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L’America e l’Olocausto

tra denuncia e assenteismo

Il Museo dell’Olocausto di Washington ha dato vita a un’importante mostra su un tema complesso e disturbante, il rapporto del popolo americano con il genocidio perpetrato dai nazisti: che cosa hanno fatto, cosa sapevano, cosa avrebbero potuto. Si chiama Americans and the Holocaust e racconta di motivi, consapevolezze e paure.

Nel 1933 Franklin Delano Roosvelt diceva “l’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa”. Gli Stati Uniti erano al 4^ anno di Grande Depressione, con la segregazione razziale galoppante e l’immigrazione vista come un’ulteriore minaccia al loro benessere, soprattutto quando si trattava di persone con “undesirable” national origin, una nazionalità “indesiderabile”. Eppure negli anni ’30 i giornali statunitensi titolavano: “La Germania nega la cittadinanza agli ebrei”, “I nazisti tengono prigionieri 10,000 nemici politici”, “La Germania brucia i libri proibiti”, “I nazisti annunciano il boicottaggio delle attività ebraiche”. I leader ebraici americani volevano persuadere il governo a condannare le persecuzioni naziste, ma erano in disaccordo su come agire. Alcuni organizzavano proteste, altri non agivano, forse per paura di una reazione antisemita negli USA.

Nella primavera del ’33 gli americani firmarono petizioni contro le violenze naziste sugli ebrei, ne vennero spedite a centinaia al Dipartimento di Stato, ma nessuna dichiarazione ufficiale. I diplomatici americani in Germania, nonostante le evidenze, esitavano, rispettavano il diritto dello Stato tedesco a governare. Il Console americano a Berlino George Messersmith nel luglio di quell’anno metteva in guardia: "È stato il passatempo preferito degli uomini delle SA attaccare gli ebrei, ed è chiaro che a loro non piaccia essere privati della preda”. Nei cinema statunitensi - uno dei principali mezzi di propaganda - gli spot iniziali dicevano “noi non vogliamo un’altra guerra straniera”, ma anche che “la democrazia in Germania era distrutta”, e che insieme ad essa “i tedeschi avrebbero cancellato la pace internazionale”.

Nel ’39 il Bund tedesco americano, un'organizzazione filonazista per americani di origine tedesca, portò avanti una propaganda che raggiunse grandi folle (anche 20.000 persone alla volta) e istituì una dozzina di Campi estivi, per indottrinare i bambini americani tedeschi, dove i campeggiatori indossavano uniformi della Gioventù hitleriana. Contemporaneamente, in seguito anche all’annessione dell’Austria alla Germania, il sogno di tutti i perseguitati era diventato quello di scappare negli Stati Uniti, ma le norme sull’immigrazione rendevano necessari anche due anni per poter partire (nel caso fortunato in cui si potesse). Ci volevano circa una decina di documenti diversi tra l’attestato di nascita, il certificato di salute, la lista delle proprietà, l’attestato di pagamento della tassa, quello che assicurasse una fedina penale pulita, il congedo militare… ed erano richiesti anche (a partire dal settembre del ’40) due sponsor finanziari in America, preferibilmente parenti, che garantissero di assumersi la responsabilità della persona dopo il suo arrivo negli Stati Uniti. Senza contare i costosissimi biglietti per le navi, l’intervista con il consolato americano, e i timbri rilasciati in ogni nazione da attraversare, posizionati con un preciso ordine. Un solo errore costava il rinvio agli Uffici Governativi, anche per molte volte. "È un fantastico commento sulla disumanità dei nostri tempi che per migliaia e migliaia di persone un pezzo di carta con un timbro su di esso faccia la differenza tra la vita e la morte”, dichiarava la giornalista americana Dorothy Thompson nel 1938.

Trentadue nazioni cercano paradisi per gli ebrei tedeschi”, riportava invece il giornale The San Diego Union qualche giorno dopo la Conferenza di Evian convocata da Roosvelt - che doveva decidere come gestire il continuo aumento di rifugiati disperatamente in fuga dal nazismo. Alla discussone parteciparono appunto i rappresentanti di 32 Paesi: la maggior parte di essi espresse simpatia per gli oppressi, ma tutti offrirono poca assistenza, sostenendo che una crescente immigrazione avrebbe potuto danneggiare le loro economie. Solo la Repubblica Dominicana accettò di accogliere. Negli USA fu anche indetto un sondaggio pubblico che chiedeva: “Dovremmo permettere a un maggior numero di esuli ebrei dalla Germania di venire negli Stati Uniti per vivere?”, il 71% rispose no. Inoltre, cinque giorni dopo la Notte dei Cristalli, il presidente americano ammise: “Non posso, in nessuna decente umanità, buttarli fuori”. Ma poi aggiunse anche che le quote di immigrazione degli Stati Uniti non sarebbero state cambiate per questo. Nel febbraio 1939, la First Lady Eleanor Roosevelt appoggiò il disegno di legge che avrebbe fatto entrare 10.000 bambini ebrei negli Stati Uniti al di fuori delle norme allora vigenti, ma il presidente non commentò mai ufficialmente la proposta.

Il 13 maggio 1939, la nave transatlantica tedesca MS St. Louis salpò da Amburgo per l'Avana trasportando 937 passeggeri, la maggior parte dei quali ebrei tedeschi. Quando la nave arrivò a Cuba, i passeggeri scoprirono che i certificati di sbarco che avevano acquistato non erano validi, e il governo cubano costrinse la nave a lasciare il porto. In viaggio verso Miami, i passeggeri inviavano telegrammi ai propri cari e ai funzionari pubblici negli Stati Uniti chiedendo di poter entrare. Ma, senza visti d’ingresso, dovettero tornare in Europa. L’American Jewish Joint Distribution Committee aid organization collaborò con il Dipartimento di Stato americano per convincere quattro Paesi - Gran Bretagna, Francia, Paesi Bassi e Belgio - ad ammettere i passeggeri. Un anno dopo, molti dei rifugiati si ritrovarono a vivere sotto l'occupazione nazista, dopo che la Germania invase il Paese che li aveva accolti. Dei 937 passeggeri della St. Louis, 254 furono vittime dell’Olocausto.

Fino al 1941 gli Stati Uniti si sentirono in diritto di rimanere fuori da un conflitto che consideravano straniero, fu l’attacco a Pearl Harbor (7 dicembre ’41) a cambiare completamente le cose, precipitando l’America in guerra. Da allora la propaganda statunitense ebbe come scopo il far comprendere ai cittadini la necessità di combattere il nemico. Ma il nazismo fu per loro soprattutto il nemico dei valori americani, non l’assassino degli ebrei. Il loro omicidio non venne quasi mai menzionato nei manifesti pro bellici.

Nel settembre 1942 la notizia della "Soluzione finale" raggiunse Gerhart Riegner, rappresentante del Congresso ebraico mondiale in Svizzera, mentre quasi la metà degli americani credeva che gli ebrei avessero "troppo potere e influenza" nei loro Stati. Riegner tentò di allertare il presidente del World Jewish Congress, il rabbino Stephen Wise, a New York, ma il Dipartimento di Stato bloccò il messaggio, sostenendo che si trattasse di una "voce di guerra". Poco dopo, tuttavia, il rabbino Wise ricevette la rivelazione da un contatto in Gran Bretagna. Alla fine di novembre, Wise informò la stampa statunitense che 2milioni di ebrei erano già stati assassinati come parte del piano di annientamento nazista.

Nel luglio 1943, inoltre, fu la volta del membro della Resistenza polacca Jan Karski, chearrivò negli Stati Uniti per denunciare lo sterminio degli ebrei. L’incontro con Roosevelt fu deludente, e il magistrato ebreo della Corte Suprema statunitense Felix Frankfurter, disse: "Io non dico che questo giovane stia mentendo, ma che sono incapace di credergli”. Le notizie sul massacro degli ebrei intanto apparivano quasi sempre nei giornali americani, ma buona parte dei lettori potrebbe aver dubitato della loro veridicità ricordando alcune “esagerazioni” a proposito delle atrocità tedesche durante la Prima guerra mondiale.

A novembre, un gruppo di membri dell’American Jewish Congress, influenzato dall'attivista Peter Bergson, introdusse risoluzioni che chiedevano al Presidente Roosevelt di istituire una commissione governativa per salvare gli ebrei d'Europa. In una testimonianza segreta, prima del Congresso, l'Assistente Segretario di Stato Breckinridge Long dichiarò che il Dipartimento di Stato aveva già ammesso 580.000 rifugiati, una richiesta presto dimostrata pubblicamente falsa. Nello stesso tempo, il personale del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti studiò i ritardi e gli ostacoli nell'invio di aiuti ai profughi ebrei in Europa e scoprì che i funzionari del Dipartimento di Stato avevano deliberatamente soppresso le notizie sul loro omicidio. Roosevelt firmò allora un ordine esecutivo, il 22 gennaio 1944, istituendo il Consiglio per i rifugiati di guerra,War Refugee Board. Fu la prima volta che il governo degli Stati Uniti si impegnò ufficialmente per salvare le vittime della persecuzione nazista.

Il direttore del War Refugee Board John Pehle "consigliò caldamente che il Dipartimento di Guerra considerasse la possibilità di distruggere le camere a gas e i forni crematori di Birkenau attraverso un'azione di bombardamento diretto”, ma, sebbene l'aviazione americana avesse deciso di bombardare le fabbriche vicine, il Dipartimento dichiarò che l’attentato ad Auschwitz-Birkenau avrebbe distratto l'esercito dal suo obiettivo principale: vincere la guerra il più rapidamente possibile.

Quando gli eserciti Alleati Occidentali sbarcarono in Normandia, il 6 giugno 1944, più di 5milioni di ebrei erano stati assassinati. Gli USA avrebbero potuto divulgare informazioni sulle atrocità naziste, fare pressione sugli altri alleati e sulle nazioni neutrali per aiutare gli ebrei in pericolo e sostenere i gruppi di Resistenza contro i nazisti. Prima della guerra, il governo degli Stati Uniti avrebbe potuto ampliare o riempire le sue quote di immigrazione per consentire ad altri rifugiati ebrei di entrare… L’America fece molto per salvare l’Europa dal nazismo, in termini di denaro, persone e risorse. Ciò però non si collegò mai continuativamente con un impegno nel soccorso dei perseguitati, o meglio, non divenne mai una priorità.

Cosa si sa oggi di tutto questo? Secondo il New York Times, una recente ricerca rilasciata ad aprile 2017 dalla Conference on Jewish Material Claims Against Germany ha evidenziato che il 41% degli adulti americani non conosce che cosa sia stato Auschwitz.

Nonostante tutto questo, ci sono stati dei cittadini americani che hanno rischiato la propria vita per aiutare gli ebrei a salvarsi dalla furia nazista e delle organizzazioni nate a questo scopo. Nel box approfondimenti trovate alcune delle loro storie

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