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Il dramma degli Uiguri, cresce l’attenzione internazionale

rilasciato anche un rapporto di Amnesty International sulle persecuzioni

La persecuzione della minoranza turcofona musulmana degli uiguri in atto in Xinjiang è stata resa nota a livello internazionale anche grazie alla denuncia dell’Unione europea, di Stati Uniti e Canada, alle 400 pagine di documenti riservati sulla repressione pubblicati dal New York Times nel 2019, alla mobilitazione di associazioni per i diritti umani nel mondo, ma soprattutto grazie alle testimonianze degli uiguri stessi, tra cui molti ex detenuti, che con grave rischio personale (rischiano di essere arrestati e internati o, se sono rifugiati all’estero, rischiano l’incolumità delle loro famiglie) stanno raccontando ciò che accade in Cina a danno del loro popolo. Molti sono stati quelli intervistati da Amnesty International, che ha rilasciato uno scioccante rapporto di 160 pagine intitolato Cina: ‘Come nemici in guerra’. Internamento di massa, tortura e persecuzione contro i musulmani dello Xinjiang”. 

In questo testo, accompagnato da illustrazioni, Amnesty ha denunciato che gli uiguri, i kazachi e altre minoranze etniche prevalentemente musulmane subiscono da parte dello Stato cinese imprigionamenti di massa, torture e persecuzioni che si configurano come crimini contro l’umanità. Tutti gli oltre 50 ex detenuti intervistati da Amnesty International (per i quali sono stati utilizzati degli pseudonimi per non metterli a rischio), si legge sul loro sito, hanno riferito di essere stati arrestati arbitrariamente per condotte legali, come il possesso di immagini a tema religioso o il contatto con persone all’estero. Hanno parlato anche di interrogatori violenti nel corso dei quali si viene bendati e ammanettati e del fatto che nelle prime settimane o nei primi mesi, i prigionieri vengono costretti per buona parte della giornata a restare seduti o inginocchiati immobili, in silenzio. La vita nei campi d’internamento è una sequela di privazioni e regole ferree che limitano la libertà personale e di espressione; gli internati, ad esempio, vengono puniti severamente se invece di usare il cinese mandarino vengono sentiti parlare nella propria lingua d’origine, sostengono sempre gli ex detenuti. Una costante di tutti gli ex prigionieri intervistati da Amnesty è che hanno tutti detto di aver subito maltrattamenti o torture: pestaggi, scariche elettriche, isolamento, privazione di cibo, acqua e sonno, esposizione a temperature estreme...

Il rapporto di Amnesty si basa inoltre su documenti governativi trapelati al pubblico e una serie di immagini satellitari che indicherebbero anche la costruzione di nuove prigioni nello Xinjiang a partire dal 2017. Inoltre, l'organizzazione ha lanciato una campagna sulle persone scomparse appartenenti a minoranze islamiche che potrebbero essere detenute nello Xinjiang affinché vengano rilasciate. Pechino ha dichiarato, tramite il suo portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin, che Amnesty è un'organizzazione "che racconta storie e diffonde bugie sullo Xinjiang. Il suo cosiddetto rapporto è solo una di queste".

Sempre Amnesty ha reso noto nel 2021 il caso di quattro minori uiguri separati dalla propria famiglia rifugiata in Italia. I genitori Mihriban Kader e Ablikim Memtinine sono arrivati in Italia nel 2016 con il figlio più piccolo, mentre gli altri quattro figli sono rimasti con i nonni in attesa di poter anch'essi partire (andarsene tutti insieme non sarebbe stato possibile). Purtroppo i minori sono stati bloccati in Cina, presi sotto la custodia dalla polizia e mandati in un orfanotrofio nello Xinjiang. La nonna nonna era stata precedentemente portata in un campo di rieducazione mentre il nonno veniva interrogato dalla polizia. Questo caso rappresenta solo uno dei tanti di famiglie divise tra la Cina e altri Paesi: i genitori se tornano rischiano l’internamento e i figli vengono mandati in “campi per orfani”.

Una presa di posizione è arrivata anche dal G7 in Cornovaglia, si legge nel comunicato finale, che ha chiesto alla Cina il "rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, soprattutto nello Xinjiang”. Un tribunale popolare a Londra è stato inoltre istituito per giudicare i crimini commessi da Pechino nei confronti degli uiguri. Si tratta di un ente quasi-giudiziario che ha audito più di 30 testimoni durante la prima serie di udienze a giugno.

La situazione dei diritti umani in Cina sta creando sempre più mobilitazione a livello internazionale, tuttavia, soprattutto per quanto riguarda la minoranza uigura, risulta ancora insufficiente l'azione comune per fermare le violenze, probabilmente anche in relazione agli interessi economici in gioco legati, per esempio, ai progetti della cosiddetta Nuova via della seta di cui lo Xinjiang costituisce un passaggio obbligato. “Ora il governo americano e alcuni di quelli europei hanno cominciato a sanzionare la Cina e alcuni suoi funzionari di fronte alle prove crescenti di lavoro forzato e genocidio. È un passo in avanti molto significativo nella giusta direzione, ma ancora troppo cauto. Non è ancora abbastanza. Un funzionario come Chen Quanguo, il segretario del Partito nello Xinjiang e creatore del sistema dei campi, per esempio, non ha ancora subito alcuna sanzione dall’Ue”, ha dichiarato recentemente a la Repubblica Dolkun Isa, uiguro presidente del Congresso mondiale degli Uiguri e promotore del tribunale londinese.

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