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In viaggio verso Lublino

Gli incontri con Jerzy Popieluszko e con il cardinal Wyszynski

Arrivai a Varsavia ai primi di settembre del 1979.

Prima di andare a Lublino, mi fermai nella capitale alcuni giorni. Ero ospitata nella chiesa di Sant’Anna, accanto al Castello Reale, la sede della pastorale universitaria, da cui ogni anno partiva, e parte tuttora, il pellegrinaggio a piedi a Czestochowa del famoso “Gruppo 17” - forse il gruppo più numeroso, vivace, e rumoroso di tutti quelli che partono da Varsavia, perché composto dagli studenti universitari - a cui da alcuni anni partecipavano anche molti studenti italiani.

Il rettore della chiesa, monsignor Uszynski, scomparso nel 2001, era un uomo e sacerdote straordinario, molto attivo nella pastorale universitaria, cappellano dei veterani di guerra, certamente una delle figure più autorevoli del clero polacco, che aveva rapporti con tutti gli ambienti dell’opposizione, e che anche negli anni seguenti rimase per me un sicuro punto di riferimento per avere un giudizio sulla situazione e per aggiornarmi su quanto accadeva all’interno dei diversi gruppi dell’opposizione o sulle ultime direttive del regime.

Nominato responsabile della pastorale studentesca nel 1966, aveva dato vita alle Settimane della Cultura Cristiana e a numerosi incontri ecumenici.

Inoltre, essendo cappellano dei veterani di guerra, era in stretto contatto con molti protagonisti dell’Insurrezione di Varsavia, dell’Insurrezione del Ghetto e dell’esercito clandestino polacco, l’Armia Krajowa, che erano pesantemente perseguitati e discriminati dal regime comunista. Incontrandoli nei locali della canonica di Sant’Anna ebbi l’opportunità di ascoltarne i racconti, e non nego di essermi profondamente commossa di fronte a quegli uomini che avevano combattuto contro gli occupanti nazisti e che, nella Polonia libera, non solo non avevano avuto nessun riconoscimento per quello che avevano fatto, ma spesso erano stati rinchiusi in carcere e avevano visto giustiziare molti loro compagni di lotta. Credo che le sorti dei capi dell’Armia Krajowa siano uno dei capitoli più bui e drammatici del dopoguerra europeo, di cui purtroppo quasi nessuno parla.

Conobbi anche i coadiutori di monsignor Uszynski, fra cui c’era anche il beato padre Jerzy Popieluszko, con il quale ebbi modo di parlare a lungo durante le serate trascorse in canonica. Si occupava della pastorale dei medici e degli infermieri, aveva un grande entusiasmo, ma si vedeva che era di costituzione cagionevole - seppi poi solo dopo la sua morte che i suoi problemi di salute erano dovuti ai maltrattamenti subiti durante il servizio militare. Padre Popieluszko colpiva anche per una sua forma di timidezza e mitezza, che non faceva presagire affatto quello che doveva accadere di lì a qualche anno.

Ovviamente, feci visita al Primate cardinal Wyszyński, che mi fece conoscere alcune responsabili dell’istituto di vita consacrata di cui era padre spirituale, familiarmente noto come le “Piccole Otto” (perché avevano cominciato in otto e perché il numero otto in posizione orizzontale è il simbolo dell’infinito), il cui nome in realtà era “Istituto Secolare delle Ausiliatrici della Vergine di Jasna Gora, Madre della Chiesa”. Dal 2006 la congregazione porta il nome di “Istituto del Primate Wyszyński”.

L’Istituto era nato in piena seconda guerra mondiale, nel 1942, per iniziativa di Maria Okonska, che a Varsavia svolgeva un’opera educativa clandestina fra i giovani e, insieme ad alcune amiche, aveva pensato di creare un’istituzione per preparare le giovani donne ai compiti che le attendevano. In tal modo era nata la “Città delle Ragazze”, in cui dovevano trovarsi scuole, teatri ed ospedali per tutte le ragazze bisognose. Padre spirituale del nuovo istituto fu fin dall’inizio Stefan Wyszyński. Allo scoppio dell’Insurrezione di Varsavia le “Piccole Otto” si unirono agli insorti, dando loro conforto medico e spirituale.

Nel dopoguerra le “Piccole Otto” continuarono il loro lavoro fra i giovani e per questo Maria Okonska e una sua compagna furono arrestate nel 1948 e rimasero alcuni mesi in carcere. Quando il Primate venne arrestato nel 1952, le “Piccole Otto” si trasferirono a Jasna Gora, in una sorta di prigionia volontaria, e furono di grande aiuto ai padri Paolini nell’organizzazione dei pellegrinaggi e delle celebrazioni dei Voti della Nazione.

Dopo la liberazione del cardinal Wyszyński nel 1956, una parte delle “Piccole Otto” rimase a Jasna Gora, mentre alcune di loro si trasferirono a Varsavia, dove, oltre al lavoro pastorale fra le giovani in difficoltà, iniziarono a lavorare nella segreteria del Primate, per il quale era di fondamentale importanza avere accanto persone di fiducia.

La propaganda del partito cercò di sfruttare la presenza delle “Piccole Otto” per screditare il Primate attraverso vignette volgari, calunnie, insinuazioni. Come ha dichiarato monsignor Piasecki, l’ultimo cappellano del cardinale: “Fu un’autentica campagna diffamatoria creata dal IV Dipartimento del Ministero degli Interni, che molti preti-agenti diffusero con grande zelo”.

Nel tempo divenni particolarmente amica di due di loro: Regina a Jasna Gora e Renata a Varsavia; in loro trovai sempre un prezioso supporto ogni volta che avevo bisogno di qualsiasi cosa.

L’arrivo a Lublino fu abbastanza traumatico: mi assegnarono una minuscola stanza - ci entrava solo ed unicamente il letto - in un piccolo appartamento di un orribile “blok”, i condomini di cemento comunisti, uguali in tutte le città dei paesi dell’Est, che dovevo dividere con un ragazzo e una ragazza belgi che avevano già occupato le stanze più grandi.

La prima cosa che feci fu precipitarmi da padre Jan Chrapek: era l’unica persona che conoscevo e soprattutto parlava italiano. Nella sua infinita dolcezza e finezza d’animo, dopo che avevo passato il pomeriggio da lui (in lacrime), alla sera si presentò alla mia porta con un amico sacerdote, uno aveva in mano un pollo arrosto e l’altro un mazzo di violette: “Abbiamo pensato che ti sentissi sola, ma devi sapere che hai degli amici”. Non lo dimenticherò mai.

Volevo telefonare a casa. Jan si mise a ridere: “impossibile” mi disse subito. Non convinta, andai alla posta dove il primo giorno aspettai invano per dodici ore, il secondo quattordici. Niente da fare. Alla fine, stremata e rassegnata, mi decisi a scrivere un telegramma.

Questo mi diede subito la sensazione dell’isolamento e dell’anormalità della situazione: eravamo tagliati fuori dai collegamenti con il mondo e mi tornarono in mente le parole che Jan mi aveva detto quando ci eravamo incontrati la prima volta: “Vedi, tu hai il tuo passaporto in tasca, è un tuo diritto, puoi andare dove vuoi, noi, invece, siamo in una specie di grande campo di prigionia, da cui possiamo uscire solo se e quando “loro” ce lo permettono”.

Inoltre, Jan mi ricordò che tutte le comunicazioni da e per l’estero erano registrate e che la posta era aperta e letta, quindi mi raccomandò di fare attenzione a quello che dicevo e scrivevo, così come dovevo fare molta attenzione a chiunque mi si avvicinava, e soprattutto a tutte le nuove conoscenze, perché sicuramente ero sotto l’occhio vigile dei Servizi, che per certo avrebbero cercato di mettermi al fianco qualche “angelo custode”. Presi quindi l’abitudine di sottoporre al vaglio di Jan e delle persone di cui sapevo di potermi fidare ogni nuovo conoscente, studente o docente, laico o sacerdote.

Questa fu la cosa più difficile di quei primi tempi: non ero abituata a vivere nel sospetto, a non dare fiducia a chi avevo di fronte, a non parlare senza remore e retro pensieri, a sentirmi controllata e non libera nei movimenti. Ma era indispensabile, non tanto per me - al massimo mi avrebbero espulso - ma per non mettere in difficoltà le persone dell’opposizione con cui eravamo in rapporto e per non compromettere in nessun modo il lavoro di CSEO rivelando inconsapevolmente la nostra rete di contatti.

Annalia Guglielmi

Annalia Guglielmi, esperta di Polonia ed Europa dell'Est

2 ottobre 2014

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