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Nel 2020 uccisi almeno 227 difensori dell’ambiente

Dall’ultimo rapporto della ONG Global Witness. Verso la Cop26 di Glasgow

Secondo l’ultimo rapporto della ONG Global Witness, per i difensori dell’ambiente il 2020 è stato l’anno peggiore mai registrato: almeno 227 attiviste e attivisti impegnati sui temi dei cambiamenti climatici e la tutela del diritto alla terra sono stati assassinati. È il numero più alto registrato per il secondo anno consecutivo, nel 2019 le vittime sono state 212. Ma le cifre vere delle aggressioni letali potrebbero essere più alte. Global Witness è una ONG fondata nel 1993, con sede a Londra, impegnata nel versante delle violazioni ambientali e dei diritti umani; dal 2012 si occupa anche di raccogliere dati e informazioni sulle uccisioni di chi difende l'ambiente. I difensori ambientali sono persone che intraprendono azioni, in maniera volontaria o professionale, per tutelare il diritto a vivere in luoghi sicuri, sani e sostenibili. Alcuni sono leader indigeni o contadini che si oppongono a progetti di industrie estrattive che minacciano l’ambiente in cui vivono. Altri sono guardie forestali che combattono il disboscamento illegale; ma potrebbero anche essere avvocati, giornalisti o personale di ONG che lavorano per denunciare abusi ambientali o l’accaparramento di terre.

Colombia, Messico e Filippine

In base al report di Global Witness, dal titolo “Last Line on defence – The industries causing the climate crisis and attacks against land and environmental defenders”, tutti gli omicidi (tranne uno) sono avvenuti in paesi del Sud del mondo, e più della metà in soli tre paesi: Colombia, Messico e Filippine. Fanno seguito Brasile e Honduras.

Per il secondo anno consecutivo la Colombia ha registrato il maggior numero di aggressioni, con 65 persone uccise; a essere presi maggiormente di mira sono stati gli indigeni. La pandemia e i lockdown hanno trasformato gli attivisti in bersagli nelle loro case, mentre il governo colombiano ha diminuito le misure di protezione per comunità e leader sociali. In Messico nel 2020 Global Witness ha documentato 30 attacchi mortali contro i difensori del pianeta, con un aumento del 67% rispetto al 2019. La ONG fa notare che “il disboscamento è collegato a quasi un terzo di questi attacchi”; e metà di tutte le aggressioni letali nel paese hanno colpito le comunità indigene. L’impunità per i crimini contro gli attivisti ambientali è molto alta: il 95% degli omicidi non si traduce in un procedimento giudiziario.

Nelle Filippine il deterioramento della situazione dei diritti umani continua, nonostante la crescente condanna internazionale. Il rapporto sottolinea che “l’opposizione alle industrie che producono danni all’ambiente viene spesso accolta con violente repressioni da parte di polizia ed esercito. Oltre la metà degli attacchi letali era direttamente collegata alle proteste degli attivisti per i progetti di estrazione mineraria, disboscamento e dighe”. Nel paese dal 2016 al 2020 sono stati uccisi 166 difensori del territorio e dell’ambiente. Dall’altra parte del Globo, in Brasile e Perù, quasi il 30% degli attacchi era legato allo sfruttamento delle risorse (disboscamento, estrazione mineraria e agroindustria su larga scala) e alla costruzione di dighe idroelettriche e altre infrastrutture.

Complicità e insabbiamenti

Il dato di 227 omicidi nel 2020 è già di per sé spaventoso. Ma secondo i ricercatori della ONG londinese, “questi dati non possono che essere parziali”. Non sorprenderebbe se il numero reale dei casi fosse doppio, considerate le difficoltà di registrare gli episodi e indagare. “Molte imprese adottano un modello economico estrattivo che privilegia in modo schiacciante il profitto rispetto ai diritti umani e all’ambiente”, è scritto nel rapporto di Global Witness. “E in troppi paesi, ricchi di risorse naturali e biodiversità, le corporation operano nella quasi totale impunità. Talvolta vengono arrestati gli autori materiali delle aggressioni; quasi mai i mandanti”. Secondo Global Witness, inoltre, “i governi di alcuni paesi sono fin troppo disposti a chiudere un occhio”.

Una due diligence europea 

In occasione dell'uscita del documento, uno degli autori, Chris Madden, ha invitato i governi a “prendere sul serio la protezione dei difensori dell’ambiente”; e le aziende a “mettere le persone e il pianeta davanti al profitto per evitare che la crisi climatica e gli omicidi continuino”. Global Witness ripone inoltre speranza nell'adozione di una legislazione europea sulla due diligence (dovuta diligenza) delle imprese. Annunciato il 29 aprile 2020 dal Commissario europeo per la giustizia, Didier Reynders, nell'ambito dell'iniziativa “Sustainable Corporate Governance”, il provvedimento dovrebbe imporre a tutte le aziende l’obbligo di avviare un processo che mira a identificare e prevenire l'impatto su diritti umani e ambiente nelle loro operazioni attribuendo responsabilità in caso di violazioni.

Verso la COP26 a Glasgow

La ONG londinese ha invitato i governi a riconoscere formalmente il diritto umano a un ambiente sicuro, sano e sostenibile e a garantire che gli impegni che saranno presi alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop26), che si svolgerà a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre, integrino le protezioni dei diritti umani. Il presidente designato di Cop26, Alok Sharma, membro conservatore del Parlamento del Regno Unito, ha risposto dichiarando di “aver dato priorità agli incontri con le persone che sono in prima linea nella lotta al cambiamento climatico per garantire che le voci di tutti siano ascoltate”.

Accordo di Parigi: rimarremo sotto 2 gradi?

Tutti gli esperti vedono nel 26° vertice delle Nazioni Unite di Glasgow (slittato di un anno a causa della pandemia) un’opportunità – non più procrastinabile – per accelerare le azioni verso il conseguimento degli obiettivi dell'Accordo di Parigi, adottato nel 2015 in occasione di COP21. I 175 paesi che hanno ratificato l’Accordo si prefiggono di limitare l'incremento della temperatura media mondiale ben al di sotto di 2° gradi rispetto ai livelli preindustriali, puntando a limitarlo a 1,5 gradi.

Giovani difensori del clima a Milano

In un certo senso la Cop26 è già iniziata. Perché a Milano dal 30 settembre al 2 ottobre scorso ha avuto luogo un incontro preparatorio (Pre-Cop26) del vertice scozzese, che ha visto la partecipazione dei ministri del clima e dell’energia di una quarantina di paesi. Erano presenti il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il premier Mario Draghi; tra gli altri partecipanti, l’inviato speciale del presidente Usa per il clima, John Kerry, e Alok Sharma. All’interno del vertice milanese ha trovato posto ‘Youth4Climate Driving Ambition’, evento che ha riunito circa 400 giovani tra i 15 e i 29 anni provenienti da 186 paesi. Accanto a Greta Thunberg e a numerosi altri ragazzi e ragazze che si battono per mantenere il pianeta in buona “salute”, c’era Vanessa Nakate, 24 anni, ugandese, che ha denunciato l’emergenza climatica in Africa, inserita dalla Bbc tra le 100 donne più influenti del 2020.

Odio in rete

La violenza delle parole e delle immagini – quella che corre sul web – colpisce anche persone come Thunberg, Nakate e altri giovani attivisti e attiviste della stessa caratura. Per esempio, persone come Nina Gualinga, la 28enne ecuadoriana che difende i diritti ambientali e indigeni; o Tori Tsui, 27 anni, nata a Hong Kong e residente a Bristol (Regno Unito), che organizza campagne per dar voce ai divulgatori sul clima. In tutto il pianeta c’è un inquietante impasto tra negazionismi di vario genere, visioni distopiche della società (fondate sulla mancata conoscenza dei fatti reali) e alcuni movimenti antisistema “no-qualche cosa”… , sostenuti da precisi “attori”. Molto interessati. E’ fondamentale tenere accesi dei fari su coloro che difendono l’ambiente. E, più in generale, su ciò che accade nella galassia della comunicazione digitale.

La mappa interattiva di EjAtlas

In materia di conflitti ambientali, uno studio significativo è quello realizzato nel 2020 da un gruppo di ricercatori dell’Università Autonoma di Barcellona (UAB) che ha analizzato i 2.743 conflitti ambientali, tutti contenuti nella mappa interattiva EjAtlas (www.ejatlas.org), l’Atlante dei conflitti ambientali. I dati mostrano che gli attivisti sono per lo più membri di gruppi vulnerabili che utilizzano forme di protesta non violente. Nel 20% dei casi le azioni dei difensori ambientali vengono criminalizzate con denunce, multe, persecuzioni giudiziarie e pene detentive; nel 18% dei casi gli attivisti sono vittime di violenza fisica; e nel 13% vengono assassinati. Queste cifre aumentano notevolmente quando sono coinvolte le popolazioni indigene, raggiungendo il 27% di criminalizzazione, il 25% di violenza e il 19% di omicidio.

Il rapporto di Global Witness è stato presentato a metà settembre 2021

Antonio Barbangelo, giornalista

13 ottobre 2021

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