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Tweet "in diretta" da Mauthausen

la storia di Antonio Hernandez raccontata sul social network

“Gli americani stanno obbligando i vicini di Mauthausen a dirigersi verso il campo. Vogliono che vedano l’orrore di cui sono stati complici”. Nei giorni della liberazione di Mauthausen, la pagina Twitter del deportato 4443 - Antonio Hernandez - ricorda attimo per attimo quanto avvenuto nel campo.

Dietro a questo profilo c’è il nipote di Antonio, Carlos, che con oltre 800 tweet da più di quattro mesi racconta la storia dello zio, internato nel campo nel gennaio del 1941. Nato nel 1907, Hernandez fu carabiniere durante la Guerra civile spagnola, sostenitore della causa repubblicana, e come molti compagni spagnoli fu costretto, con l’avanzata franchista, a oltrepassare il confine con la Francia. Catturato, fu rinchiuso dai gendarmi francesi nel campo di Bourg-Madame, e poi spostato più volte fino al viaggio del 25 gennaio 1941, con destinazione Mauthausen. “Stanno aprendo le porte - twitta Antonio alle due del mattino - Ci fanno mettere in file di cinque. Non sono soldati dell’Esercito regolare tedesco. Hanno dei teschi sulle uniformi. Sono delle SS!”.

Carlos descrive ogni momento della detenzione dello zio, dal sequestro di ogni bene al momento dell’ingresso nel campo, alla prima doccia gelida, all’inizio dei lavori forzati. “Stiamo costruendo la nostra stessa prigione - scrive Antonio quando è chiamato a costruire un muro - È una vera follia”. 
Antonio si sofferma sulla crudeltà delle SS. Sabato 7 scrive: “Mi si gela il sangue! Oggi il capitano Bachmayer supervisionava il nostro lavoro. È il numero due del campo, ed è sanguinario!”. E ancora: “Devo rendermi invisibile, affinché non si fissi su di me! Ha appena ucciso un mio compagno solo per il gusto di farlo. Gli ha sparato un colpo in testa senza batter ciglio”. Oppure “10.30. Hanno lanciato sette prigionieri dall’alto della cava. Le SS lo chiamano il salto del paracadutista”.

Antonio accompagna i racconti con le immagini scattate da un suo compagno di prigionia, Francisco Boix, destinato al dipartimento fotografico, che si rifiutò di distruggere le fotografie che aveva scattato e riuscì a salvare 20mila negativi grazie all’aiuto di altri detenuti e dell’austriaca Anna Pointner, che li nascose in un muro.

I tweet raccontano anche lo stato d’animo dei prigionieri, in bilico tra la lotta per la sopravvivenza e la resa a un destino di morte. Lo stesso Antonio ha pensieri altalenanti. Il 27 febbraio scrive determinato: “Non voglio affondare. Loro hanno il compito di ucciderci tutti, ma io voglio sopravvivere”. Il giorno successivo, però, si abbandona alla disperazione: “È sabato. Anche questa settimana sono rimasto in vita. Quello che non so è se valga la pena andare avanti. Perché continuare a soffrire?”.

I lettori del social seguono Antonio anche nella sua scoperta delle camere a gas -“Salaet dice che la stanza che ha costruito non era realmente per le docce. È una camera dove asfissiano la gente con il gas!” - o nell’organizzazione delle partite di calcio che tanto piacevano alle SS. Chiunque segua questa pagina Twitter può percepire il cambiamento dell’atmosfera a partire dalla primavera del 1944, e gioire per la liberazione del campo il 5 maggio del 1945. Leggendo i messaggi, ci si sente vicini ai prigionieri che vedono le SS lasciare il campo e interrompere l’orrenda routine - “Che succede? È senza dubbio giorno, ma non hanno suonato la campana. È la prima volta che i kapò non ci svegliano a colpi di manganello” -, fino a quando non si rendono conto di quanto è accaduto: “Eccoli! Stanno entrando nel campo alcuni soldati! Sono americani, non russi! Siamo liberi! Siamo liberi! Siamo liberi!”.

Il profilo di Hernandez oggi ha più di 41mila follower, che in questi mesi hanno seguito anche emotivamente la vicenda di Antonio e lo hanno sostenuto con numerosi messaggi. “Non ti arrendere! Devi sopravvivere!”, “Coraggio, andrà tutto bene!”, “Manca poco, resisti!”, si legge quando Hernandez cede alla disperazione e alla fame. In questo modo Carlos Hernandez è riuscito non solo a raccontare la vicenda dello zio, ma ha permesso anche di accendere le luci della storia sui 7532 spagnoli di Mauthausen - di cui solo 2335 riuscirono a salvarsi. Repubblicani che avevano passato la frontiera negli ultimi anni della Guerra Civile ed erano entrati nell’esercito francese, membri della resistenza francese, donne e bambini provenienti dai campi del sud della Francia, arrivarono a Mauthausen per decisione delle autorità naziste, spagnole e del governo di Vichy, ed erano considerati apolidi, non prigionieri politici. A differenza dei superstiti degli altri Paesi, al loro ritorno in Spagna non hanno ricevuto alcun riconoscimento. Solo oggi, dopo 70 anni, il Congresso spagnolo ha approvato una proposta di legge che chiede al governo di rendere omaggio agli spagnoli di Mauthausen.

7 maggio 2015

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