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L'impianto educativo della Giornata della Memoria

intervista a Ugo Caffaz

In attesa del meeting Chi salva una vita, salva il mondo intero. Alla ricerca dei Giusti, in programma al Palamandela di Firenze il 27 gennaio prossimo, abbiamo chiesto a Ugo Caffaz, Consigliere per le politiche della memoria della Regione Toscana, un bilancio delle attività organizzate negli ultimi anni per celebrare il Giorno della Memoria.


Si avvicina il Giorno della Memoria. Negli anni lei si è occupato dell’organizzazione delle iniziative per celebrare questa ricorrenza. Qual è secondo lei l’importanza di questa giornata?

Importante è innanzitutto come la si fa e che tipo di iniziative si propongono. Noi abbiamo inventato il Treno della memoria, che ogni due anni porta circa 700 studenti ad Auschwitz. Prima questa iniziativa aveva cadenza annuale, ma poi ci siamo resi conto che era più efficace dedicare del tempo alla preparazione dei ragazzi, e così ora i viaggi si alternano alle attività educative. Il meeting che organizziamo ogni due anni ha permesso a 8mila, 10 mila studenti di incontrare testimoni della Shoah, del genocidio armeno, di quello ruandese e di altri stermini. Attorno a questo evento creiamo delle situazioni di studio, come quella di quest’anno, intitolata Potere, cultura, Shoah. Le responsabilità degli intellettuali.
Scopo di questo progetto è quello di analizzare il ruolo degli intellettuali compromessi e di quelli “borderline”, che assunsero atteggiamenti ambigui e voltarono la faccia dall’altra parte di fronte alle persecuzioni. Tra questi, ricordiamo Celine, grande scrittore e antisemita, Heidegger, grandissimo filosofo ma figura molto controversa nel rapporto con gli ebrei, o lo stesso Wagner, che non è stato nazista ma che ha scritto composizioni critiche sulla musica ebraica.
Se è importante concentrarsi sul tema della responsabilità - in questo caso sulle scelte compiute dagli intellettuali - è altrettanto indispensabile ricordare i Giusti, coloro che hanno fatto le scelte giuste.
Per noi la politica del Giorno della Memoria ha anche un carattere “strumentale”, deve servire a comprendere i meccanismi di quanto è accaduto e rendere le persone coscienti del fatto che questi fenomeni possono verificarsi in Ruanda, in Cambogia, ma anche a pochi passi da noi, come in Serbia. L’impianto delle iniziative è quindi educativo e pedagogico, mai celebrativo, anche se non mancano momenti emotivi - soprattutto durante i viaggi ad Auschwitz. Ritengo che quello che funzioni sia l’accostamento di scienza e coscienza... Questa è la nostra mission.


Dopo diverse edizioni dei viaggi e degli incontri con gli studenti, come valuta questa esperienza? Come rispondono i ragazzi a queste iniziative?

Non spetterebbe a me dirlo, ma trovo che i ragazzi rispondano benissimo. Siamo ormai alla quinta edizione dei meeting al Palamandela, e ogni volta si vedono 10mila studenti che ascoltano per tre ore i testimoni in assoluto silenzio, con uno spirito molto partecipativo. Per non parlare poi dei Treni della memoria: i ragazzi intervistati dopo i viaggi dicono sempre che questa esperienza ha cambiato loro la vita. Una volta è venuto con noi anche un ragazzo palestinese, che voleva vedere di persona il campo ed essere testimone della tragedia della Shoah.
Io mi sono occupato di promuovere la memoria fin da quando ero direttore generale della Regione Toscana. Ora sono in pensione e continuo a farlo, perché credo che sia utile, soprattutto per i giovani.


Il 27 gennaio si terrà all’Auditorium Mandela il meeting Chi salva una vita, salva il mondo intero. Alla ricerca dei Giusti, a cui parteciperà anche il presidente di Gariwo Gabriele Nissim. Chi sono gli altri invitati?

Per tradizione, al Palamandela incontriamo testimoni e Giusti di tutti gli stermini.
Quest’anno ospiteremo le sorelle Tatiana e Andra Bucci, bambine di 4 e 6 anni deportate ad Auschwitz e tra le pochissime che si sono salvate, grazie al fatto che le avevano scambiate per gemelle e volevano usarle come cavie per gli esperimenti - e per fortuna il campo è stato liberato prima che ciò avvenisse. Con loro anche Kitty Braun, una loro cugina deportata a Ravensbrück e Bergen-Belsen, Marcello Martini, giovane staffetta partigiana e deportato a Mauthausen a 14 anni, Thomas Punkenhofer, sindaco del Comune di Mauthausen impegnato in una ricostruzione positiva del ricordo, Claire Ly, sopravvissuta e testimone del genocidio cambogiano e Giusta del Giardino di Milano e alcuni salvati e salvatori locali. Ci aspettiamo da Gabriele Nissim l’appello finale, un appello ai Giusti.


Ritiene che il discorso sui Giusti possa arricchire le celebrazioni del 27 gennaio?

Assolutamente sì. Ho cercato Gabriele Nissim perché condivido la sua posizione e lavoro in questo senso da anni, e per noi è una grande soddisfazione averlo incontrato e aver organizzato questo incontro.
Ho sempre pensato alla necessità di aprire il discorso anche ad altri genocidi, e ritengo che questo non generi l’idea di una classifica delle sofferenze. La vittima è vittima, e questa riflessione non diminuisce il valore e la grandezza dell’Olocausto. La Shoah è il male estremo, il male assoluto, ed è importante capire come si sia arrivati a questo male per non arrivarci mai più.


È uscito in questi giorni un pamphlet di Elena Lowenthal dal titolo provocatorio, Contro il Giorno della Memoria, in cui l’autrice sostiene che, da ebrea, sarebbe forse un “sollievo” poter dimenticare quanto è accaduto. Condivide questa posizione?

Posso capire il peso del ricordo. Le vittime, che poi non siamo neanche noi perché siamo vivi, avrebbero il diritto di dimenticare. Chi deve ricordare sono i carnefici. Non a caso il Giorno della Memoria è istituito da una legge dello Stato, non da un’iniziativa della comunità ebraica. Come valutare la memoria dipende poi da ciascuno di noi. Io ho dedicato buona parte della mia vita a questo, attraverso studio e riflessione, pensando che la memoria serva a giudicare quello che accade e quindi sia utile per comprendere tutti gli stermini.

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

21 gennaio 2014

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