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Il ruolo della polizia polacca nella Soluzione Finale

lo studio dello storico Jan Grabowski

Un documento che prova come gli agenti di polizia polacchi abbiano arrestato e consegnato gli ebrei alla Gestapo. Dal libro "Na Posterunku" di Jan Grabowski.

Un documento che prova come gli agenti di polizia polacchi abbiano arrestato e consegnato gli ebrei alla Gestapo. Dal libro "Na Posterunku" di Jan Grabowski.

Proponiamo di seguito la traduzione dell'articolo apparso su Haaretz di Ofer Aderet.

Era la fine di maggio quanto Jan Grabowski comparve sulla copertina di una rivista di destra polacca. Il volto dello storico polacco occupava gran parte della pagina, mentre sullo sfondo figurava minacciosa una foto in bianco e nero dell’epoca della Seconda guerra mondiale. “Una bugia impunita” sembrava urlare il titolo del noto settimanale di attualità Do Rzeczy, ed aggiungeva: “Nel suo libro sulla polizia blu, Jan Grabowski accusa di nuovo i Polacchi di aver partecipato all’Olocausto”.

“Chi ha detto che fare lo storico è una professione noiosa?” si è chiesto ironicamente Grabowski, all’età di 57 anni, nel leggere la copertina della rivista che chiedeva che fosse assicurato alla giustizia. Subito dopo, lo storico ha pubblicato un post su Facebook condividendo con i suoi studenti, colleghi e lettori da tutto il mondo l’ultimo episodio istigatorio da parte della destra polacca in una saga che lo vede protagonista dal momento in cui si è convertito in uno dei principali accusatori dei crimini commessi dai Polacchi durante l’Olocausto.

“Come si può immaginare, Do Rzeczy non approva il mio lavoro” scrive Grabowski. “Inutile dire che non leggerò l’articolo in questione, ma sono felice che il libro abbia avuto un impatto non solo tra i lettori più illuminati ma anche tra coloro che preferiscono costruire la propria identità storica su menzogne e falsi miti. Chissà, magari alcuni di loro leggeranno persino il ‘materiale pericoloso’?”

Con “materiale pericoloso”, Grabowski si riferisce al suo nuovo libro, pubblicato recentemente in Polonia con il titolo: Na Posterenku. Udział polskiej policji granatowej i kryminalnej w zagladzie Zydów e in arrivo, alla fine di quest’anno, nella traduzione inglese: On Duty: The role of Polish ‘Blue’ and Criminal Police in the Holocaust (In servizio: Il ruolo di polizia blu e polizia criminale nell’Olocausto”.

Grabowski, nato a Varsavia, ha dedicato un decennio della sua vita alla raccolta del materiale su cui si basa il libro. La sua ricerca lo ha portato a visitare archivi in Polonia, Germania, Stati Uniti ed Israele nel tentativo di portare alla luce documenti, come rapporti e registri delle stazioni di polizia dell’epoca, che pochi prima di lui hanno esaminato. Durante le sue ricerche, ha incontrato anche testimoni oculari, tra cui alcuni sopravvissuti all’Olocausto, che gli hanno raccontato i terribili crimini a cui hanno assistito.

Chiunque pensasse che, 75 anni dopo la fine dell’Olocausto, ci fosse ormai ben poco da scoprire si accorgerà immediatamente, nel leggere il libro, che ci sono in realtà svariati campi di ricerca rimasti inesplorati. Ma ciò che rimane è una verità scomoda e di difficile lettura sia per i polacchi sia per gli ebrei. “Mi ha sorpreso scoprire il ruolo che la polizia polacca assunse nello sterminio della popolazione ebraica del loro stesso Paese” dichiara Grabowski in un’intervista su Zoom con Haaretz, condotta dalla Germania, dove lo storico sta attualmente svolgendo le sue ricerche. “Omicidio, stupro, saccheggio - l’entità dei crimini è incomprensibile”, scrive nel libro. Nessuno storico ha mai trattato un materiale tanto delicato nel modo in cui lo ha fatto Grabowski. L’unico libro che fino ad ora avesse affrontato la storia della polizia polacca non tocca nemmeno l’argomento di questi crimini.

La Polonia perse la propria indipendenza dopo la conquista nazista del 1939. A differenza di ciò che successe in altri Paesi occupati dai nazisti però, in Polonia non venne mai instaurato un governo fantoccio di collaborazione. Un governo Polacco in esilio, pro-Occidente e anti-Nazista, fu istituito a Londra e un'organizzazione sotterranea polacca iniziò operazioni contro i tedeschi nella Polonia occupata. L’eccezione in questo contesto furono le forze di polizia, ricostituite dai tedeschi nell’autunno del 1939, immediatamente dopo la conquista del Paese. Molti agenti della nuova forza provenivano dalla polizia blu locale che era esistita prima della guerra, mentre altri erano nuove reclute. La parziale ricostituzione della polizia, spiega Grabowski, era dovuta alla necessità dei nazisti di controllare le Generalgouvernement- le aree della Polonia che non erano state annesse alla Germania nazista (e che includevano Varsavia, Lublino e Cracovia).

Oltre a svolgere le normali funzioni di forze dell’ordine, la nuova polizia polacca - che contava quasi 18,000 uomini armati - svolse nuove e diverse missioni, assumendo il ruolo di quelli che Grabowski chiama “assassini in uniforme.” La polizia polacca, sotto il controllo tedesco, spiega lo storico, si convertì in “un’organizzazione omicida e criminale al servizio dell’implementazione della Soluzione Finale”.

Alla domanda se non stia rischiando nel chiamare tali forze di polizia “polacche”, alla luce della recente campagna governativa contro l’utilizzo della parola Polonia in riferimento ai perpetuatori dell’Olocausto, Grabowski presenta le prove necessarie per supportare le sue tesi: sia i tedeschi sia gli ebrei chiamavano queste forze con tale nome al tempo degli avvenimenti. Oltre a una questione puramente semantica, comunque, il suo libro sfata l’idea prevalente nella cultura politica della Polonia contemporanea secondo cui i polacchi non avrebbero partecipato istituzionalmente o in maniera sistematica e organizzata allo sterminio degli ebrei, ma piuttosto lo avrebbero fatto in qualità di individui, isolati e disinseriti dal contesto normativo della società polacca.

Il libro di Grabowski dimostra l’esatto contrario. Sotto l’auspicio dei tedeschi, ma mostrando di volta in volta uno spirito di iniziativa e grande fervore, la polizia polacca prese parte alla sistematica eliminazione - diretta ed indiretta - della popolazione ebraica, tanto nelle città quanto nei villaggi, i ghetti e i nascondigli.

Senza la polizia polacca, i tedeschi non avrebbero portato a termine il loro piano”, dichiara Grabowski ad Haaretz. “La polizia diventò un fondamentale alleato della politica di sterminio tedesca”. Secondo lo storico, la polizia avrebbe svolto disparate funzioni, sia agli ordini tedeschi sia per conto proprio, dal presidio dei confini dei ghetti fin dal principio del conflitto e la liquidazione degli stessi, all’impedimento del contrabbando di viveri e la caccia ed uccisione degli ebrei che avessero tentato la fuga. Grabowski cita numerosi esempi, impegnandosi inoltre nel dare un nome ai “protagonisti” del libro, nei casi in cui è stato in grado di risalirvi. Lo storico crede infatti che dare un nome ai colpevoli costituisca un obbligo morale verso il figlio di un sopravvissuto all’Olocausto che combatté tra le linee dello stato clandestino polacco durante la rivolta di Varsavia del 1944.

Uno di quei nomi fatti da  Grabowski è Kazimierz L., un ufficiale di polizia polacco che, durante il suo tragitto verso la città di Tarnow, nel Sud-Est del Paese, rapì una donna ebrea della famiglia dei Kopelman e, insieme ad un altro ufficiale, la stuprò e uccise. Secondo le fonti dell’autore, Kazimierz L. avrebbe inoltre frequentemente derubato ed ucciso altri ebrei in modo simile.

Un altro agente, Stanislaw Mlynarczyk, d’istanza presso la stazione di polizia Radgoszcz, nel Sud del Paese, testimoniò nel 1942, insieme ad altri due membri delle forze dell’ordine, di aver arrestato quattro ebrei che si erano nascosti nella casa di un Polacco nel villaggio limitrofo di Zdzary. Gli agenti consegnarono gli ebrei ai tedeschi, che li uccisero. Durante lo stesso periodo, il poliziotto ammise di aver arrestato un’altra donna ebrea insieme al suo giovane figlio, che si erano nascosti nella casa di un altro cittadino. Anche questi ultimi furono in seguito assassinati dai tedeschi.

La ragione principale per cui i tedeschi richiesero la collaborazione dei Polacchi nella loro campagna omicida era che i tedeschi non erano spesso in grado di distinguere un ebreo polacco da un polacco che non era ebreo. Un ebreo che riusciva a scappare dal ghetto e a mescolarsi tra la popolazione avrebbe costituito un problema significativo.

“I tedeschi si trovavano in una posizione di svantaggio e non avevano la minima idea di come riconoscere gli ebrei una volta che questi si fossero mescolati alla popolazione al di fuori del ghetto e si fossero disfati della fascia al braccio identificativa,” spiega Grabowski. In questo erano aiutati dalla polizia polacca, i cui membri conoscevano i loro vicini ebrei e i luoghi in cui questi ultimi si nascondevano.

Ma lo storico documenta anche altri casi in cui gli ufficiali polacchi agirono in modo indipendente, uccidendo cittadini ebrei senza il coinvolgimento dei tedeschi. Secondo la testimonianza di un abitante del villaggio di Dulcza, a nordest di Tarnow, un giorno la polizia polacca fece irruzione in casa sua e trovò quattro ebrei che lui stava nascondendo. “Spararono agli ebrei e poi mi ordinarono di seppellirli”, sono le parole del cittadino riportate nel libro.

Un ebreo di nome Aleksander Kampf ha testimoniato, dopo la fine della guerra che nel 1943, che tre poliziotti polacchi avevano fatto irruzione nel fienile dove teneva nascosta la sua famiglia e trascinato fuori sua moglie e i suoi figli. Uno degli agenti, Piotr Binczycki, “sparò a mia moglie sul posto e portò i bambini alla stazione di polizia dove, dopo averli torturati per tutto il giorno e la notte, li uccise il giorno seguente.”

A Tarnow, i contadini locali consegnarono alla stazione di polizia un ebreo che avevano trovato nella foresta limitrofa. Un ufficiale di nome Marian Czerniewski si allontanò una dozzina di passi dall’uomo, i cui polsi erano stati legati con del filo spinato, e gli sparò alla testa. Verso la fine del 1942, un altro poliziotto polacco uccise una giovane donna ebrea e il suo bambino. Secondo le fonti citate da Grabowski, la donna avrebbe supplicato l’agente di essere clemente ed uccidere lei per prima, così che non avrebbe dovuto vedere suo figlio morire - ma le suppliche furono invano.

“Non posso dire che fossero tutti assassini, ma tutti hanno contribuito con eccezioni molto rare,” afferma lo storico. Nel 2017, il professor Grabowski suscitò scalpore durante una intervista con Haaretz a seguito della pubblicazione nel 2013 del suo libro Hunt for the Jews: Betrayal and Murder in German-Occupied Poland (Caccia agli ebrei: tradimento ed omicidio nella Polonia occupata). Il libro parlava del coinvolgimento dei polacchi nello sterminio degli ebrei in un’area rurale del sudest del Paese. Grabowski al tempo aveva stimato che il numero di ebrei uccisi durante l’Olocausto a causa del coinvolgimento, diretto o meno diretto, dei polacchi potesse raggiungere i 200,000. Quella stima, che poco dopo l’intervista si sarebbe diffusa a livello internazionale, provocò la reazione di molti in Polonia. Inoltre, l’affermazione inasprì la campagna di delegittimazione di cui lo storico era stato vittima nel suo Paese natale per 32 anni, e a causa della quale sarebbe esiliato in Canada, dove oggi insegna all’università di Ottawa. Grabowski continua a viaggiare tra i due Paesi e altrove in Europa per condurre le proprie ricerche.

Ora, tre anni dopo quei fatti, Grabowski spera di aggiornare i dati. “Devo dire che nel corso dei miei tre o quattro anni di lavoro, ho rivalutato quelle stime al rialzo. La mia ipotesi, di 200,000 ebrei era molto, molto, molto, molto prudenziale”.

Il motivo per una nuova stima è dettato dalle scoperte fatte in merito alla partecipazione dei poliziotti polacchi nella persecuzione della popolazione ebraica. “Loro furono coloro che assicurarono che non ci fosse una via di scampo per gli ebrei”, afferma.

Una delle cause principali per cui il suo ultimo libro ha suscitato tanto sdegno tra la destra polacca è stata l’identità stessa dei suoi “protagonisti”: a differenza degli incolti assassini polacchi aizzati nelle regioni rurali ad intraprendere una vera e propria “caccia agli ebrei”, gli agenti delle forze di polizia polacche erano normali cittadini che rispettavano la Legge e che avevano occupato una posizione sociale di rilievo nella Polonia dell’anteguerra. Secondo Grabowski, alcuni erano persino considerati “la crème de la crème.” Durante la guerra, oltre al loro servizio nella polizia al comando dei tedeschi, molti di questi uomini combatterono anche con lo stato clandestino contro la stessa Germania e per questo motivo sono oggi considerati eroi nazionali della Polonia.

Grabowski aggiunge: “Il fatto che molti di loro fossero eroi della resistenza polacca e, al tempo stesso, diabolici assassini di ebrei… e il fatto che questi due ruoli fossero compatibili è qualcosa di sconvolgente per me, in qualità di storico polacco, da ammettere”.

Alla domanda su come si possa spiegare il fenomeno, Grabowski nota che le cause si possono rintracciare tanto nella diffusione dell’antisemitismo, che dilagava in Polonia ben prima dell’Olocausto, quanto nell’efficace propaganda tedesca, che convertì gli ebrei - agli occhi degli ufficiali di polizia - da cittadini polacchi con uguali diritti a stranieri e, in ultima istanza, a corpi privi di qualsiasi umanità.

Questo è uno studio innovativo e sorprendente, che offre importanti prospettive sia nell’ambito della ricerca sull’Olocausto sia nel campo dello studio dei comportamenti umani in situazioni estreme,” afferma Havi Dreifuss, professore di storia all’Università di Tel Aviv e capo del centro di ricerca sull’Olocausto in Polonia presso l’ente nazionale per la memoria dell’Olocausto Yad Vashem a Gerusalemme. Il nuovo libro di Grabowski, aggiunge, “offre importanti contributi alla ricerca sull’Olocausto e ridefinisce le aree di attività e assenza e di distruzione degli strati centrali della società polacca di fronte all’omicidio degli ebrei.”

C’è però un raggio di luce nell’universo di morte descritto da Grabowski. Fioco, ma degno di menzione. Nel 1941, scrive lo storico, l’agente di polizia Franciszek Bana era di guardia all’ingresso del ghetto di Cracovia. Invece di svolgere il compito assegnatogli, introduceva di nascosto nel ghetto cibo e medicinali per gli ebrei. Yad Vashem riconobbe Bana come uno dei Giusti tra le Nazioni. Tra gli ebrei che salvò figurano anche Miriam Schein, all’epoca di soli 3 anni, Rabbi Lewertów ed i suoi figli e la famiglia Hoffmann.

Nel 1943, quando il ghetto di Cracovia venne chiuso, Bana corruppe un ufficiale delle Squadre Speciali per permettere a Róza Jakubowicz e il suo giovane figlio Tadeusz di scappare. Entrambi sono sopravvissuti all’Olocausto grazie all’agente. “Chi ha dato ad un uomo il diritto di uccidere altre persone?” commentò Bana più avanti.

Grabowski parla anche del prezzo che deve pagare, nella Polonia di oggi, per la sua completa devozione a questa causa estremamente difficile, sensibile e complessa. “Ci sono momenti stressanti”, ammette. “Ricevo lettere di odio e orribili telefonate, e ho anche spiacevoli incontri fisici. Ho subito sguardi sinistri dopo che la rete televisiva statale polacca ha dichiarato che sono un ‘falsificatore della storia’”. Lo storico non intende indietreggiare. “I nazionalisti non capiscono che se studi l’Olocausto, non lo fai per scelta. È un cammino che è stato scelto per te. Non puoi tirarti indietro e dire ‘Mi conformo’. Esiste un obbligo morale tanto verso i morti quanto verso i vivi”.

24 giugno 2020

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