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La nascita di Solidarnosc

una rivoluzione fatta "in ginocchio"

Rientrai in Italia alla fine di giugno del 1980, il mio contratto era stato rinnovato, e quindi sapevo che sarei dovuta tornare a Lublino in settembre.

Il 14 agosto Danzica balzò sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo: i cantieri navali, orgoglio della Polonia socialista, erano stati occupati dagli operai che chiedevano il reintegro al lavoro di una loro collega, Anna Walentynowicz, licenziata per motivi politici. Ben presto la protesta si estese alle altre aziende del litorale baltico e le richieste degli operai, fissate in 21 punti, vedevano al primo posto il diritto di fondare un sindacato libero e indipendente dal potere politico. I lavoratori inoltre chiedevano libertà di coscienza e di religione, libertà di parola e accesso ai mass media, trasmissione per radio della messa domenicale, liberazione dei detenuti politici. 

Era una vera rivoluzione che nasceva e si fondava sulla solidarietà, e Solidarność divenne il nome del primo sindacato libero di un Paese socialista. Come ha detto Alina Pienkowska, una delle protagoniste di quei giorni: “Chi ci vedeva dall’esterno percepiva un fronte unitario, che riuniva lavoratori, intellettuali e attivisti dell’opposizione – in altre parole, Solidarietà.”

Questo fronte unitario era un fatto totalmente nuovo rispetto alle proteste precedenti. Gli intellettuali appoggiavano la lotta degli operai, e accanto al Comitato di sciopero si era costituita una Commissione di esperti, che partecipò a tutte le fasi del difficile negoziato con il governo. Tale Commissione era presieduta da Tadeusz Mazowiecki, noto intellettuale cattolico di Varsavia - nonché uno dei nostri amici più stretti - che proprio nella capitale polacca aveva fondato il Club dell’Intellighenzia Cattolica. 

Lech Wałęsa ha descritto così l’arrivo degli intellettuali: “Chiesi loro rudemente cosa avessero da offrirci, perché davvero avevamo bisogno di aiuto. Mi risposero: 'Noi siamo intellettuali. Non c'entriamo molto qui, ma possiamo darvi i nostri consigli e la nostra valutazione'. Ecco, era un'idea! Il legame che ci mancava era saltato fuori da solo […]. Alla mia domanda: 'Fino a quando starete con noi?' Mazowiecki rispose: 'Sino alla fine'. Erano arrivati giusto in tempo”.

Ovviamente seguivo con grandissima attenzione e apprensione l’evolversi degli eventi, temendo, come tutti, l'intervento dell’esercito e le reazioni di Mosca.

La televisione trasmetteva le immagini degli operai in tuta blu inginocchiati durante la messa all’interno dei cantieri occupati, di un elettricista, Lech Wałęsa, che si era messo a capo degli scioperanti e portava una spilla con l’immagine della Madonna Nera di Częstochowa sul bavero della giacca, della recinzione dei cantieri ricoperta di fiori, rosari, effigi del Papa polacco o della Madonna Nera, dei volti delle migliaia di madri, mogli, sorelle e fidanzate accalcate davanti ai cancelli.

I mass media e gli intellettuali occidentali faticavano a capire la fede popolare dei polacchi e soprattutto non riuscivano a comprendere il nesso tra religiosità e lotta per i diritti del mondo del lavoro, tra fede e aspirazione alla libertà, tra preghiera e desiderio di cambiamento.

Per noi, che da tempo conoscevamo la Polonia, uno dei fattori determinanti di quella presa di coraggio era certamente quanto era accaduto durante la prima memorabile visita di Giovanni Paolo II in Polonia nel giugno dell’anno prima.

Molti fanno risalire la nascita di Solidarność alle parole del Santo Padre: “Discenda il Tuo Spirito e rinnovi la faccia della terra…di questa terra”, ma un elemento decisivo fu anche l’esperienza vissuta dal popolo polacco durante quei giorni. Quegli uomini che fino a qualche giorno prima si riunivano clandestinamente in piccoli gruppi, erano usciti allo scoperto e si erano riconosciuti come popolo, un popolo che per una settimana aveva seguito e guardato il suo maestro, lo aveva ascoltato, e in quell’esperienza aveva ritrovato la propria dignità, era tornato ad essere soggetto e protagonista, aveva capito come voleva veramente vivere, in quale Polonia. E, in più, i polacchi avevano scoperto di essere in tanti accomunati dallo stesso desiderio.

Proprio in quell’agosto si svolse la prima edizione del Meeting per l’Amicizia tra i Popoli di Rimini. Invitammo Piotr Jegliński, rappresentante a Parigi del gruppo Spotkania di Lublino, perché ci aiutasse a capire meglio quanto stava accadendo. L’incontro si svolse nell’auditorium della Fiera, davanti ad oltre diciassettemila persone, desiderose di conoscere le radici di quegli eventi che avrebbero cambiato la storia europea.

Il 25 agosto 1990, qualche mese prima di essere eletto Presidente della Repubblica, Lech Wałęsa intervenne al Meeting di Rimini, dove disse: “Dieci anni fa in agosto, nei cantieri di Danzica, cominciò uno sciopero storico, che è divenuto l'inizio della fine della vecchia epoca. Se ne andava un sistema che non stava più al passo con lo sviluppo della civiltà. Tutto il mondo ci guardava e tratteneva il respiro. Il nostro sciopero, in caso di vittoria, significava una rivoluzione non inferiore alle precedenti, però senza spargimento di sangue.
Vennero mostrate allora le foto e furono proiettate le immagini del cancello n. 2 ornato di fiori. Era il cuore del cantiere, con l'immagine della Madonna e con il ritratto del Santo Padre Giovanni Paolo II. Vennero descritte le nostre liturgie all'interno del cantiere, vennero riportate le nostre preghiere, e migliaia di immagini delle nostre confessioni sul selciato della fabbrica. Il mondo si stupì di questa rivoluzione fatta in ginocchio, ma per noi era la naturale memoria del nostro grande legame con la Chiesa, con la sua dottrina sociale.”

Come ha scritto l’intellettuale russo Vladimir Bukovskji: “A prescindere dall’età e dalla nazionalità noi tutti siamo nati a Budapest, siamo andati a scuola a Praga, ci siamo fatti le ossa nei lager sovietici e infine abbiamo raggiunto la maturità nei cantieri di Danzica”.

E l’impressione di noi tutti che seguivamo quanto stava accadendo era proprio quella di un cambiamento epocale non solo per la Polonia o i Paesi dell’Est, ma per tutta l’Europa, di cui, ovviamente, non potevamo ancora comprendere tutte le implicazioni, ma di cui potevamo intuire la portata storica.

Annalia Guglielmi

Annalia Guglielmi, esperta di Polonia ed Europa dell'Est

8 gennaio 2015

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