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La delicata situazione in Afghanistan

tra problemi di sicurezza e condizione femminile

L’attenzione della comunità internazionale è puntata da ormai un anno sulle conquiste del gruppo Stato Islamico in Siria e Iraq. Lontano - ma non troppo - dai riflettori, l’Afghanistan sta attraversando una fase molto particolare, con una ripresa degli attacchi da parte dei talebani, uno stallo economico e una delicata situazione militare. Secondo il ministero della difesa afgano, i miliziani hanno lanciato attacchi su larga scala in 26 province su 34, non solo nella loro tradizionale area di influenza lungo il confine con il Pakistan, ma anche nel nord e nell’ovest, al confine con l’Iran.

Il 21 settembre scorso la commissione elettorale afgana ha dichiarato Ashraf Ghani vincitore delle contestate elezioni presidenziali del 14 giugno. Per arrivare a tale soluzione, dopo un sostanziale pareggio elettorale, lo stesso Ghani aveva firmato un accordo per una condivisione del potere con il suo rivale Abdullah Abdullah, per il quale è stata creata la carica di “chief executive”, con poteri simili a quelli di un primo ministro.
Dieci mesi dopo il suo insediamento, il consenso nei confronti del presidente sta crollando, mentre sono ancora vacanti alcuni incarichi nel governo e nelle province.
Di fondamentale importanza per Ghani sono le relazioni con il vicino Pakistan, molto tese da decenni. Islamabad, pur prendendo ufficialmente parte alla lotta contro i talebani, non ha mai totalmente nascosto l’appoggio da parte dei servizi segreti del Paese ai jihadisti, che continuando ad attraversare la Linea Durand per colpire in territorio afgano. Nonostante ciò, tuttavia, i due Paesi hanno firmato un accordo senza precedenti, per avviare una collaborazione in chiave antiterroristica. “Saranno pianificate azioni coordinate e condotte reciprocamente per colpire i covi dei terroristi lungo la frontiera”, ha promesso Nawaz Sharif, primo ministro pachistano.

Intanto l’Afghanistan deve affrontare una difficile situazione militare. Il 2015 si è aperto con la fine della missione ISAF e la ridefinizione dell’impegno internazionale nel Paese. Stati Uniti e NATO manterranno rispettivamente 9.800 e 2.000 soldati, impegnati nel ruolo di addestramento e supporto alle forze di sicurezza afgane. Le forze armate nazionali sono a reclutamento volontario, ma sono ben equipaggiate e stanno crescendo in termini di abilità. Il numero di morti e feriti è ancora molto alto, soprattutto nella polizia locale, in prima linea di fronte agli attacchi dei talebani, che deve fronteggiare anche problemi di tattica e disciplina.

Guerre, corruzione e problemi di sicurezza hanno ulteriormente minato la situazione economica del Paese, che resta uno dei più poveri del mondo, con profondi divari nella distribuzione della ricchezza, bassissimi tassi di crescita, pochi investimenti esteri e un alto tasso di disoccupazione. Qualche speranza di miglioramento potrebbe arrivare dagli accordi con gli Stati dell’area, come ad esempio quello per il trasferimento di 300 megawatt di elettricità all’anno dal Kyrgyzstan e Tajikistan al Pakistan, passando proprio attraverso l’Afghanistan.

In questa già delicata situazione si inserisce la condizione delle donne nel Paese. Nonostante il nuovo governo sia formato per il 20% da donne, e nonostante si sia aperta la strada per la partecipazione femminile alla politica - con l’elezione di Anisa Rassouli alla Corte Suprema di Giustizia e la nomina di Seema Joyenda e Masooma Muradi a governatrici provinciali - la società afgana resta fortemente legata alle tradizioni tribali e patriarcali. Ogni due ore muore una donna dando alla luce il proprio figlio, mentre i casi di violenza contro le donne sono aumentati del 25% nell’ultimo anno. Uno dei casi più noti è quello di Farkhunda, la giovane linciata dalla folla lo scorso 19 marzo, presa a bastonate, bruciata e gettata in un fiume davanti alle forze di polizia. La donna era stata aggredita perché accusata - ingiustamente - di aver bruciato una copia del Corano; al suo funerale, un corteo di sole donne aveva allontanato gli uomini dalla sua bara e aveva trasportato il feretro fino alla sepoltura, rompendo il rituale tradizionale che affida tale procedura alla componente maschile della famiglia. I quattro responsabili dell’uccisione di Farkhunda sono stati inizialmente condannati a morte, mentre i poliziotti sono stati condannati a un anno di prigione per non essere intervenuti; qualche giorno fa, tuttavia, le condanne sono state annullate dalla Corte d’appello.

Un altro grave problema è quello delle spose bambine: circa il 50% arriva al matrimonio prima dei 16 anni, ed è venduta dalle propria famiglia come compensazione di debiti o soluzione di controversie. Nonostante gli accordi internazionali e la presenza di un sistema legale nazionale, infatti, le famiglie - soprattutto nelle zone rurali - preferiscono avvalersi della giustizia tribale, ritenuta più veloce e meno corrotta. ”È facile, è economica ed è sotto casa”, ha spiegato Suraya Pakzad, fondatrice della Voice of Women Organization.

C’è da aggiungere inoltre che circa l’85% delle donne afgane è senza istruzione, e anche i progetti umanitari di educazione femminile devono spesso lottare contro le resistenze delle famiglie, la possibilità di ritorsioni e la stessa paura delle donne. Tuttavia per una crescita del Paese è fondamentale per il Paese l’impegno nella formazione femminile. “Se si investe nell’istruzione di una donna, - ha ricordato lo stesso presidente Ghani - ne gioveranno cinque generazioni, se si investe su un uomo, solo una”.

Martina Landi

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

23 luglio 2015

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Appunti internazionali a cura di Martina Landi

Questi “Appunti internazionali” indagano sulle origini storiche e sociali delle guerre dimenticate o trascurate dai media e sui meccanismi istituiti dalla giustizia internazionale per punire i colpevoli di gravi crimini contro l’umanità.

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