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Un manga per denunciare la repressione degli uiguri

Dopo la pubblicazione, l'autrice Shimizu teme per la sua incolumità

La disegnatrice Tomomi Shimizu racconta che quando ha scoperto il dramma dei campi di concentramento per uiguri è scoppiata a piangere. E così ha deciso di usare la sua arte per denunciare quanto succede nello Xinjiang. Con la speranza che il suo Paese, il Giappone, possa aprire gli occhi e fare pressione a livello internazionale

“Il Giappone non deve solo considerare l'oppressione degli uiguri come qualcosa che sta accadendo molto lontano. Voglio che più persone prestino attenzione alla questione", ha spiegato Tomomi Shimizu.

A colpirla sono state soprattutto le parole dell’ex segretario di stato americano Mike Pompeo, che aveva parlato di genocidio.

Così nell'agosto del 2019 Shimizu ha twittato l’immagine di un suo manga ispirato sulla storia dell’ex detenuta uigura Mihrigul Tursun.

Il manga si basa sull'esperienza straziante di Mihrigul, detenuta per tre volte e torturata senza apparenti motivi che aveva perso un figlio poco dopo che le era stato portato via. Il manga di Shimizu ha avuto una notevole copertura all’estero e anche il Dipartimento di stato degli Stati Uniti ne aveva pubblicato un post sul suo sito web.

Da lì è nato “What has happened to me: A Testimony of a Uyghur woman” un libro illustrato i cui proventi sono stati destinati alle biblioteche e che in pochi mesi ha raccolto milioni di visualizzazioni ed è stato tradotto in più di dieci lingue, tra cui mandarino, uiguro e inglese.

Shimizu racconta che dopo la pubblicazione in diverse occasioni qualcuno le ha suonato al citofono di casa in piena notte. “Un giornalista esperto di Cina mi ha detto che Pechino ha emesso i suoi primi avvertimenti". Del resto lo stesso è accaduto a Mihrigul negli Stati Uniti, dove risiede al momento.

Da allora, Shimizu ha evitato di rilasciare informazioni personali e sui social ha eliminato immagini con il suo viso.

La storia di Shimzu lascia aperte numerose questioni sulla libertà di espressione e sulle minacce intangibili, anche oltre confine, per chi si pronuncia sui diritti umani in Cina.

A gennaio Shimzu ha scritto un nuovo libro, “Inochi-gake-no-shogen”, in cui dà voce a una donna uigura che vive in Giappone.

Secondo la Japan Uyghur Association, tra 2.000 e 3.000 uiguri vivono in Giappone. Da anni non possono telefonare o scrivere ai propri parenti perché, sostengono, se una persona uigura dello Xinjiang contatta qualcuno all'estero, compreso il Giappone, viene etichettata come "terrorista" e messa in un campo di concentramento. Gli stessi uiguri in Giappone raccontano di vivere nella paura quotidiana di essere intercettati dalle autorità cinesi.

26 febbraio 2021

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