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Crimea: una nuova guerra etnica alle porte dell’Europa?

le minoranze e il diritto internazionale

Dopo tre mesi di proteste contro l’annullamento degli accordi di associazione con l’EU, il Presidente ucraino è fuggito da Kiev. Le forze pro-russe hanno allora preso il controllo della regione, e le relazioni tra l’Occidente e la Russia si sono fatte molto tese.

Marzo ’14
Il 16 marzo i risultati ufficiali del referendum di secessione della Crimea sono un vero plebiscito (97%) a favore dell’ingresso nella compagine russa.
Il 15 marzo Mosca ha posto il veto su una rizoluzione ONU contraria al referendum secessionista.
Il 13 marzo il Parlamento Ucraino ha approvato la formazione di una Guardia Nazionale per difendere il Paese. 
Il 10 marzo uomini armati conquistano un ospedale militare a Simferopoli.
L’8 marzo gli USA e la Francia ammoniscono che adotteranno “nuove misure” contro la Russia se non ritira le sue forze dall’Ucraina. Colpi di avvertimento vengono sparati contro gli osservatori internazionali che cercano di entrare in Crimea. Il Ministro degli esteri russo Sergei Lavrov: "Questa crisi non è stata creata da noi".
Il 7 marzo la Russia ha fatto sapere che sosterrà la Crimea in caso di secessione di questa regione dall’Ucraina. Il colosso russo del gas Gazprom avverte Kiev che potrebbe tagliare il gas per l’Ucraina. L’Ucraina invia solo un atleta, Mykhaylo Tkachenko, all’inaugurazione dei Giochi paralimpici di Sochi.
Il 6 marzo il Parlamento della Crimea vota per l’ingresso nella Russia e indice un referendum per il 16 marzo.

Tatari ed ebrei, due capri espiatori?

di Carolina Figini

I tatari sono stati spesso accusati di connivenza con Hitler, ma in realtà annoverano nelle loro file anche un uomo come Musa Khalil, poeta ghigliottinato a Plötzensee in Germania nel febbraio 1944 per aver tentato di resistere all’occupazione nazista con “liriche dal fronte”, che esprimevano i sentimenti di chi combatteva i tedeschi. 
In realtà la storia di questa minoranza musulmana è molto complessa. Considerati i discendenti di Gengis Khan, i tatari conquistarono la Crimea nel 1200 e vi risedettero senza particolari problemi fino al ‘700, quando i russi del generale Potemkin conquistarono la penisola. Poi venne Stalin, che li perseguitò come “collaborazionisti” (assieme a molti italiani che erano emigrati in Crimea soprattutto nell’Ottocento).
Sotto l’Ucraina c’è stato il rientro di questa popolazione, che non ha permesso però un ristabilimento pieno delle vecchie condizioni. Spesso è difficile per un tataro ottenere i documenti ucraini e la soluzione scelta da molti per la casa è l’abusivismo. Ciò ha innescato tensioni con il resto della popolazione della Crimea, timorosa di una possibile “invasione musulmana”. Ogni anno si parla dell’arrivo di circa 2000 tatari dai territori dell’ex URSS.

Secondo Aldo Ferrari, direttore del programma Russia ed Europa Orientale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, i tatari non hanno una tradizione di violenza simile a quella dei ceceni, ma l’Islam crimeano si sta radicalizzando e stanno aumentando gli arrivi di radicali islamici wahabiti. Se la Russia vorrà punirli per avere appoggiato Kiev, potrebbe decidere di applicare le leggi sulla casa lasciando molti di loro senza abitazione e questa potrebbe essere una miccia per uno scontro interetnico. Secondo un recentissimo reportage del giornale britannico Guardian, nell'ultima settimana numerosi tatari tra cui diversi bambini hanno ricevuto pesanti minacce anche a scuola. D'altra parte molti ucraini temono che dietro la difesa di questa minoranza si nascondano, per esempio, interessi della Turchia.  
Diverso il caso di un’altra minoranza dell’Ucraina, quella ebraica, che ultimamente ha rivolto un appello al Presidente russo Putin. La lettera aperta accusa la Russia di attribuire il problema dell’estremismo tutto a Kiev, mentre è sul Don che gli ebrei hanno riscontrato recentemente un aumento dell’antisemitismo. “Il pericolo alla stabilità del Paese”, scrivono gli israeliti ucraini, “viene dal governo russo, e in particolare proprio da Lei, Vladimir Vladimirovich”. E ancora: “È la Sua politica di incitamento al separatismo e la Sua pressione sull’Ucraina che minaccia noi e gli ucraini tutti, compresi quelli che vivono in Crimea e nel Sudest. Gli ucraini del sudest se ne accorgeranno presto”.
La lettera segue il messaggio con cui Putin ha motivato la sua occupazione della Crimea con istanze di tutela delle minoranze. Gli ebrei in sostanza non vogliono essere protetti e soprattutto condannano l’invasione come violazione della legalità internazionale (e non sono i soli: il Ministro degli Esteri della Repubblica Ceca è andato decisamente più in là, paragonando espressamente Putin a Hitler in merito a questo modo di fare avanzare i propri interessi).

Alcuni ebrei rientrati in Ucraina da Israele poi sono scesi in piazza Maidan durante le proteste degli scorsi tre mesi, culminate in un vero e proprio bollettino di guerra, con un centinaio di morti negli scontri e alcune persone sparite senza lasciare traccia o ritrovate uccise o con i segni di tortura come il dissidente Dmytro Boulatov. La speranza è che, comunque finisca la questione crimeana, gli ebrei non vengano presi di mira da tutte e due le parti in causa come “elemento estraneo”, facile capro espiatorio: russofoni e protetti dai russi per il resto degli ucraini, ma pericolosi agitatori filo-UE per Mosca.

Il referendum e le risposte dell’Occidente, alla luce del diritto internazionale
di Martina Landi

Votando al referendum la Crimea non ha approvato l’annessione alla Federazione Russa, ma si è solamente dichiarata a favore del ricongiungimento con Mosca. Vladimir Putin ha tuttavia firmato un decreto che riconosce l’indipendenza della penisola, e ora spetta alla Duma decidere dell’effettiva annessione. Si è parlato di un referendum plebiscitario, di percentuali “sovietiche”. Ma di fatto si tratta di un provvedimento illegittimo. Il referendum poteva infatti essere organizzato soltanto in seguito alla richiesta di almeno tre milioni di cittadini, e doveva svolgersi su tutto il territorio ucraino per decisione del Parlamento nazionale. La decisione è invece arrivata dietro la spinta di Putin, che ha appoggiato l’atto con il quale il parlamento locale dichiarava l’indipendenza della Crimea - senza che ne avesse il potere -,  e ha schierato diversi soldati nella penisola dove, dal 1997, già stazionava in modo permanente la flotta russa.

L’Occidente ora si propone di punire il presidente russo. L’Unione europea ha deciso di inasprire le sanzioni contro Mosca, con il congelamento dei beni di oligarchi russi e responsabili politici legati a Putin, un dosaggio severo dei visti e misure in campo commerciale. Mentre le Nazioni Unite sono state bloccate dal veto della Russia sulla risoluzione che condannava l’azione di Putin in Crimea e il risultato del referendum, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata su un ricorso presentato dall’Ucraina contro Mosca, chiedendo di “evitare tutte le azioni, in particolare quelle militari, che potrebbero violare i diritti della popolazione”, garantiti proprio dalla Convenzione Europea dei diritti umani. Nel frattempo la Nato ha fatto alzare gli aerei radar sui cieli di Romania e Polonia per monitorare la presenza di truppe russe nella penisola.

In linea di massima, la comunità internazionale ha dichiarato di non riconoscere il risultato del referendum, poiché la secessione della Crimea risulta essere in violazione del diritto internazionale. Ma cosa si intende con questa espressione generale? Per legittimare l’operazione in Crimea, Mosca ha richiamato il precedente del Kosovo, divenuto indipendente con un atto unilaterale il 17 febbraio 2008, e ormai riconosciuto regolarmente da diversi Stati - “senza violare il diritto internazionale”, come ha stabilito la Corte dell’Aja in un parere consultivo del 2010. Il paragone con il Kosovo tuttavia fatica a reggere, in quanto in quel caso la stessa NATO decise di intervenire - anche senza approvazione del Consiglio di Sicurezza - perché ci si trovava di fronte a una catastrofe umanitaria, non riscontrata invece in Crimea. La secessione dall’Ucraina, inoltre, non porterebbe come in Kosovo alla formazione di un nuovo Stato, quanto piuttosto all’annessione alla Russia - condizionata, per di più, dalla presenza delle truppe di Mosca sul territorio, elemento che ha spinto storici come Di Nolfo all’estremo paragone con l’Anschluss dell’Austria voluto da Hitler nel 1938.

In questi giorni è stato poi più volte citato il Memorandum di Budapest, firmato nel 1994 da Russia, Stati Uniti e Gran Bretagna, in occasione dell’adesione di Kiev al Trattato di non proliferazione nucleare. Sebbene il documento riguardi principalmente un tema specifico - lo stesso obbligo di consultazione tra i membri in caso di modifiche delle prescrizioni previste è limitato proprio a una situazione di minaccia nucleare - il Memorandum ha una rilevanza indiretta nella situazione attuale. Gli Stati contraenti, infatti, con questo documento si pronunciano per la conservazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina - materia di domestic jurisdiction del Paese - nell’ambito delle “frontiere esistenti”: la stessa Russia riconosce quindi l’appartenenza della Crimea all’Ucraina, di cui nel 1994 era parte. Il divieto di ingerenza, ormai di diritto generale, non è quindi stato rispettato.

Sotto il profilo giuridico, inoltre, l’ingresso delle truppe russe nel territorio ucraino è una chiara violazione del diritto internazionale, della Carta delle Nazioni Unite e dei principi di base dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa che vietano la minaccia e l’uso della forza. Anche in caso non si qualifichi questa azione come aggressione a uno Stato, evento per il quale potrebbero scattare i meccanismi di legittima difesa previsti dalla Carta delle Nazioni Unite - difficilmente si attiverebbero invece quelli della legittima difesa collettiva NATO, in quanto l’Ucraina non è membro dell’Alleanza Atlantica - non reggerebbe l’ipotesi di intervento per la difesa dei propri connazionali in Crimea, valido qualora i cittadini siano in reale pericolo di vita e il sovrano territoriale non possa o non voglia difenderli, situazione lontana da quella della Crimea, né tantomeno quella del consenso delle autorità locali all’intervento, dal momento che la Crimea non è uno Stato, ma solo una provincia autonoma.

In ogni caso, anche di fronte a una popolazione che di fatto si sente russa, schierare 30mila soldati, come ricorda Bernard Henry Levy, è “un modo curioso per preparare l’autodeterminazione”. Senza contare che un precedente di questo tipo - ovvero un’autodeterminazione unilaterale, basata sostanzialmente sul nazionalismo storico e linguistico - creerebbe non pochi problemi non solo nella regione, rimandando allo sgretolamento della ex Jugoslavia, ma anche in Europa, dove le frontiere potrebbero indebolirsi sulla spinta di fratture etnico-linguistiche.

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo e Carolina Figini

20 marzo 2014

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