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"I cambiamenti climatici sono l'aria che respiriamo"

un incontro a Milano su clima e migrazioni

Hindou Oumarou Ibrahim

Hindou Oumarou Ibrahim

“Hitler sparse il “panico ecologico” rivendicando che solo la terra avrebbe portato alla Germania la sicurezza e negando la scienza che prometteva alternative alla guerra. Inquinando l’atmosfera con i gas serra, gli Stati Uniti hanno fatto più di qualunque altra nazione per causare la prossima ondata di panico ecologico, e tuttavia sono l’unico Paese dove la scienza del clima incontra ancora le resistenze di certe élite politiche e affaristiche. Tutte le conseguenze del cambiamento climatico potrebbero riguardare l’America solamente decenni dopo che il riscaldamento della terra avrà devastato molte altre regioni ,e allora potrebbe essere troppo tardi perché la scienza climatologica e la tecnologia possano fare la benché minima differenza. Per contro, l’Unione Europea prende il riscaldamento globale molto sul serio, ma la sua stessa esistenza è minacciata. A mano a mano che l’Africa e il Medio Oriente continuano a riscaldarsi e divampano le guerre, i migranti economici e i rifugiati politici compiono rischiosi viaggi per scappare in Europa.”

Con queste parole lo storico e scrittore Timothy Snyder parlava sul New York Times del suo libro “Terra Nera” nel 2015. Il tema dei cambiamenti climatici e del loro legame con le migrazioni è oggi al centro di molti dibattiti, come quello organizzato dal Festival dei Diritti Umani di Milano dal titolo Un clima di paura. Climate change, società fragili e grandi migrazioni.

Per comprendere i numeri delle migrazioni, in apertura Caterina Sarfatti - Senior Manager del team per progetto speciali presso C40 Cities, l’organizzazione dei sindaci delle grandi città impegnati in attività contro il cambiamento climatico - cita i dati dell’UNHCR.
Ne risulta un quadro allarmante, con circa 65,6 milioni di persone nel mondo costrette a spostarsi forzatamente dal proprio Paese. Di queste, circa 22,5 milioni sono rifugiati, più della metà dei quali di età inferiore ai 18 anni. Ogni minuto sono circa 20 le persone costrette ad abbandonare la propria casa a causa di conflitti, persecuzioni o mancanza di risorse. Le Nazioni Unite stimano che entro il 2050 ci saranno da 80 a 200 milioni di persone che migreranno in modo forzato a causa dei cambiamenti climatici - 143 milioni potranno migrare internamente ai propri Paesi in tre regioni (Africa sub sahariana, America Latina e Asia).

Di fronte a questi numeri, sembra impossibile che siano solamente 3 gli individui - tre uomini da un’isola del Pacifico, scappati in Nuova Zelanda - ad aver chiesto ufficialmente asilo per cambiamento climatico (richiesta che è tra l’altro stata rifiutata).
Questo è dovuto all’assenza di una qualsiasi legislazione in materia di migranti climatici. Le cose tuttavia stanno iniziando a cambiare: nel gennaio 2018 una Risoluzione del Parlamento Europeo ha dichiarato le migrazioni climatiche un fenomeno da riconoscere. Lo stesso governo della Nuova Zelanda sta inoltre pensando a un visto per tutelare i migranti climatici nel Paese.

Chi si occupa quotidianamente degli effetti dei cambiamenti climatici sulle popolazioni indigene è Hindou Oumarou Ibrahim, coordinatrice dell’Associazione delle Donne e Popolazioni Indigene del Chad. Appartenente alla società pastorale Mbororo - una comunità nomade di circa 25mila persone - Hindou è stata scelta come rappresentante della società civile alla cerimonia d’apertura per la firma dell’Accordo di Parigi siglato in occasione della COP21.

“Siete molto fortunati - ricorda la donna al Festival dei Diritti Umani - perché potete sentir parlare di cambiamenti climatici e delle loro conseguenze. Io vivo in una comunità nomade che sta subendo queste conseguenze, pur non essendone la responsabile”. Gli Mbororo, per il loro sostentamento, dipendono infatti dall’ecosistema del lago Ciad. Il bacino idrico tuttavia sta scomparendo, prospettando per i membri di questa comunità un futuro da migranti climatici.
“Noi non abbiamo una scuola come voi, ci spostiamo da un luogo all’altro e ogni giorno dobbiamo lottare per tanti problemi di sviluppo. Con questo non intendo grandi cose, ma servizi sanitari, accesso alle risorse. I cambiamenti climatici ci costringono a raddoppiare gli sforzi, e la nostra priorità diventa quindi, prima che lo sviluppo, la sicurezza alimentare. Fino a dieci anni fa nella mia comunità avevamo latte tutte le mattine, ora non abbiamo acqua per i pascoli, dobbiamo cercare il cibo nei boschi, l’agricoltura è resa impossibile perché la stagione delle piogge è cambiata, e dalla siccità si passa rapidamente alle inondazioni. Questo ci colpisce tutti i giorni, e quindi molti di noi si trasferiscono in città. Ed è questa “migrazione interna” che spesso porta a conflitti che si aggiungono a quelli già esistenti come quelli contro Boko Haram, che coinvolgono tutta la regione”.

Hindou ha partecipato all’Accordo di Parigi, riuscendo a portare l’attenzione sui diritti delle popolazioni indigene e a includere nel documento conclusivo cinque riferimenti importanti, tra cui la conoscenza tradizionale che queste popolazioni hanno del proprio territorio, definita come risorsa indispensabile su cui basare la ricerca scientifica per la protezione ambientale, integrandola ai programmi ufficiali dei governi.

“Quando mi reco alle conferenze internazionali - spiega Hindou - i vari rappresentanti dei Paesi vogliono proteggere i propri interessi nazionali. Ma i capi di Stato sono uomini come noi, che respirano aria e bevono acqua tutti i giorni. Per prendere le decisioni giuste hanno bisogno di esempi veri, di uomini che non hanno questa possibilità. Ed è questo il mio compito: devo far capire loro che i cambiamenti climatici sono l’aria che respiriamo, il cibo che mangiamo… Tutto questo dipende dalla Terra, e noi dobbiamo proteggerla. Dobbiamo capire che se curiamo il Chad in realtà proteggiamo tutti i popoli, perché la Terra è una sola. E al di là dei nostri interessi egoistici, è indispensabile pensare alle future generalizzazioni”. 

Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

23 marzo 2018

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