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La memoria della Shoah e la bontà insensata

il Giorno della Memoria in Spagna

Un'immagine di Sebastian Romero per un'iiziativa di Sefarad-Israel

Un'immagine di Sebastian Romero per un'iiziativa di Sefarad-Israel

Continua la serie di interviste sul Giorno della Memoria. Abbiamo chiesto a Juan Gutierrez, uno degli organizzatori del convegno Cities Destroyed by War tenutosi a San Sebastian alla fine di novembre, di raccontarci come si celebra questa ricorrenza in Spagna.

In Spagna il tema della memoria è molto forte. Nel 2007 è stata anche approvata la Ley de la memoria, per riabilitare le vittime della dittatura di Franco. Esiste qualcosa di simile anche per le vittime della Shoah?

Non molto. In Spagna la comunità ebraica ha una tradizione molto importante, che tuttavia sente ancora il peso della violenta espulsione ordinata dalla regina Isabella I di Castiglia nel 1492. Gli ebrei spagnoli sono stati perseguitati anche come parte del “Nemico” del regime di Franco, che secondo il generale era composto da comunisti, massoni ed ebrei. Quando nel 1978 arrivò la democrazia nel Paese, molti di loro sono tornati nelle sinagoghe, ad abitare luoghi da cui erano stati espulsi. Oggi esiste una comunità importante, concentrata a Toledo e a Madrid, ed è questa comunità a celebrare il Giorno della Memoria.


In generale, come viene celebrata in Spagna il Giorno della Memoria? Chi organizza le iniziative e a chi sono dirette?

In Spagna esiste il centro culturale dello Stato di Israele - Sefarad-Israel, con sede a Madrid - ed è questo centro a organizzare le celebrazioni. L’anno scorso, ad esempio, l’UNESCO ha invitato a dedicare la memoria della Shoah al ricordo dei soccorritori, e nella Casa de la America è stato organizzato un incontro di tre giorni per far conoscere gli episodi di soccorso degli ebrei, soprattutto sefarditi, che cercavano di fuggire passando attraverso la Francia e i Pirenei. Uomini, donne e bambini tentavano di raggiungere la Spagna, dal momento che il governo di Franco aveva riconosciuto la cittadinanza agli ebrei sefarditi.
Questi incontri hanno visto una grande partecipazione, anche emotiva, degli spagnoli.
Ricordo, ad esempio, il racconto di una donna ebrea che da bambina riuscì ad attraversare i Pirenei grazie all’aiuto delle popolazioni di montagna, che hanno permesso agli ebrei di attraversare la frontiera senza essere fermati dai carabinieri spagnoli schierati al confine.
 

Come viene percepito in Spagna il rapporto tra Franco e la Shoah?

Soprattutto nell’ultimo anno della Seconda guerra mondiale, tra il 1944 e il 1945, Franco si rese conto che la Germania nazista e l’Italia fascista avrebbero perso la guerra - l’Italia poi già nel 1943, con la nascita della Repubblica di Salò, era completamente sotto il controllo tedesco. Il generale decise allora di emanare la legge grazie alla quale gli ebrei sefarditi potevano richiedere la nazionalità spagnola. In un’intervista, apparsa anche sul New York Times con il titolo “Don Chisciotte contro Hitler”, si parlava di 160mila ebrei salvati da Franco in questo modo...Ma si tratta di una falsificazione, perché gli ebrei che riuscirono a mettersi in salvo devono la propria vita non al generale, ma piuttosto a quei popoli di montagna che li aiutarono con la loro “bontà insensata”.


Come viene accolto in Spagna il dibattito sulla Shoah? È sentito dalla popolazione?

Purtroppo non è molto sentito, c’è ancora un grande lavoro da fare. In Spagna c’è sempre, nel dibattito sul ricordo della Shoah, un forte richiamo all’attualità e alla questione mediorientale. La tendenza quindi è quella di legare la memoria dell’Olocausto a una forma critica del presente e della situazione dei palestinesi, soprattutto quelli della striscia di Gaza.


La Spagna ha visto diversi Giusti, soprattutto tra i diplomatici. Figure come Bernardo Rolland de Miota, Sebastiano de Romero e Angel Sanz Briz sono conosciute in Spagna?

Poco, purtroppo, e infatti sto lavorando molto su questo tema. La carenza, nel modo di fare memoria della Spagna, sta nel fatto che spesso le istituzioni e la cittadinanza stessa ricordano più l’orrore e il terrore di quanto accaduto, piuttosto che gli episodi di bontà, che pure sono stati fondamentali. Proprio per questo a San Sebastian, capitale europea della cultura 2016, stiamo cercando di portare avanti un progetto basato sul ricordo degli esempi positivi. La memoria di questa “bontà insensata” può essere molto importante per la società civile e soprattutto per i giovani, e spero quindi che si diffonda nelle scuole del paese basco, della Spagna e del resto d’Europa.

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

24 gennaio 2014

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