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Una nuova crisi a San'a'

lo Yemen e i ribelli houti

Con l’annuncio in diretta televisiva da parte dei ribelli della dissoluzione del Parlamento e della sostituzione della carica del presidente con un consiglio presidenziale formato da cinque persone, è di nuovo crisi in Yemen.

Il Paese, in bilico tra istanze settarie e pericolo terrorismo, rischia ora di precipitare in una nuova fase di incertezza. Nel frattempo, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Arabia Saudita ed Egitto hanno deciso di chiudere le loro ambasciate nel territorio yemenita, mentre Italia e Germania hanno invitato i propri concittadini a lasciare il Paese.

Lo scontro a San’a’, capitale dello Yemen, è iniziato nel settembre 2014, quando i guerriglieri hanno conquistato diverse zone della città. A opporsi al governo del presidente Abd Rabbu Mansur Hadi sono i ribelli houti, sciiti zayditi originari del Nord del Paese guidati dal 33enne Abdel Malek al Houti.

Le radici profonde della violenza settaria non sono riscontrabili tanto nella divisione religiosa tra la minoranza sciita del Nord e la maggioranza sunnita shafita del Sud, quanto piuttosto in una serie di fattori interni e internazionali. Il passaggio di poteri dal presidente Ali Abdullah Saleh (in carica dal 1978) al vice presidente Abd Rabbu Mansur Hadi nel 2012 non ha infatti prodotto i risultati sperati, fallendo nel portare avanti quella che sembrava una primavera yemenita. Ecco quindi che corruzione, frammentazione del potere dei clan e crisi economica non sono state controbilanciate da adeguate riforme, andando ad aggiungersi a un generale malcontento della popolazione circa l’uso dei droni da parte degli Stati Uniti, Paese amico dello Yemen, in chiave antiterrorismo.

Le due zone del Paese sono tuttavia molto diverse, come conseguenza storica della dissoluzione dell’Impero Ottomano. Mentre la parte settentrionale divenne indipendente dall’Impero nel 1919, quella meridionale venne posta sotto il protettorato britannico, che terminò solamente nel 1967, dando vita allo Yemen del Sud. Nel 1970 quest’ultimo adotto il regime marxista, innescando di fatto una permanente contrapposizione con il Nord, con cui si riunì formalmente nel 1990 sotto il nome di Repubblica Unita dello Yemen.
A giocare un ruolo in questo contrasto vi sono anche Iran e Arabia Saudita. Se Teheran dal 2011 fornisce armi, soldi e addestramento agli houti, è utile ricordare anche che nel 1994 Riyadh sostenne finanziariamente la ribellione del Sud contro l’allora presidente Saleh.

I ribelli houti, tuttavia, non sono l’unica forza in campo. Se in questi giorni è tornata alla ribalta la fazione separatista del Sud al-Harak, non bisogna dimenticare che lo Yemen è la patria di Al Qaeda nella penisola arabica (AQAP, il gruppo che ha rivendicato gli attacchi alla redazione parigina di Charlie Hebdo). Il gruppo nasce nel 2009 come fusione delle due precedenti estensioni territoriali di al-Qaeda, quella yemenita e quella saudita. Come Al Qaeda, l’AQAP si oppone al governo di Riyadh, che negli ultimi anni ha destinato un gran numero di forze economiche e strategiche alla lotta per contrastare i terroristi. A questa formazione, responsabile anche di rapimenti e attacchi alle ambasciate, è legata l’organizzazione Ansar al-Sharia, creatasi in Yemen durante le proteste anti-governative del 2011. Il gruppo è considerato tra i più pericolosi, vista anche la sua capacità di attrarre volontari occidentali attraverso un’importante strategia propagandistica.

In quest’ottica si spiegano le attuali preoccupazioni della Casa Bianca. La caduta del governo di Hadi, che negli ultimi due anni ha appoggiato apertamente gli attacchi con i droni contro le postazioni AQAP, è avvenuta nel momento più acuto della crisi contro l’estremismo islamico. Oggi Washington guarda allo Yemen anche in chiave regionale - consapevole che gli occhi della monarchia saudita del nuovo sovrano Salman sono puntati su San’a’ e sul negoziato con Teheran -, alla ricerca di una strategia per non perdere un Paese amico in una delle zone più strategiche del pianeta.

Intanto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione, proposta da Gran Bretagna e Giordania, per chiedere il ritiro delle milizie houti dalle strutture governative e il rilascio del presidente e del primo ministro, attualmente agli arresti domiciliari. Gli houti hanno tuttavia respinto tale risoluzione, invitando l'Onu a "rispettare la volontà e la sovranità del popolo yemenita”. Il 20 febbraio è stato tuttavia trovato l'accordo su un consiglio di transizione, formato anche da alcuni rappresentanti del sud, che prenderà il posto della camera alta e affiancherà l’attuale parlamento.

Martina Landi

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

26 febbraio 2015

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