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​Un funerale strettamente sorvegliato

40 anni fa moriva Jan Patocka, il filosofo dissidente portavoce di Charta 77

Pare che, emessa la sua condanna a morte, Giordano Bruno ebbe a pronunciare: "Forse avete più paura voi che emanate questa sentenza che io che la ricevo". Ed effettivamente la storia ci insegna che, come nel caso del filosofo di Nola, per i regimi autoritari i grandi pensatori liberi possono essere più pericolosi da morti che da vivi. Così accadde anche a Jan Patočka, il filosofo ceco che continuò a difendere fino all'estremo sacrificio le proprie convinzioni sulla libertà e sul rispetto della dignità umana.

Patočka, allievo di Edmund Hesserl e Martin Heidegger, aveva studiato a Parigi, Berlino e Freiburg, e parlava otto lingue, latino e greco compresi, ma nonostante fosse riconosciuto e stimato a livello internazionale, tra il Protettorato di Boemia e Moravia, il golpe dei comunisti nel 1948 e la normalizzazione dopo la Primavera di Praga, gli fu negata una carriera accademica degna del suo pensiero. Complessivamente, poté insegnare all'università solo per sette anni e in modo discontinuo, sebbene non avesse mai abbandonato le sue lezioni segrete di che si tenevano in appartamenti privati, ogni volta da cambiare per non destare sospetti.

A lungo i rappresentanti del regime comunista cecoslovacco, all'epoca uno dei più duri e chiusi di tutto il blocco sovietico, avevano comunque sottovalutato questo filosofo che non si era mai opposto apertamente, tanto da considerandolo, come emerge dagli archivi della StB, la polizia politica, un "innocuo idealista". In realtà, avevano completamente travisato il potenziale che le idee di Patočka, che fino a quel momento si era mantenuto distante dalla politica, avevano di tracciare un chiaro percorso etico e morale verso la libertà.

Le cose inziarono a cambiare nel 1975 quando grazie a Jiří Němec, uno dei suoi fedeli studenti, Patočka entrò in contatto con alcuni giovani dell'ambiente Underground intorno al gruppo The Plastic People of the Universe. Come ricorda oggi il filosofo Jan Sokol, genero di Patočka, al vecchio professore "la loro musica non piaceva, ma rimase subito colpito dalla libertà che percepiva nelle loro vite," tanto che, il 9 aprile del 1976, inviò insieme ad altre personalità della vita pubblica, tra cui il futuro premio Nobel per la letteratura Jaroslav Seifert, una lettera di protesta all'allora presidente Gustav Husák contro l'arresto di una ventina di giovani, unicamente colpevoli di ascoltare la musica di loro gusto e di organizzare piccoli concerti ritenuti illegali.

Nel gennaio 1977, Patočka scrisse dei testi fondamentali sulla solidarietà civile dove parlava della necessità di difendere i diritti umani in una società dove i cittadini non agiscono seguendo semplicemente i propri meri interessi personali o la paura, ma si comportano in modo libero, spontaneo e con la coscienza dell'obbligo morale che impone loro di opporsi ad ogni tipo di sopruso.

Mancando le figure di spicco di Charta 77Václav Havel, il drammaturgo dissidente poi futuro presidente del paese liberato, era stato arrestato mentre Jíří Hájek, nel 1968 ministro degli Esteri della Primavera di Praga, era già agli arresti domiciliari –, Patočka si ritrovò improvvisamente catapultato nella posizione di rappresentante di Charta 77. Ma nonostante le condizioni di salute già assai precarie, il filosofo non si tirò indietro e portò avanti la fiaccola. Charta 77, come più volte spiegato dallo stesso Patočka, non chiedeva la fine del regime ma si limitava a pretendere il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali come sancito dagli Accordi di Helsinki sottoscritti nel 1975 dallo Stato cecoslovacco. Patočka era convinto "che nella lotta contro il regime, l'unica strada per vincere era l'elemento morale, il bisogno di essere solidali, la necessità di abbandonare il proprio spazio di comfort per condividere con gli altri i rischi delle minacce della libertà", così scriveva a metà 1977.

Il 4 gennaio 1977 il vecchio filosofo fu convocato per essere interrogato, Charta 77 non era ancora stata pubblicata, ma il regime che già ne era informato e voleva sapere chi avesse redatto il manifesto e chi stesse dietro all'organizzazione. Non appena Charta 77 fu resa pubblica, gli interrogatori si appesantirono e il vecchio filosofo fu messo sotto sorveglianza ininterrotta. Il 12 gennaio il sessantanovenne filosofo subì un estenuante interrogatorio di sette ore, due simili aveva già alle spalle subendo sempre le stesse identiche domande. Interessante riportare uno stralcio di un interrogatorio recentemente pubblicato in un libro dello storico Petr Blažek:

"Si rende conto che la dichiarazione di Charta 77 compromette l'ordinamento statale della Cecoslovacchia e che il documento contiene molte cose contrarie alla realtà?", al che il filosofo rispose: "Sono lieto di poter rispondere nel senso che nessun testo, il cui obiettivo e contenuto sia la guarigione morale della società, ove necessaria, così come nessun testo che esprima la disponibilità a criticare ed essere criticati, non può compromettere questa società. Sono del parere che Charta 77 sia appunto di questo tipo. Qualora fossi convinto che il testo contenga qualcosa contrario a ciò che è, non lo avrei mai firmato."

Patočka continuò ad essere al centro di un'estesa opera di sorveglianza da parte della polizia politica. Ogni giorno era seguito da un paio di automobili e da una decina di agenti. Nonostante questo non cedette alle pressioni e, anzi, accettò la proposta del giornalista Dick Verkijk grazie al quale il 1° marzo, nell'Hotel Intercontinental, il filosofo si incontrò con Max van der Stoel, l'allora ministro degli Esteri olandese in visita ufficiale a Praga (dell'incontro abbiamo scritto più approfonditamente qui). Fu la prima volta che un rappresentante politico occidentale si incontrava pubblicamente in un paese comunista con un rappresentante del dissenso. Fu anche grazie a questo incontro coraggioso che pochi giorni dopo in tutto l'Occidente si scriveva di Charta 77. La reazione del regime fu furiosa. Nei tre giorni seguenti Patočka subì ogni giorno interrogatori di nove ore consecutive per estorcere il nome degli organizzatori dell'incontro. Alla fine, il 13 marzo 1977 Patočka, già debole e malato, ebbe un collasso per poi morire di lì a poche ore.

Quello del grande filosofo fu un funerale strettamente sorvegliato. Il cimitero di Břenov venne circondato dalla polizia segreta, la cerimonia funebre fu disturbata dagli elicotteri a bassa quota e dalle motociclette della pista non lontana. Un rumore organizzato dalla StB nel tentativo di impedire che i partecipanti sentissero l'ultimo commiato al filosofo. Un'immagine quasi cinematografica, sintesi perfetta del terrore dei regimi per le idee di libertà.

Nonostante queste manovre di intimidazione, e la consapevolezza di essere soervegliati, fotografati e registrati, 900 persone vennero a dare al commiato al grande filosofo, tra cui molti erano proprio quei giovani dell'ambiente underground per la cui libertà Patočka si era battuto. Moriva così un grande filosofo, ma le sue idee, di cui lui era stato l'incarnazione coerente e integrale fino all'ultimo, sarebbero proseguite oltre.

Tra la sua firma di Charta 77 e il suo decesso, Jan Patočka riuscì a lasciare un'impronta morale e intellettuale indelebile al manifesto e al dissenso; una traccia così profonda da superare la fine del regime, cui aveva contribuito in modo sostanziale, per incidere anche sulla costruzione del sistema democratico postrivoluzionario della Repubblica Ceca.

Andreas Pieralli, giornalista e traduttore

20 marzo 2017

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