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Buone pratiche per la prevenzione delle atrocità di massa

la Global Action Against Mass Atrocity Crimes

Coordinare competenza accademica e saggezza politica, buone memorie e buone pratiche. Questi gli elementi necessari per un progetto credibile ed efficace di prevenzione dei genocidi. È l’ultimo tassello nel percorso che, dall’approvazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 9 dicembre 1948, la comunità internazionale ha intrapreso per impedire che nel mondo vengano commesse nuove atrocità.

Nel 2000, il Forum per la Prevenzione dei Genocidi tenutosi a Stoccolma ha rappresentato un primo sforzo in questa direzione, con l’istituzione della figura del Consulente speciale del Segretario generale ONU per la prevenzione dei genocidi - oggi Adama Dieng. Un ulteriore step di questo percorso è stato segnato dall’introduzione, nel World Summit del 2005, del concetto di Responsabilità di proteggere e di un Consigliere speciale per la sua implementazione - oggi Jennifer Welsh.

Due incarichi, questi, il cui lavoro deve attuarsi in perfetta sinergia per scongiurare il pericolo di nuovi genocidi.

Se a livello internazionale non mancano quindi gli strumenti volti a prevenire nuove atrocità di massa, lo stesso non si può dire delle pratiche dei livelli sottostanti - nazionale, regionale e locale. Un tentativo di rispondere a questa esigenza è oggi offerto da un interessante progetto, ovvero il Global Action Against Mass Atrocity Crimes (Azione Globale contro le Atrocità Criminali di Massa, sigla anglosassone GAAMAC). Questo forum si è costituito dopo una serie di incontri in Argentina, Tanzania, Svizzera e Cambogia che, a partire dal 2008, hanno coinvolto alcuni Stati sul tema della prevenzione dei genocidi. Nel 2013, durante un forum a Daar es Salaam - la più grande città della Tanzania - i partecipanti hanno deciso di creare un gruppo che unisse la prevenzione dei genocidi e la responsabilità di proteggere. È nato così il GAAMAC, formato da tre Stati impegnati sul primo punto (Argentina, Svizzera e Tanzania) e tre coinvolti nel secondo (Australia, Costa Rica e Danimarca). Accanto agli Stati, anche diverse ONG che si occupano di questi temi: l’Auschwitz Institute for Peace and Reconciliation, il FXB Center of Health and Human Right di Harvard, il Genocide Prevention Program della George Mason University, il Global Centre for the Responsibility to Protect, l’International Coalition for the Responsibility to Protect e la Stanley Foundation.

I partecipanti, partendo dal riconoscimento della necessità di avviare sforzi per la prevenzione dei genocidi già da un livello nazionale, hanno quindi deciso di creare un forum che si incontri regolarmente per discutere di informazioni e possibili sinergie. Il Global Action Against Mass Atrocity Crimes è quindi un’iniziativa a guida statale che si pone l’obiettivo di prevenire non solo i genocidi, ma tutte le atrocità di massa - compresi anche crimini di guerra, contro l’umanità e pulizia etnica - focalizzato su un livello nazionale e regionale, che supporta gli Stati coinvolti nella prevenzione di atrocità di massa e assiste quelli che stanno sviluppando strategie preventive. Tale gruppo ha inoltre come obiettivo quello di costituire una piattaforma per lo scambio e la disseminazione di conoscenze e buone pratiche.

Al primo incontro, tenutosi tra il 4 e il 6 marzo 2014 nella città di San José, in Costa Rica, hanno preso parte i rappresentanti di 52 Stati, quelli delle Nazioni Unite - tra cui Adama Dieng e Jennifer Welsh - il procuratore della Corte Penale Internazionale Fatou Bensouda, personalità come Desmond Tutu, professori e accademici come Yehuda Bauer. Ne è nata una riflessione incentrata sul principio secondo cui nessuna società è immune alle atrocità di massa, e per questo è necessario che la prevenzione inizi “a casa”. La storia infatti mostra che né il livello di sviluppo né la sofisticazione di una società possono da soli prevenire la commissione di tali crimini.

L’iniziativa, seppure agli albori, è sicuramente degna di nota, perché interviene nel settore - quello locale - più debole del meccanismo di prevenzione. Negli ultimi decenni sono infatti state prodotte norme per la giustizia e la sicurezza internazionale, la protezione dei civili, i diritti umani, fondamentali per costituire un quadro di riferimento per la prevenzione dei genocidi, ma nonostante questo c’è una enorme distanza tra lo sviluppo di tali regole e la loro implementazione. Risulta quindi indispensabile un coinvolgimento a livello nazionale, che contribuisca a migliorare tale implementazione anche a livello internazionale.

Commettere atrocità di massa richiede tempo. Il meccanismo di early warning da solo non è sufficiente per la prevenzione se non è coordinato con decisioni e azioni tempestive. L’opportunità di fermare il progresso di atrocità di massa allo stadio iniziale esiste, ma è necessario agire politicamente e in modo mirato. Più si aspetta, più è difficile - e costoso - intervenire. Per agire in tempo serve quindi che la competenza accademica offra alle istituzioni un bagaglio di informazioni dettagliate sul contesto culturale, storico, religioso e socioeconomico di una regione. Servono quindi, in risposta a queste segnalazioni, piani nazionali mirati che agiscano ancora prima del meccanismo di early warning, e che impediscano la formazione dei primi segni di tensione all’interno di una società. Tali attività non devono necessariamente seguire un modello predefinito, valido per qualsiasi situazione. Ogni contesto storico è unico, ogni governo è organizzato diversamente, e la prevenzione deve tenerne conto.

Esistono tuttavia buone pratiche che si avvalgono della partecipazione di studiosi e politici, che possono fare da linee guida per la prevenzione a livello nazionale. Risulta fondamentale, nei contesti che hanno sperimentato atrocità di massa, fare i conti con il passato e agire per rafforzare la memoria storica e combattere l’impunità - che incrementa il rischio del ripetersi dei crimini. Servono poi strumenti politici, come misure per una gestione costruttiva delle diversità, una protezione legislativa credibile per i crimini contro le minoranze, un potere giudiziario indipendente, piani nazionali per aumentare partecipazione al processo decisionale, rafforzamento del confidence building e del ruolo delle donne. Esistono tante strategie nazionali, ed è importante condividerle. Fornire agli Stati una piattaforma che permetta lo scambio reciproco di informazioni e buone pratiche è il vero valore aggiunto della Global Action Against Mass Atrocity Crimes.

Per un mondo privo di atrocità di massa, serve tuttavia che non solo i Paesi, ma anche gli individui si impegnino nella prevenzione dei genocidi, confrontandosi con la propria coscienza. Quali sono i valori che promuoviamo? Come ci giudicheranno le generazioni future? Cosa stiamo facendo noi, come individui, per guidare il corso della nostra civilizzazione?

Martina Landi

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

18 dicembre 2014

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Appunti internazionali a cura di Martina Landi

Questi “Appunti internazionali” indagano sulle origini storiche e sociali delle guerre dimenticate o trascurate dai media e sui meccanismi istituiti dalla giustizia internazionale per punire i colpevoli di gravi crimini contro l’umanità.

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