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Repubblica Centrafricana, rischio genocidio

l'allarme di Adama Dieng

Allarme genocidio nel secondo Paese più povero del mondo, nonché uno dei più violenti e dimenticati: la Repubblica Centrafricana. È quanto emerge dalle parole di Adama Dieng, consigliere speciale delle Nazioni Unite per la prevenzione dei genocidi, che ha ammonito il Consiglio di Sicurezza ONU sul pericolo che sta correndo la popolazione dello Stato africano. "Stiamo assistendo a gruppi armati che uccidono persone con il solo pretesto della loro religione - ha dichiarato Dieng - Se non agiamo subito e con decisione, non posso escludere la possibilità che queste violenze sfocino in un genocidio".

A queste parole ha reagito prontamente il rappresentante del Ruanda, presente all’incontro del Consiglio di Sicurezza, che ha ravvisato nella situazione della Repubblica Centrafricana i sintomi presenti a Kigali nel 1994, poco prima del genocidio.

Ma cosa sta succedendo a Bangui? Nell’autunno scorso il governo centrafricano cercò di disarmare cinque gruppi di ribelli nel nord del Paese. Vicino alla frontiera col Chad, i miliziani consegnavano i loro kalashnikov in cambio di 30 dollari; nei villaggi dell’interno, tuttavia, gli stessi soldati ne ricompravano tre al prezzo di 10 dollari. Iniziava così la ribellione del gruppo Seleka, che prese il potere nel marzo scorso costringendo il presidenze Francois Bozize all’esilio in Camerun.

Ciò che ha reso così vasta la portata del movimento Seleka, secondo il rappresentante della missione ONU Josè Carlos Rodriguez Soto, è stato l’appoggio di migliaia di soldati stranieri. “I miliziani di Seleka - ha spiegato Soto - sono per la maggior parte musulmani del nord, una zona in cui la gente si è sentita emarginata per decenni, ma molti di loro sono mercenari del Chad e del Darfur, che obbediscono solo ai loro capi e che uccidono, violentano, torturano e saccheggiano in piena impunità”.

I musulmani di Seleka hanno invaso il sud del Paese, e di conseguenza i cristiani di quelle zone si sono armati per attaccare i musulmani che vivevano nella Repubblica Centrafricana già prima della rivolta. Oggi la situazione non è tanto di una guerra civile, quanto piuttosto di una guerra di religione, che ha prodotto quasi mezzo milione di sfollati.

Alle parole di Dieng hanno fatto eco quelle dell’Arcivescovo di Bangui Dieudonné Nzapalaing, presidente della Caritas della Repubblica Centrafricana, che ha invitato la comunità internazionale a mobilitarsi per chiedere il ripristino della pace e della sicurezza nel Paese. “La prima cosa di cui abbiamo bisogno - ha dichiarato Nzapalaing - è disarmare i ribelli, per poi lavorare con le comunità per la pace e la riconciliazione, facendo loro capire che è ancora una volta possibile vivere insieme in pace”.

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