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Basta violenza contro donne e bambini

la voce di Dacia Maraini

Dacia Maraini

Dacia Maraini

In Buio la grande scrittrice italiana Dacia Maraini ci porta per mano nella casa di Viollca, un’albanese dodicenne che viene consegnata dal padre a Xhuvan, un trafficante di prostitute minorili, in cambio di una cospicua somma di denaro. Il padre la rassicura dicendole: “Fai un po’ di soldi e poi torni. Ti serviranno per sposarti. E poi dobbiamo rifare il tetto. Vai, Viollca e zoti te shpetofte, Dio ti guardi”. La madre entusiasta aggiunge: ”Farai un sacco di soldi, Viollca, do te jesh e pasur, sarai ricca.” Poi l’abbraccia sulla soglia senza proferire una parola. Cerca di togliere l’orso Malek dalle sue mani, ma la bambina lo stringe al petto con impeto. L’orso è tutto ciò che le è rimasto della sua povera casa, della sua martoriata esistenza.

Dopo di che il padre torna a girare automaticamente il cucchiaino nella tazza di caffè ormai freddo, quasi a voler cacciar via la consapevolezza di aver consegnato l’angelo della purezza ai diavoli delle strade, in cambio di una misera somma di denaro macchiata di sangue e di disonore. Né la madre né il padre sembrano rendersi conto di aver ucciso i sogni della loro bambina, la bellezza dell’innocenza, il sorriso della vita.

Durante il lungo tragitto verso l’Italia, il famelico Xhuvan sgrida Viollca per aver tolto le scarpe a tacco alto dicendole: ”Che fai, ti togli le scarpe? Non sei più una bambina selvaggia che gioca in mezzo alla strada, sei una signorina elegante, in minigonna, coi tacchi alti…Sembri più grande, parola di Xhuvan. Allora, ricordi? Diciassette anni compiuti. Qui ci sono i documenti nuovi. Il tuo nome è sempre Viollca, ma il tuo cognome è cambiato. Ti chiami Mrozek; imparalo a memoria”.

Viollca versa copiose lacrime, ma nessuno sembra sentire il suo pianto, neppure il cielo. All’ arrivo al porto di Brindisi, due incensurati albanesi e un camorrista italiano afferrano la bambina con forza e la caricano in una macchina lunga e scura che, sgommando, parte verso la periferia di Roma. Xhuvan sorride per aver portato a compimento la missione e aver riscosso un’ ingente somma di denaro.

Più tardi la povera Viollca viene affidata a Mà, una donna di mezza età grassa e tozza che la ingabbia insieme ad un’altra sfortunata ragazza tredicenne, Cate, semialcolizzata, succube di incubi e allucinazioni.

Al calare della notte, quando i due delinquenti vengono a prendere le due sfortunate bambine, “Mà le porta per le scale tenendole per mano come fossero due bambole da mettere in vetrina. Con le gonne al sedere, le gambe velate da calze a rete, il reggicalze rosso che sbuca da sotto le mutande, i tacchi alti, il top scintillante e la giacchina di velluto su cui spiccano i ricciolini biondi, le due ragazzine appaiono sulla porta, sbalordite, come due personaggi di fumetto porno”.

Il lungo calvario inizia nel momento in cui Viollca perde la propria verginità, provando un dolore forte, acuto, come uno strappo dall’interno delle viscere. Ha freddo alle gambe che sente gelate e immobili sul lenzuolo; pure il ventre è gelato e di sasso. A notte fonda, la loro “protrettrice” conta il denaro, prende per sé il tre per cento e il resto lo consegna con un sorriso ai due patron. Alle ragazze non tocca niente. ”I soldi li mandiamo ai vostri genitori, state tranquille.”
E così, le due ragazzine vengono condotte con l’inganno tutte le notti in un circo di pazzi, assettati di carne infantile.

Quante donne e bambine continuiamo a vedere ancora schierarsi seminude lungo i cigli delle strade, minacciate dai loro protettori, sciacalli della notte? E il mondo tace. Gli avvocati difendono ragazzini che hanno violentato una compagna di classe, facendola sembrare colpevole. A volte anche la giustizia ha le sue colpe, anche se pochi osano parlare.

L’autrice ci presenta un’altra storia oscena di violenza carnale contro i minori, la vicenda di un padre che abusa dei suoi tre figli, costringendo la moglie a tacere l’infamia subita e il disonore.

Il mostro a volte indossa l’abito di un agnello pur di arrivare ai suoi sporchi progetti. Il padre dell’undicenne Tano è un maniaco, un malato di mente privo di cuore e d’anima. Il coraggioso ragazzino trova la forza di denunciare all’ispettore Marra il proprio padre per violenza carnale.

L’ispettore lo guarda con un misto di apprensione e di incredulità:

“E la mamma che dice?”
“Niente, che deve dire?”
“E i fratelli?”
“Clementina ci è già passata. È da quando aveva cinque anni che abbozza. Rosario è andato via di casa per questo. Ma lavora un giorno sì e uno no perciò spesso torna a casa. La mamma dice che è un cretino.”
“E da quando tuo padre ti violenterebbe?”
“Da quando avevo sette anni.”
“E perché non l’hai detto prima?”
“Avevo paura. Diceva che mi ammazzava.”

Ancora oggi, purtroppo, si consuma la violenza su donne e minori, facendo leva sulla paura e sull’omertà.

Dacia Maraini attacca anche i mafiosi, portatori di incubi, paura e morte. Nel suo romanzo Bagheria leggiamo: «Conoscevo troppo bene le arroganze e le crudeltà della Mafia che sono state proprio le grandi famiglie aristocratiche siciliane a nutrire e a far prosperare perché facessero giustizia per conto loro presso i contadini ….Io non ne volevo sapere di loro. Mi erano estranei, sconosciuti. Li avevo ripudiati per sempre già da quando avevo nove anni ed ero tornata dal Giappone affamata, poverissima, con la cugina morte ancora acquattata nel fondo degli occhi…. Io stavo dalla parte di mio padre che aveva dato un calcio alle sciocchezze di quei principi arroganti rifiutando una contea che pure gli spettava in quanto marito della figlia maggiore del duca che non lasciava eredi. Lui aveva preso per mano mia madre e se l'era portata a Fiesole a fare la fame, lontana dalle beghe di una famiglia impettita e ansiosa…. E invece eccoli lì, mi sono cascati addosso tutti assieme, con un rumore di vecchie ossa, nel momento in cui ho deciso, dopo anni e anni di rinvii e di rifiuti, di parlare della Sicilia. Non di una Sicilia immaginaria, di una Sicilia letteraria, sognata, mitizzata.»

I mafiosi continuano a uccidere e a condurre alcuni giovani sulle vie della corruzione e dello spaccio per accumulare ricchezze, grandezza ed agiatezza:

“Quanti giovani disperati,
Smarriti,
Impasticcati, ubriachi
Vedremo ancora
Stesi sui marciapiedi,
Uccisi, gettati, abbandonati
Sulla spiaggia di un mare ribelle
O sulla riva di un fiume straripato,
Sordo, muto
Privo di cuore?
Quante lacrime verseranno ancora
Le loro madri nell’oscurità,
Lacrime che riempiranno la terra
E il cielo di fango e di dolore?”

La donna non è una terra da conquistare, una macchina da vendere o comprare, una preda facile da stuprare; ha un corpo, ma soprattutto un’anima, un cuore che palpita d’amore.

I bambini sono la luce dei nostri giorni, il nostro futuro e la culla dei nostri sogni alati nella vita, perciò vanno rispettati e amati.

Hafez Haidar,  Accademico emerito e scrittore

26 marzo 2015

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Echi del Mediterraneo Hafez Haidar

Da millenni luogo di incontro tra genti, culture e religioni, il Mediterraneo è anche teatro di conflitti che minacciano la convivenza pacifica. Oltre il terrorismo e gli echi di guerra, lo scrittore Hafez Haidar ci racconta le storie di donne e uomini, di ieri e di oggi, portatori di messaggi di tolleranza, pace, solidarietà che attraversano questo mare.

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