehilat Bnei Torah nel quartiere ortodosso di Gerusalemme, in cui due attentatori palestinesi, poi freddati dalle guardie, hanno ucciso quattro rabbini e un poliziotto e ferito sette fedeli riuniti per la preghiera del mattino. 

Dopo l’operazione Protective Edge, Israele è finito in una spirale di tensione culminata nell’attacco alla Sinagoga di Gerusalemme. Cosa pensa di quello che sta succedendo?

Ci sono diversi aspetti da considerare. Da una parte, le dichiarazioni del premier Netanyahu e del suo governo che, per dirla con un eufemismo, nulla hanno fatto per migliorare la situazione molto tesa di Gerusalemme. In particolare, alcuni esponenti del governo sono andati a toccare lo status quo della città, talmente fragile che basta poco a farlo crollare miseramente. Dall’altra parte, si sono messe in moto forze provenienti dal mondo musulmano, come l’ISIS, che fanno addirittura sembrare Hamas un movimento moderato. Tutto il Medio Oriente è in questi mesi in fermento, dalla Siria alla Libia, dall'Iraq all'Egitto, non solo in Israele e in Palestina, e questo rende la situazione ancora più difficile. Pochi giorni fa, il segretario di stato americano Kerry, il premier Netanyahu e il re Abdallah di Giordania si sono incontrati per cercare di mitigare la situazione, ma probabilmente ci sono forze conosciute e sconosciute che hanno tutto l'interesse a lasciare le cose come stanno. L’unico elemento positivo, dal mio punto di vista, almeno in questo momento, è la dichiarazione del capo dello Shin Bet Yoram Cohen, il quale, nonostante le accuse lanciate da Netanyahu al premier palestinese, ha dichierato che Abu Mazen non è responsabile per quanto è accaduto.

Che clima c’è in Israele?

L’atmosfera quotidiana non è cambiata. Si vive come prima, anche perché gli esseri umani si abituano molto facilmente a tutto. Io abito a Tel Aviv e per quelli che come me vivono lontano da Gerusalemme, la vita procede normale. Il cambiamento è di fondo e riguarda un grande pessimismo, che sento nuovo.

Non è difficile comprendere la paura di chi vive in un Paese mediorientale come Israele, che oltre a dover affrontare la minaccia di Hamas al sud e di Hizbollah al nord, si trova anche l’ISIS a due passi da casa, praticamente alle spalle, in Siria. Nell’immediato, all'infuori di Gerusalemme, per ora non cambia nulla, ma alla lunga la paura dell'altro, aggiunta al sentirsi oggetto di critiche o di attacchi mediatici continui, fa sì che ci si senta soli e si diventi pessimisti. Più si diventa pessimisti, più ci si chiude in se stessi, più si fa fatica ad accettare che possono esistere anche le ragioni dell’altro, soprattutto quando l’altro compie atti di una tale violenza fisica… in questo contesto vorrei ricordare le terribili immagini dei taled (gli scialli rituali) gettati a terra, dei libri sacri insanguinati e dei rabbini uccisi nell'attacco avvenuto durante la preghiera della mattina a colpi di coltelli di cucina e di mannaie. Immagini che a noi ebrei ricordano momenti di un triste passato che speravamo di non dover mai vedere nello Stato di Israele.

In una situazione tanto complessa cosa si può fare per la pace?

Penso, e l’ho sempre detto, che gli estremismi si somiglino. Ma è altrettanto vero che i moderati si riconoscano tra di loro. È necessario che i moderati nel mondo continuino a dialogare, cercando di fare il possibile per migliorare la situazione, perché le forze contrarie sono fortissime.

Da anni lei è impegnata in progetti per il dialogo tra israeliani e palestinesi…

Da quasi undici anni, attraverso il Centro Peres per la Pace, mi occupo di un progetto che offre in Israele cure mediche ai bambini palestinesi che per svariate ragioni non possono essere curati in Palestina. In questi anni sono stati curati più di 10mila bambini palestinesi, un bambino è un bambino e ha diritto alla salute e alla vita ovunque sia nato. Ed è il mio modo di dialogare con l'altro. Di credere nella vita e nel futuro.

Il premier Netanyahu ha detto che reagirà duramente all’attentato. Cosa dobbiamo aspettarci nel futuro? Cosa ne sarà dei negoziati per la pace?

C'è da aspettarsi altri attacchi molto violenti e diversi l'uno dall'altro nei confronti della popolazione civile israeliana. Non credo, d'altra parte, che Netanyahu attaccherà nuovamente Gaza, malgrado questo ultimo attacco sia firmato Hamas, e non ho certo idea di che genere di reazione stia preparando. Quanto ai negoziati di pace, Obama in questo momento è purtroppo molto debole e la salvezza non verrà sicuramente da lì.
Il quadro generale però è cambiato. L’Egitto, la Giordania, la stessa Autorità Palestinese, Israele, tutti si trovano ora davanti al pericolo di ISIS. Con una guida migliore di quella del premier Netanyahu si potrebbero cercare nuove alleanze; ma l’attacco alla sinagoga di Gerusalemme probabilmente allungherà la sopravvivenza di un governo che fino a ieri veniva considerato sul punto di cadere. 

Cosa rimprovera maggiormente al premier che ha guidato il governo in questi anni?

Netanyahu, anche psicologicamente, si sente vittima: dell’antisemitismo nel mondo, dall'essere circondato da nemici, dell'atomica iraniana. E in un qualche modo strumentalizza la paura per i suoi scopi politici. Ma la mancanza di prospettiva, di coraggio, e di un minimo di speranza per il futuro, finirà per rafforzare i partiti di estrema destra che almeno, a modo loro, danno delle risposte.

Netanyahu, a mio avviso, verrà severamente giudicato dalla storia. Certo lo è da me, se conta qualcosa. 

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