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Essere Giusti significa sentirsi responsabili del mondo

di Gabriele Nissim

L'Albero delle Virtù al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano

L'Albero delle Virtù al Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano

La Giornata dei Giusti è una grande sfida etica per il nostro Paese. Istituita nel 2012 dal Parlamento europeo su proposta di Gariwo e recepita da quello italiano nel 2017, la ricorrenza ha dato all’Italia l’opportunità di diventare un messaggero universale delle storie dei Giusti nel mondo.
Più di cento Giardini dei Giusti sono nati in Italia, in Europa e nel Medio Oriente perché si avverte il bisogno di riportare alla luce grandi e piccole vicende che mostrano la possibilità del singolo individuo di incidere con la propria responsabilità in contesti difficili dove sembrerebbe impossibile cambiare il corso degli avvenimenti.

Oggi, in un clima generale dove i meccanismi dell’odio e della chiusura nel proprio ambito alimentano la rassegnazione e la paura, è rivoluzionaria l’idea che la scelta dell’individuo sia comunque sempre possibile e alla portata di tutti, perché permette di guardare con maggiore ottimismo alla costruzione di un futuro diverso.

Le narrazioni delle storie dei Giusti piacciono ai giovani e agli educatori perché hanno un effetto terapeutico. Mostrano che uomini normali, se sorretti dal coraggio e dalla determinazione, hanno potuto incidere e lasciare delle tracce di umanità. Sono stati capaci di riparare il mondo nello spazio in cui agivano. Non hanno sconfitto il Male, non hanno cambiato mai del tutto la situazione, ma nel loro ambito di libertà sono riusciti a vincere la loro battaglia. I Giusti non hanno salvato solo delle vite durante la Shoah, in altri genocidi e totalitarismi: li vediamo agire nel nostro tempo nelle nuove dittature, nei fondamentalismi e di fronte ad ogni nuova prevaricazione, perché la categoria dell’uomo giusto è sempre aperta e in evoluzione.
Il loro segreto, come intuì il grande scrittore Vasilij Grossman, è che i peggiori regimi possono sì distruggere vite e riportare indietro la civiltà, ma non riescono mai a soffocare del tutto l’anelito alla libertà e alla bontà degli esseri umani, che risorge sempre miracolosamente perché insito nella loro natura.

Raccontare le storie dei Giusti non significa imporre dall’alto un punto di vista e nemmeno fare una predica, ma è una forma di comunicazione indiretta che attraverso dei grandi esempi stimola le persone a delle scelte nel loro agire quotidiano.

I Giardini dei Giusti e gli alberi dedicati alle figure esemplari mostrano la bellezza della persona buona e ci dicono che una buona scelta nel mondo di oggi vale sempre il rischio di un’assunzione di responsabilità.

Quest’anno il messaggio della Giornata dei Giusti è quello della responsabilità globale a cui sono chiamati tutti gli abitanti del nostro pianeta.
Nonostante i sovranisti abbiano ottenuto facili consensi nel mondo facendo credere che la globalizzazione rappresentasse il pericolo maggiore - e che le nazioni dovessero cercare forme di protezione e di difesa salvaguardando i loro interessi particolari, dando così spazio a meccanismi di odio e di contrapposizione -, la realtà di questi giorni sta smentendo l’illusione che ognuno possa salvarsi da solo.
La vicenda del Coranavirus ne è un esempio clamoroso. Ha fallito il presidente cinese quando nei primi giorni dell’epidemia ha cercato di nascondere al mondo la gravità della situazione; ma hanno fallito anche tutti coloro che pensavano che il problema riguardasse solo i cinesi, lasciando crescere forme di intolleranza fortunatamente per ora sotto controllo. Oggi è chiaro a tutti che la malattia può essere affrontata solo con una concertazione internazionale sul piano scientifico e che ogni individuo è chiamato ad evitare che la paura generata da questa epidemia si riversi su ogni cittadino cinese, creando cosi nella vita quotidiana forme irrazionali di discriminazione. È un virus che può colpire non solo la fragilità dei nostri corpi, ma anche incrinare le nostre relazioni, se viene a mancare un principio di solidarietà.

La stessa problematica si presenta di fronte ai cambiamenti climatici che se non adeguatamente affrontati a livello internazionale attraverso la conoscenza - e non con una colpevole rimozione – rischiano di portare molto prima di quanto si pensi all’innalzamento dei mari, ma anche di generare un clima che ricorda l’affondamento del Titanic, quando per salvarsi i passeggeri rifiutarono di cooperare e diedero l’assalto alle scialuppe, cercando la propria salvezza a spese della vita di un altro.
La responsabilità globale riguarda gli stessi conflitti in corso nel mondo. L’esempio clamoroso è la distruzione territoriale ed umana della Siria, dove da nove anni per le complicità della Russia, dell’Iran, della Turchia, la presenza dell’Isis, per l’abbandono degli Stati Uniti e dell’Europa, si è permesso a un dittatore di massacrare nel silenzio generale il proprio popolo. Il documentario Alla mia piccola Sama di Waad al Kateab, la giovane regista siriana che racconta la tragica sorte della città di Aleppo, è un terribile atto di accusa a tutta la comunità internazionale. Milioni di persone seguivano sui social le notizie che lei, attivista per i diritti umani, mandava in giro per il mondo, ma poi nessuno muoveva un dito, come racconta disperata nel suo film. Oggi tutti, a differenza del tempo della Shoah, possiamo conoscere le sofferenze in diretta, ma ciò non sembra cambiare la possibilità di arrestare le atrocità di massa. Un like su Facebook non serve a niente, se una persona non ci mette la faccia.

E anche la stessa memoria dei genocidi del passato e di chi ha provato ad arrestarli si presenta nei nostri giorni come una questione globale. Non basta che ebrei o armeni si ricordino del loro genocidio, se una parte del mondo - come avviene in molti Paesi arabi - lo rimuove o addirittura lo nega.
E persino in Germania e in Polonia si presentano formazioni politiche che considerano la memoria come un peso oppressivo per l’identità nazionale. “Meglio dimenticare per non creare sfiducia”, sostiene la nuova destra tedesca che considera una vergogna per la nazione il memoriale della Shoah nel centro di Berlino.
Una memoria da parte solo delle vittime è una inquietante rimozione, perché non considera che un genocidio colpisce l’umanità intera. Il negazionismo oggi ha tante facce, ma quella più sottile perché meno appariscente e scandalosa è quando una operazione di memoria ricade soltanto sulle minoranze colpite. Nel momento in cui la memoria fatica a diventare universale o viene lasciata solo in mano ai discendenti dei genocidi, chi si ostina a ricordarli viene considerato uno sgradevole rompiscatole che turba le relazioni pubbliche.
È il grave rischio che corrono ebrei e armeni se le Giornate della memoria non si trasformano in una lettura più universale dei meccanismi dell’odio e delle possibili derive della società di fronte a chi ripropone anche oggi la cultura del nemico.

In questo contesto globale l’individuo, indipendentemente della posizione che occupa o del Paese in cui vive, è chiamato ad una responsabilità che probabilmente non esisteva in nessuna epoca storica precedente.
È chiamato, come direbbe Shakespeare, a raddrizzare non solo casa sua, ma il tempo globale in cui gli è capitato di nascere, perché ogni aspetto della sua vita è intimamente legato al resto del mondo.
Oggi ogni essere umano, anche se non ne ha la consapevolezza, con le sue azioni diventa responsabile per quel piccolo pianeta che è la nostra terra comune.
Non è più possibile approdare su un’isola dove ci si può proteggere e salvare da soli.
Per questo motivo Gariwo ha impostato in modo diverso la stessa Giornata dei Giusti e ha scelto di onorare nel Giardino di Milano figure diverse che siano un esempio per la responsabilità globale nel mondo di oggi.

Ecco perché ricorderemo lo scienziato Wallace Broecker che è stato il primo negli anni ‘70 del secolo scorso a studiare i cambiamenti climatici e ad ammonire l’opinione pubblica sugli effetti devastanti dei combustibili fossili per il futuro del pianeta. “Stiamo giocando alla roulette russa con il clima”, scrisse in un articolo del 1987.
Dipenderà quindi da tutti noi, come ha osservato lo scrittore Joanathan Safran Foer nel suo ultimo libro “We are the weather”, se le sue parole profetiche avranno un effetto o rimarranno inascoltate come quelle del polacco Jan Karski, che quando raccontò le vicende del ghetto di Varsavia non fu preso in considerazione da nessuno perché la gente preferisce rimuovere la realtà e vivere con l’illusione che ciò che è vero e documentato non esista. Tutti sanno benissimo che gli scienziati come Broecker hanno ragione, ma la nostra mente preferisce non accettare delle informazioni così scomode. Quando il giudice ebreo della Corte Suprema Felix Frankfurter incontrò Jan Karski negli Stati Uniti, non mise in dubbio la veridicità delle notizie del ghetto di Varsavia, ma gli rispose che preferiva non crederci. “La mia mente, il mio cuore, sono fatti in modo da non poterlo accettare.”

Tutti noi siamo portati a fare la stessa cosa di fronte a una catastrofe che rompe tutti gli schemi della nostra immaginazione.
Poiché non vogliamo accettare che la nostra sopravvivenza sia in pericolo (come è accaduto agli ebrei), così decidiamo di non agire per tempo per la salvezza del pianeta.

Di grande attualità è la figura del chimico Valerij Legasov, che incurante delle radiazioni dopo l’incidente nucleare di Chernobyl si prodigò per salvare il maggior numero di persone andando contro l’ostilità del potere sovietico che cercava di minimizzare i rischi per la popolazione e per resto il mondo. Voleva che l’opinione pubblica fosse da subito allertata, perché soltanto la collaborazione internazionale avrebbe permesso di affrontare l’emergenza nucleare.
In fin di vita per le contaminazioni, disperato si impiccò per l’ostilità del regime che allora non gli perdonò di avere denunciato le responsabilità dei dirigenti russi di fronte alla tragedia. La sua storia sembra riproporsi nuovamente in quella del medico cinese Li Wenliang che nel mese di dicembre 2019 osservando dei malati gravi di polmonite si accorse che c’era il rischio di una epidemia sconosciuta e lancio l’allarme sui social. Le autorità, invece di allertarsi per verificare quell’allarme, lo accusarono di diffondere notizie false che turbavano l’ordine pubblico e lo costrinsero al silenzio. Morto il 7 febbraio, le autorità cercarono persino di censurare la sua morte per non ammettere le loro responsabilità.

Sono due esempi di uomini che sfidano la censura di regimi totalitari per assumersi una responsabilità globale. Con Chernobyl è cominciata la crisi del totalitarismo sovietico per merito di scienziati coraggiosi come Legasov (come ha ammesso recentemente in una intervista lo stesso Gorbačëv), la stessa cosa potrebbe oggi accadere in Cina per merito dei medici coraggiosi che per salvare delle vite hanno lanciato al mondo l’allarme del Coronavirus e hanno costretto il regime a dire la verità. È inevitabile che si riapra in Cina, dopo le storiche manifestazioni di Tienanmen, un nuovo movimento nella società per la libertà di stampa e la democrazia.

Tornando ai nuovi Giusti che saranno onorati al Monte Stella, le vicende diverse della giovane nuotatrice olimpica Yursa Mardini e dell’attivista curda Hevrin Khalaf ci richiamano all’abbandono della Siria.
La prima, fuggita in mare in direzione di Lesbo, non solo è riuscita a salvare decine di profughi in mare, insieme alla sorella Sarah, ma, tornata alle gare, si è impegnata alle Nazioni Unite per i diritti dei rifugiati di tutto il mondo. Essa è oggi un grande esempio per gli atleti che non separano lo sport dal resto della vita e usano la loro notorietà per difendere i diritti umani.
Più tragica è la storia di Hevrin Khalaf, che ha pagato con la sua vita e l’umiliazione del suo corpo il sogno di vedere in Siria una pacifica convivenza tra curdi, arabi e cristiani.
Ricordare queste donne e fare conoscere le storie di tutti gli oppositori che si sono immolati in questi nove anni per il sogno della democrazia è un modo concreto perché finalmente le sorti della Siria entrino nella nostra vita.
Se vogliamo rompere l’indifferenza e il muro di omertà che ha permesso al dittatore Bashar al-Assadin nove anni di distruggere un intero Paese, dobbiamo cominciare a sentirci tutti siriani.
Non esiste solo l’amicizia personale per le persone care, ma esiste anche l’amicizia politica che qualche volta può fare la differenza come è avvenuto in tante altre crisi umanitarie. In questo caso siamo chiamati a diventare amici di tutti i Giusti della Siria.

Ricorderemo poi due storie fondamentali della resistenza alle leggi razziali e alla Shoah.
La prima è quella del filosofo Piero Martinetti che nel 1931 rifiutò di prestare giuramento al regime fascista, rinunciando così alla sua cattedra all’università Statale, e poi nel 1938 rifiutò di sottoscrivere un’indagine razziale, dove avrebbe dovuto dichiarare di non essere ebreo.
“Respingo il questionario ricevuto al quale mi rifiuto di rispondere”, scrisse all’Accademia delle scienze di Torino. Un atto morale che ricorda quello di Benedetto Croce e che fu del tutto isolato tra gli intellettuali italiani che rimasero silenziosi di fronte alle leggi razziali.
La seconda, quella della donne tedesche di Rosenstrasse, è una vicenda del tutto sconosciuta nel nostro Paese, ma che merita di diventare oggetto di una grande riflessione. Infatti, come è accaduto in Bulgaria per la protesta dei parlamentari guidati da Dimitar Peshev, quando la società si è mobilitata per difendere gli ebrei, anche lo stesso Hitler è stato costretto a fare marcia indietro. Centinaia di donne tedesche protestando a Berlino nell’ottobre del 1943 riuscirono in una impresa impossibile. Fecero liberare dalle prigioni 2000 ebrei destinati alla deportazione. Loro, che erano donne tedesche, non avevano accettato di divorziare dai loro mariti e, quando vennero arrestati, furono protagoniste della più grande manifestazione pubblica a sostegno degli ebrei nel Terzo Reich.
Come direbbe Hannah Arendt, non c’era un potere demoniaco in Germania, perché la forza del regime era il silenzio della società. Come era del resto accaduto per le morti dei disabili con l’eutanasia, quando le donne scesero in piazza, Hitler ebbe paura.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

21 febbraio 2020

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