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Kurdistan, il sogno di un popolo

tra le ambizioni della Turchia e le debolezze dell'Occidente

La Turchia non è certamente famosa per una grande tolleranza verso i curdi. Per anni ha proibito l’uso della loro lingua e ha preso provvedimenti molto duri verso questa minoranza, inclusi processi e incarcerazioni di attivisti. D’altra parte i fautori dell’indipendenza di questo popolo hanno fatto ricorso anche al terrorismo, come prova la vicenda del leader del Pkk Ocalan, nella quale è stato coinvolto anche il nostro Paese. 

Che cosa sta spingendo dunque il governo Erdogan a finanziare lo sviluppo di Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno, e a firmare con questa componente dei curdi importanti trattati energetici? Le notizie dei contratti sulle forniture di petrolio (presente a Kirkuk e Mossul) e gas naturale, le trattative con quel che rimane dello Stato iracheno per poter costruire oleodotti e la crescita del settore immobiliare nella capitale del Kurdistan si rincorrono ormai sia sui giornali esteri come il New York Times e la BBC, sia sui quotidiani italiani La Repubblica e Corriere della Sera.
 Il sogno dei curdi di avere un proprio Stato si scontra per prima cosa con ostacoli di natura legale. Nel secondo dopoguerra, quando la comunità internazionale ha affrontato la decolonizzazione dei Paesi africani e asiatici, il diritto internazionale ha parzialmente derogato all’impostazione per cui era assolutamente vietato dividere i Paesi, pregiudicando la stabilità politica e il dovere di obbedienza a Stati sovrani. Ha invece accolto, nei primi anni ’70, il principio di autodeterminazione, sebbene riservandone l’applicazione a casi limite. 

Prevale l’autodeterminazione solo se un popolo è soggetto a tre gravi stati di oppressione: l’apartheid, l’occupazione militare e forme di colonialismo tali da pregiudicarne lo sviluppo politico, economico, sociale e culturale. In pratica, dopo il 1945 si voleva prevenire il ripetersi di situazioni incresciose come quella dei Sudeti, la regione cecoslovacca abitata da una maggioranza tedesca di cui si fece “paladino” Adolf Hitler, scatenando poi la seconda guerra mondiale. 
Ma che ne è stato delle antiche aspirazioni del popolo curdo? E quali prospettive apre l’eventuale creazione di uno Stato “Kurdistan” indipendente alle porte della Siria? Qui è in corso una vera e propria guerra internazionale, una sorta di guerra di Spagna per gli arabi e musulmani del mondo, e banco di prova sia per le democrazie che per gli Stati autoritari dalla crescita sostenuta, Russia e Cina. 

Il Kurdistan iracheno attualmente è il solo ad avere alcune delle prerogative di uno Stato sovrano, tra cui soprattutto l’esercito che controlla i confini con la parte meridionale dell’Iraq. La fallimentare guerra americana, basata su presupposti falsi come la presenza, mai dimostrata, di armi di distruzione di massa, ha portato a un collasso di Baghdad. Soltanto le regioni curde del nordest, ai confini con la Siria, sembrano avere avuto un governo capace di fornire sicurezza e una ragionevole qualità della vita ai cittadini. Pian piano stanno stabilendo rapporti con questo governo, guidato da zio e nipote della famiglia Barzani, anche i curdi turchi del Pkk e i curdi siriani, che inizialmente erano dalla parte di Assad, e ora rispecchiano la frammentazione del panorama politico e militare di Damasco. 


Qui i turchi, che contano 18-20 milioni di curdi tra i loro cittadini, hanno costruito un muro, ufficialmente per prevenire gli sconfinamenti dei belligeranti, ma di sicuro anche per dividere i curdi gli uni dagli altri. Secondo il quotidiano di Ankara Hürriyet, la Turchia di Erdogan in sostanza è pronta a favorire un’autonomia curda, solo se all’interno di una propria sfera di influenza sociale, culturale ed economica. 


I curdi sono sempre stati una sorta di contraltare ai progetti di califfato turco. Infatti, arroccati sulle loro alture inespugnabili, quando hanno potuto hanno mantenuto per sé ampia autonomia. Alcuni leader curdi, come Saladino, si sono distinti nella lotta per espandere il mondo musulmano, sacrificando il sogno dell’indipendenza curda in nome di una fede che propagandava ideali universali. Ma di norma i sogni di califfato delle dinastie ottomane, o dei governi della Turchia moderna, si scontrano con le aspirazioni curde all’autonomia. I turchi hanno impiegato diversi mezzi coercitivi anche brutali per sottomettere i curdi: tra essi le feroci spedizioni punitive e la politica matrimoniale. Inoltre nessuna dinastia curda è mai riuscita a sottomettere le altre, per cui non si è mai formato lo Stato sognato dai curdi, che riunisse questo popolo attraverso le frontiere di Turchia, Iran, Siria e Iraq

Oltre all’ostacolo legale e al retaggio religioso, un altro aspetto che ostacola la creazione di uno Stato sovrano curdo è quindi la posizione strategica dell’area denominata Kurdistan, al centro dei conflitti più aspri di quest’inizio di Ventunesimo secolo. 

Nel XIX secolo la questione curda si situava dentro la contrapposizione tra Impero ottomano e Impero russo, per il tentativo degli zar di accaparrarsi un accesso al mare attraverso la conquista dell’Asia Minore, con Francia e Inghilterra che cercavano di esercitare un controllo su Bosforo e Dardanelli. Due secoli dopo, anche alla luce dell’esperienza dei genocidi del XX secolo (soprattutto quello armeno e quello ebraico), le preoccupazioni sono almeno parzialmente cambiate. 


A quasi un secolo dalla fine della prima guerra mondiale e dal Trattato di Losanna che ha gettato le basi dell’attuale situazione geopolitica, il Kurdistan è ancora diviso tra i quattro Stati (Iran, Siria, Turchia e Iraq) che più o meno erano sorti nelle stesse sedi attuali. 


La “questione nazionale” curda fatica a trovare una soluzione in presenza del fattore islamico pressoché assente negli assetti dei Paesi occidentali. Il Kurdistan risente dei conflitti dell’Occidente con l’Iran della continua minaccia nucleare, con la Turchia che aspira a farsi potenza egemone nel mondo arabo e musulmano, con la Siria dilaniata dalla guerra civile e dove il governo non esita a usare le armi chimiche contro il suo stesso popolo. 


Sono circa 207 mila i profughi siriani che hanno raggiunto l'Iraq, e la maggior parte si è stabilita proprio nel Kurdistan iracheno, ponendo non pochi problemi materiali e organizzativi alle autorità, che devono anche trovare soluzioni al rompicapo dell'identità delle minoranze in quest'area del Medio Oriente (la maggior parte di questi rifugiati è curda, ma vi sono anche arabi e cristiani). Il Ministro degli Esteri curdo Falah Mustafa ha già fatto sapere che il suo governo ripone molte speranze nei prossimi accordi sulla Siria denominati "Ginevra 2".   

Quanto all’Iraq, al-Qaeda vi si diffonde in maniera sempre più preoccupante. Una destabilizzazione in quest’area potrebbe essere minacciosa per Israele, che rimane sempre un’isola in un mare etnico e culturale ostile. I contatti dei curdi con rappresentanti di alcune ex repubbliche sovietiche come l’Azerbaigian potrebbero risvegliare le preoccupazioni tanto dei russi, quanto degli armeni e dei loro alleati americani. Per tutti questi motivi l’indipendenza del Kurdistan appare legata a una grande incognita: la possibilità per gli Stati Uniti di mantenere il proprio ruolo egemone, giocando un ruolo attivo nella prevenzione e nella repressione dei genocidi, e di non vedere, dopo l’ascesa del XX secolo, anche rapidamente il declino della loro grande potenza.

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