I più famosi sono quello in Cisgiordania,
costruito nel 2002 da Israele come “chiusura di sicurezza” per impedire
ai palestinesi l’ingresso nel territorio nazionale, e quello che separa
Stati Uniti e Messico, eretto nel 1994 per fermare l’immigrazione
clandestina e ancora oggi pattugliato da gruppi di volontari. La guerra
in Iraq ha poi portato, nel 2007, alla costruzione di quello che
circonda il quartiere sunnita di Adhamiya a Baghdad, voluto
dall'amministrazione Bush con l'intento di proteggere l'area dai
distretti sciiti che la circondano.
Parliamo di muri. Il 9
novembre 1989, con la caduta del muro di Berlino, gli sbarramenti fisici
esistenti nel mondo non superavano la quindicina. Oggi sono triplicati,
costruiti in tutti i continenti. E i nuovi conflitti ne alimentano la
nascita.
A volte i muri sono il risultato della fine delle
violenze. È il caso della celebre divisione delle due Coree al 38°
parallelo, stabilita nel 1953 al termine delle ostilità. Tale confine
non è solo simbolico, poiché tra i due Stati esiste una barriera lunga
più di 240 chilometri, composta da filo spinato, torri, muri e campi
minati. Ogni giorno questa “Zona demilitarizzata” è sorvegliata da
centinaia di militari di entrambi i Paesi, insieme ad alcune unità di
soldati americani in Corea del Sud.
Simile è anche il caso di
Belfast, nell’Irlanda del Nord, caratterizzata da 99 “Peace Lines”:
queste barriere di metallo, cemento e filo spinato sono state costruite a
partire dal 1969, in seguito alle violenze tra cattolici e protestanti
note come “troubles”. Alcune sono state erette anche in anni recenti,
tra il 2009 e il 2011. Qui il muro non è solo fisico, ma psicologico,
sociale; protestanti e cattolici nascono già divisi.
Non si tratta
invece di un vero e proprio muro per quanto riguarda la “Green Line” di
Cipro, che dal 1974 è presidiata dalla forza Unficyp delle Nazioni
Unite. Questa linea in realtà è una terra di nessuno, che si estende per
circa 180 chilometri e divide gli abitanti greci dell’isola (a sud) da
quelli turchi (a nord). Il nome di questo “confine” deriva dalla linea,
tracciata con una matita verde, che il generale Peter Young - a capo
delle truppe britanniche a Cipro - disegnò sulla cartina all’altezza di
Nicosia per separare, in seguito agli scontri del 1964, i quartieri
turchi e greci della capitale cipriota.
Nel mondo ci sono anche
muri come quello tra India e Pakistan, la “linea di controllo” che dal
1949 divide la regione del Kashmir in due zone, controllate dai due
Paesi. L’unico valico di questa barriera lunga più di tremila chilometri
è il villaggio di Wagah: qui il muro è interrotto da una grande
inferriata, che ogni sera viene chiusa dopo la cerimonia dell’ammaina
bandiera.
Dal Medio Oriente all’Africa, alcuni muri sono nati in
funzione anti immigrazione. È questo il caso della barriera costruita
nel 2003 dall’Arabia Saudita lungo il confine con lo Yemen, del muro tra
Uzbekistan e Tagikistan, dotato di sensori e videosorveglianza, di
quello tra Israele ed Egitto e della recinzione elettrificata tra
Zimbabwe e Botswana. Quest’ultima è stata costruita dal Botswana nel
2003 in seguito alla crisi economica causata dall’epidemia FMD del
bestiame, scoppiata proprio al confine tra i due Paesi. La nuova
barriera è nata, sulla carta, per proteggere gli allevamenti da
ulteriori contagi, nascondendo però esigenze di contenimento del flusso
di migranti dallo Zimbabwe. Definita dal governo zimbabweano “la
versione africana del muro di Israele”, la recinzione è contestata anche
dagli ecologisti in quanto, in una zona di aree protette, tale barriera
ostacola i naturali flussi migratori degli animali.
Parlando di
muri, un caso particolare è sicuramente quello del Marocco. Se da un
lato infatti il Paese ospita dagli anni ’90 le due barriere di filo
spinato nelle enclave spagnole di Ceuta e Melilla, costruite dal governo
di Madrid in chiave anti migratoria e sorvegliate quotidianamente dagli
ufficiali della Guardia Civil, dall’altro ha edificato il "muro del
Sahara Occidentale”, noto anche con il termine Berm. Tale barriera è un
insieme di otto muri difensivi, costituiti da bunker, fossati, pietre,
sabbia, filo spinato e dal più lungo campo minato continuo del mondo,
con circa 6mila mine antiuomo. Il Berm è stato edificato in sei periodi
differenti - dal 1981 al 1987 - per proteggere la popolazione dal Fronte
Polisario (Fronte di Liberazione Popolare di Sagui a e El Hamra e del
Rio de Oro, dal nome dei due distretti coloniali spagnoli in cui era
diviso il Sahara Occidentale), un movimento politico fondato nel 1973
con l'intento di ottenere l'indipendenza del Sahara Occidentale
dall'occupazione militare di Spagna, Marocco e Mauritania. Quello che
per il Marocco è un muro difensivo - il più grande del mondo dopo la
muraglia cinese - per la popolazione saharawi è invece il “muro della
vergogna”, che impedisce l’accesso alle zone più fertili, ricche di
giacimenti di petrolio e fosfato.
Di stampo più “religioso” sono
invece il muro che divide Thailandia e Malesia, fortemente voluto dal
primo ministro thailandese Surayaud Chulanont per frenare l'influenza
dei fondamentalisti malesi sulla minoranza musulmana del Paese (a
maggioranza buddista), e il cosiddetto “muro dei Rohingya”, un recinto
di filo spinato lungo il confine con il Bangladesh che il Myanmar sta
costruendo per impedire l’accesso ai musulmani Rohingya - il “popolo
senza Stato”.
Purtroppo la costruzione di questi muri non si è
mai arrestata. Anzi, lo scoppio di nuovi conflitti spesso favorisce la
nascita di barriere che dividono Paesi, città, gruppi etnici, nuclei
familiari. Il conflitto siriano ne è un esempio. La Turchia fin
dall’inizio della guerra in Siria ha aperto le sue frontiere per
accogliere i profughi che fuggivano dallo scontro tra i ribelli e il
regime di Assad. Attualmente i rifugiati sono quasi un milione, divisi
nei numerosi campi profughi. Il confine con la Siria è tuttavia
diventato un problema di sicurezza interna per Ankara, con episodi di
contrabbando e scontri nella zona di Reyhanli. Proprio da questa città è
partita la costruzione di un nuovo muro di cemento, per arrestare
l’immigrazione clandestina e l’ingresso nel Paese dei combattenti
qaedisti. Questa barriera non è la prima al confine turco con la Siria,
che nei primi mesi del 2014 aveva già visto la nascita di un muro a
Gaziantep, nel sud-est del Paese a maggioranza curda.
Una nuova
barriera, lunga quasi duemila chilometri, è invece in programma in
Ucraina, dove l’oligarca Igor Kolomoyski, da marzo governatore della
regione di Dnipropetrovsk, ha già presentato un progetto - che sarebbe
finanziato dallo stesso magnate - al presidente Poroshenko. Scopo di
tale muraglia, frenare l’ingresso di miliziani separatisti filorussi
nell’Ucraina orientale. Per dare il via alla costruzione serve la firma
di Poroshenko; poi si passerà alla rimozione dei cippi di confine. La
reazione russa non si è fatta attendere, con un immediato richiamo - da
parte del capo del Comitato Esteri della Duma, Alexey Pushkov - al
diritto internazionale, in quanto “per la demarcazione viene sempre
costituita una commissione mista e vi sono impegnate due parti”. Punto
centrale della discussione è stato l’accordo sulla demarcazione dei
confini tra Federazione Russa e Ucraina del 2010, con il quale è stata
costituita una commissione bilaterale per la soluzione di tutte le
questioni riguardanti tale argomento.