Di nuovo ho a che fare con la paura, ma oggi sfidarla mi risulta più facile, e anche se rispetto a quello che ho toccato con mano in questi giorni la situazione non è cambiata, sono io ad avere qualcosa di più, quello che mi ha dato l'incontro con Shady Hamadi, giovane scrittore siriano.
Questo è quello che mi rende capace di guardare in faccia lo scetticismo che rimane a dominare giovani di fatto smarriti. Da una parte la paura, dall'altro è cresciuta in me la certezza che puntare sull'uomo, puntare sulla società civile sia oggi più che mai la strada da prendere per rispondere alla urgente questione dell'Isis. Non più la paura, ma la speranza nell'uomo. Così rispondendo agli studenti mi accorgo quanto valga per me un'esperienza: ieri facevo dei ragionamenti sulla guerra e sulla pace, oggi racconto il fascino che ha avuto per me l'incontro con un giovane scrittore che ha a cuore la sua umanità, che vuole la riconciliazione con gli altri perchè l'ha trovata con sè.
Oggi affrontare la paura è diverso perchè non è un ragionamento quello che propongo, ma l'esperienza che ho fatto, l'esperienza di un incontro. E mentre lo faccio mi è evidente che sto seguendo un metodo che ho imparato: non sono io a determinare il contesto della classe, a portare gli studenti dove ritengo giusto, semplicemente li sfido a guardare dove ho guardato io, a guardare non dei musulmani o dei cristiani, ma chi tra loro è un uomo, chi tra loro ha a cuore la felicità. Questo - e me ne accorgo stamattina dallo sguardo di chi tra gli studenti viene colpito - questo, solo questo costruisce, e il metodo è lo stesso che si fa largo in Siria, come testimonia Shady Hamadi, che per ricostruire punta sulla società civile.