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La memoria delle memorie

di Moni Ovadia

L'approssimarsi della ricorrenza che porta il nome "Giorno della Memoria" ogni anno che passa sollecita con sempre maggiore urgenza, riflessioni non convenzionali su quale debba essere il senso profondo di questa istituzione nazionale ed europea. Il suo aspetto celebrativo si esaurisce nello spazio di una giornata e, spesso e man mano che i testimoni diretti ci lasciano, rischia di perdere la sua forza etica e la sua energia comunicativa. 

Il contributo più significativo dato dal "Giorno della Memoria" alla nostra cultura è stato probabilmente quello didattico-educativo. Decine di migliaia di studenti hanno potuto conoscere e confrontarsi con un evento che ha segnato indelebilmente e irreversibilmente la storia dell'uomo, e ha ipotecato la natura stessa della sua relazione col proprio simile. Purtroppo, con il trascorrere del tempo e a misura che gli eventi tragici a partire dai quali si è cominciato a costruire l'edificio della memoria si allontanano da noi, si affacciano i rischi della museificazione e quelli ancora più corrosivi della falsa coscienza e della retorica. Questi ultimi fanno parte dell'armamentario di cui si servono spesso molti esponenti della classe politica per conquistare facili consensi o per rifarsi artificiose verginità, al fine di coprire politiche ingiuste e discriminatorie. È una tipica espressione di questa sottocultura strumentale il polarizzare con enfasi il ricordo e l'esternazione formale del dolore solo sullo sterminio degli ebrei, la Shoà, per sottacere quello delle altre vittime - i Rom in primo luogo, gli antifascisti, gli omosessuali, i menomati, i Testimoni di Geova, gli slavi, gli emarginati, i militari che rifiutarono di piegarsi ai nazifascisti. Una fattispecie inquietante di questa attitudine vile è quella di israelianizzare tout court l'eredità dello sterminio. Questa manipolazione è non solo ingiusta, ma anche pericolosa, perché sottrae universalità alla memoria e tende a ridurla a una questione nazionale. È necessario contrastare questa deriva anche per ribadire il significato universale dello stesso calvario dei sei milioni di Ebrei.

Personalmente ritengo che sia giunto il momento di ridefinire la cultura e l'ethos della memoria in direzione del valore integro della vita umana; non solo, più radicalmente, verso il valore integro della vita stessa in tutte le sue manifestazioni. Per cominciare si potrebbe cambiare da subito la denominazione "Giorno della Memoria" in "Giorno delle Memorie". La nuova denominazione dovrebbe riorientare le manifestazioni, gli studi, l'edificazione della casa della Memoria come laboratorio della cultura di pace, di giustizia, di uguaglianza nel ricordo di tutti i genocidi e degli stermini di massa. Accomunati nel destino di essere stati vittime dell'odio annientatore, Ebrei, Rom e Sinti, Slavi, menomati, omosessuali, militanti della libertà, antifascisti, Cambogiani, Tutsi, Cinesi, Coreani, Argentini, i rappresentanti delle genti che hanno sofferto la pandemia dell'odio, interconnessi in una rete planetaria, potrebbero attivare un progetto comune per fare della memoria lo strumento principe per la fondazione di un'umanità redenta dalla violenza e dalla discriminazione.

Il grande scrittore e testimone Primo Levi, ammonendoci ad avere la consapevolezza che se l'orrore assoluto è accaduto può ripetersi, ci ha indicato l'orizzonte in cui collocarci per impedirlo: combattere la logica del privilegio in qualsiasi forma si manifesti.

Moni Ovadia, attore, drammaturgo, scrittore e compositore

Analisi di

16 gennaio 2015

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