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Il mio lavoro con CSEO e i dissidenti dell'Est

fermenti della società civile oltre cortina

Impossibile iniziare queste Note di viaggio senza ricordare, seppur brevemente, la figura e l’opera di don Francesco Ricci, perché  è grazie a lui e al suo infaticabile desiderio di incontrare e conoscere che è nata una rete significativa e importante di rapporti con i paesi dell’Est europeo, che poi ha portato a un approfondito lavoro di studio e alla diffusione in Italia della produzione culturale dei cosiddetti “dissidenti” di oltre cortina. 

Don Francesco era nato nel 1930 a Forlì, dove é morto nel 1990 dopo una lunga malattia. Era noto come “don Chilometro”, inizialmente per la sua straordinaria altezza, quasi due metri, ma poi per la sua infaticabile capacità di macinare chilometri in giro per il mondo. Infatti, il suo slancio missionario e culturale lo portò dapprima nei paesi dell’Est europeo, e poi in Africa, in Sud America, nelle Filippine, in Corea, in Giappone e ad Hong Kong. Dovunque ha lasciato una traccia importante, ha fatto nascere opere editoriali che spesso continuano le pubblicazioni ancora oggi, ha favorito incontri tra realtà apparentemente distanti fra loro, come quello a Caracas nel 1982 fra esponenti di  Solidarność in esilio e della CLAT (Confederazione Latinoamericana dei Lavoratori), ma soprattutto ha educato i tanti che hanno avuto la fortuna di lasciarsi guidare da lui ad avere uno sguardo ampio, a saper riconoscere e valorizzare ogni spunto di verità, a non rimanere imprigionati dentro i propri schemi e ad essere “curiosi” di tutto ciò che riguarda l’uomo.

Personalmente ho incontrato don Francesco Ricci nel 1972 al mio anno primo  di università. Pochi anni prima, nel 1966, don Francesco aveva fondato a Forlì il Centro Studi Europa Orientale, CSEO. È stato un incontro decisivo per la mia vita, che mi ha portata a incontrare molti dei grandi protagonisti del XX secolo, dal cardinal Wyszyński a Lech Wałȩsa, dal cardinal Wojtyła a Václav Havel, solo per citare i più noti, e a intessere una trama di rapporti con tante realtà culturali, ecclesiali, sociali e politiche in diversi paesi dell’Europa Centro Orientale.

Come e perché è nato CSEO?

Non appena le maglie della cortina di ferro cominciarono ad allentarsi nella prima metà degli anni ’60, don Francesco si era voluto recare nei paesi della cosiddetta “Chiesa del silenzio” per verificare di persona le condizioni di vita dei cristiani e delle società nei paesi del “Paradiso comunista”. Gli incontri, inizialmente spesso casuali e non programmati, che aveva avuto soprattutto in Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia lo avevano portato alla scoperta di un mondo e di un fermento culturale, di pensiero, e artistico che erano del tutto, e forse colpevolmente, sconosciuti in Occidente. Da qui la creazione di CSEO. 

Dall'ottobre 1966 CSEO iniziò la pubblicazione di un bollettino d'informazione sulla Chiesa dell'Est europeo, CSEO-Documentazione, inizialmente ciclostilato e dall'aprile 1968 stampato con cadenza mensile, per un totale di 190 numeri, fino al 1984, che hanno messo a disposizione dei lettori italiani un materiale altrimenti inaccessibile. 
Nel 1978 la pubblicazione del mensile venne accompagnata da una casa editrice, che ha creato una “biblioteca dell’Est” ricchissima e senza precedenti nel panorama editoriale italiano.
Scrive don Francesco nell’editoriale che apre l’ultimo numero di CSEO-Documentazione nel 1984:
“Ripensando la nostra esperienza come centro di documentazione e d’informazione su Chiesa e società nei paesi dell’Europa orientale, esperienza che abbraccia un arco di vent’anni, vorremmo precisare che due sono stati gli elementi importanti che hanno determinato il nostro metodo di lavoro e la nostra produzione, e precisamente: 
a) il fatto di lavorare in ambito linguistico e culturale italiano, in una situazione di forte polarizzazione in due campi politici e sociali che potremmo definire uno come atlantico e l’altro come uralo-sovietico, formati non solo da élite intellettuali, ma anche da grandi masse popolari; 
b) il fatto di aver mirato con il nostro lavoro non solo ad un’informazione puramente obiettiva, a una documentazione sull’Est e per l’Est, bensì a trasportare di qua dall’Est ciò che potrebbe cambiare l’Ovest.
Non ci interessava commuovere la buona coscienza occidentale o riempirla d’orrore, bensì convincere la gente dei nostri paesi che valeva la pena ascoltare anche ciò che veniva dall’Est perché di là veniva qualcosa che per noi era proposta. Insomma, dall’Est è avvenuta una novità che, se accettata, può cambiare l’Ovest”.
E ancora:
“Negli anni 1968-1982 è avvenuto nei paesi dell’Est un significativo fenomeno di creatività che naturalmente è stato più importante in Cecoslovacchia con Charta ’77 e in Polonia con Solidarność, ma anche in Ungheria con l’inizio del samizdat ungherese. Fede e cultura hanno visto un incontro nuovo, privo di accenti reazionari o recriminatori e ricco, invece, di novità. (…) L’Ovest finora ha guardato all’Est come se la divisione dell’Europa fosse una realtà immutabile, ovvia, indiscutibile. Il mito di Yalta ha più influenza sul mondo delle idee dell’europeo occidentale che su quello dell’europeo orientale. Tutta l’informazione sull’Europa dell’Est viene trattata dal punto di vista dell’ovvietà di Yalta, cioè della divisione, anche in coloro che si dichiarano anticomunisti ed europeisti” .
Quindi, fin dal primo approccio con l'Est, Francesco Ricci sosteneva che la divisione operata a Yalta all'indomani della conclusione della Seconda Guerra Mondiale fosse una frattura che andava contro la storia e la realtà. “La cosiddetta «linea di Yalta» non solo divide e separa l’Europa in due parti, ma annulla con un solo colpo di spugna l’Europa centrale, sia come realtà geo-politica, sia come dimensione spirituale e culturale” . 

Don Francesco usava spesso a questo proposito l’immagine dell’anello spezzato che i cavalieri medievali si scambiavano quando dovevano partire per una lunga campagna di guerra o per un lungo pellegrinaggio, e che anni dopo sarebbe servito come segno di riconoscimento. L’Europa era come quell’anello spezzato in due. Il compito di CSEO, attraverso gli incontri, i testi, le testimonianze, era lucidare e mantenere brillante la metà dell’anello rimasta all’Est, così che potesse prima o poi ricongiungersi alla propria metà.
Attraverso la narrazione di incontri ed esperienze,  queste Note di viaggio intendono ripercorrere il cammino che ha portato ai grandi cambiamenti del 1989, ma soprattutto intendono riportare alla memoria la ricchezza di una posizione culturale personale, e in alcuni casi collettiva, che attraverso un lavoro spesso oscuro e dimenticato ha cambiato il volto dell’Europa. Non intendono essere un viaggio nella nostalgia, ma uno spunto di riflessione che forse può avere un valore anche nei difficili momenti che la nostra società sta attraversando. Alle “Note di viaggio” si accompagnerà una scelta di documenti e brani degli autori e dei protagonisti incontrati, così che siano le loro stesse parole a parlarci di nuovo e, forse, ad essere spunto per un lavoro di approfondimento su un capitolo della storia europea ancora troppo poco conosciuto, diffuso e valorizzato.


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Annalia Guglielmi

Annalia Guglielmi, esperta di Polonia ed Europa dell'Est

29 ottobre 2013

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